LA MACCHINA INFERNALE
di Cristiano Zavaglia

Winter, (temporaneo sostituto di Paul, acciaccato al centro medico) segnala al comandante la presenza di una singolare astronave sullo schermo principale della sala comando.

Una richiesta di aiuto autoritaria parte dallo strano oggetto. Il comandante ne è indispettito, ma Koenig non è certo il tipo da rimanere insensibile ad una richiesta di aiuto ed autorizza così l’atterraggio sul suolo lunare. La voce misteriosa impone la visita, all’interno del veicolo spaziale, di Keonig, Helena e Victor,  i quali temendo l’enorme potere dell’astronave decidono di andare.
Giunti all’interno della maestosa sala comando i tre alphani vengono analizzati da uno strano fascio luminoso, dopodiché la loro attenzione viene attirata da una luce proveniente da una stanza, all’interno della quale fanno laconoscenza di Companion, il vecchio e malato addetto alla manutenzione dell’astronave, il quale spiega loro che Gwent, questo è il nome della “voce”, è l’essenza stessa della nave spaziale e che quindi nulla può contro la sua volontà e la sua enorme potenza. A questo punto Gwent interviene nuovamente in modo perentorio, affermando di avere bisogno di alcuni componenti che si trovano su Alpha. Il comandante questa volta non accetta l’arroganza ed ordina un attacco all’astronave che si rivela però inefficace.


Companion dopo l’ennesimo attacco di cuore, allo stremo delle forze rivela indirettamente lo scopo di Gwent oltre a quello delle scorte: quello di rimpiazzare il compagno di viaggio. Companion muore, lasciando i tre Alphani alla mercè di Gwent, il quale minaccia la distruzione di Alpha qualora i materiali richiesti non gli venissero consegnati. Improvvisamente le luci si abbassano e cala il silenzio all’interno dell’astronave. I tre intuiscono che Gwent è veramente a corto di energia e pensano a come sfruttare questa debolezza a loro vantaggio. Improvvisamente un campo di forze elettromagnetico accidentale, provoca un arresto cardiaco a Victor (che vive grazie ad un cuore artificiale). Gwent torna dallo “stand-by” e salva lo scienziato con una scarica elettrica da 3000 volts. A questo punto però Gwent dà l’ultimatum a Koenig il quale per tutta risposta ordina un secondo attacco che però si rivela una disfatta ed il comandante è costretto alla resa.

Gwent detta così le sue condizioni: i rifornimenti in cambio della libertà di Victor, condannando Koenig ed Helena alla prigionia eterna, come assistenti al posto di  Companion. I materiali vengono portati all’interno del veicolo spaziale da Carter ed alcuni membri della sicurezza. Quando però Gwent si accorge che sono armati monta su tutte le furie e si rifiuta di liberare Victor colpendo gli Alphani con un dolorosissimo raggio verde. Carter è così costretto a ritornare su Alpha. Koenig si prepara ad inserire i primi elementi nel sistema di mantenimento quando, intuendo ormai prossimo l’esaurimento energetico dell’astronave si rifiuta di farlo. Gwent a questo punto si rende conto che i tre sono disposti a tutto pur di non farlo più vivere e comincia così a raccontare la sua storia: brillante scienziato del pianeta Themo, la sua  ambizione di poter sconfiggere la morte perpetrando nel tempo la propria personalità, lo spinse ad elaborare il progetto dell’astronave, unendo il proprio cervello alla straordinaria capacità di calcolo e potenza di un computer. Koenig per nulla impressionato, distrugge il primo componente energetico gettando nello sconforto Gwent che a questo punto “apre gli occhi” e si rende conto, in una toccante confessione, della sua inutile vanità e della bieca superbia che lo ha accecato in tutti quegli anni, decidendo così di lasciarsi morire lentamente per esaurimento. Questo dopo qualche minuto rischia però di lasciare i tre alphani senz’aria, quando Koenig ormai allo stremo delle forze, effettua un ultimo disperato tentativo, inserendo uno dei frammenti della pila nel serbatoio energetico. Gwent rigenerato, decide così di liberare i tre alphani i quali una volta giunti alla base assieme ai loro compagni, assistono ad un imprevedibile epilogo: Gwent decolla, si allontana dalla base e decide di autodistruggersi  sul suolo lunare, preferendo la morte definitiva ad un’eternità parassita ai danni di qualche altro sventurato “compagno” di viaggio.

 

Ancora una volta è il tema dell’immortalità il fulcro dell’episodio, anche se qui si parla di quella intellettuale o dell’anima più che di quella fisica. L’argomento è senz’altro uno dei più affascinanti della serie, una questione che sin dagli albori della civiltà ha fatto riflettere l’uomo sulla caducità delle cose della vita e sul desiderio di poter sconfiggere un giorno la morte. Ma siamo sicuri che questa sia la cosa più giusta? Siamo sicuri che un giorno lontano, una volta realizzato questo sogno, col passare del tempo, dei giorni, degli anni, dei secoli non sopraggiunga una sorta di implosione, la stanchezza, la noia che possa farci arrivare a dire: "...quanto vorrei poter morire...".
E il messaggio che l’episodio vuole trasmetterci sembra proprio essere questo. I personaggi rientrano nei canoni in cui siamo abituati a vederli di solito. Probabilmente il comandante che in genere non ama l’uso della forza in questo frangente si mostra più bellicoso del solito non pensando subito alle possibili perdite umane dei 2 attacchi sferrati all’astronave, del resto come dargli torto? L’arroganza di Gwent è a tratti  veramente indisponente. Helena  da buon medico si preoccupa subito per la salute di Companion, implorandone il trasporto su Alpha per consentirne le cure, cosa che però non avverrà. La figura paternale di Victor emerge ancora una volta quando nel finale spiega a Gwent in maniera pacata e sintetica come il suo progetto sia figlio di… “un’inutile vanità”.
Ma analizziamo per un attimo il “personaggio” di Gwent. Personaggio tra virgolette perché in effetti di lui sentiamo solo la voce dato che come dice Companion…tutto…qui… è Gwent!”. Per l’appunto l’intera astronave. L’idea forse non è originale al 100%, infatti probabilmente risente dell’influenza di “2001 odissea nello spazio” (hal 9000). Peraltro agli appassionati di cartoons giapponesi, non sarà sfuggito come in un episodio della serieDaitarn III” il protagonista si trovi a combattere contro un’astronave (“Il Magellano”) dal cervello umano, che altro non sembra se non un replicante del nostro Gwent riveduto e corretto. Questo è comunque comprensibile se pensiamo al discreto successo che la prima serie di Spazio 1999 ha ottenuto in Giappone alla fine degli anni ’70.
La caratterizzazione di Gwent è dunque straordinaria. In lui durante l’episodio si possono cogliere gli innumerevoli aspetti dell’animo umano: l’arroganza e il cinismo della prima parte, la commozione e il dolore per la perdita di Companion, la superbia allorquando narra della sua fama di scienziato, la frustrazione, il pentimento e la disperazione quando si rende conto di ciò che è diventato, riuscendo persino a commuovere lo spettatore che fino a cinque minuti prima probabilmente lo detestava. Semplicemente grandioso il suo monologo finale che è il preludio del tragico epilogo dell’episodio e che per concludere… direi vale la pena di citare:

(Gwent) “ho sbagliato nel giudicarvi. La mia esperienza in tutti questi anni, viaggiando per l’universo… da solo, cieco, costretto a dipendere da Companion mi ha reso diffidente, sospettoso, cinico, forse… paranoico. Capite? Dopo aver costruito… sì… questa macchina per tramandare la mia personalità, scoprii troppo tardi la sua debolezza intrinseca: aveva bisogno di altri, nessuno di noi può esistere se non in funzione di altri, se siamo soli cessiamo di avere una personalità… è l’isolamento! Mi capite?”
(Victor) “Mio povero Gwent… tu hai sbagliato fin dall’inizio. Voler tramandare la propria… personalità… è la più inutile delle vanità!”
(Gwent)  “Sì… sì, hai ragione. Lo feci per vanità, il primo e l’ultimo di tutti i peccati. Io voglio ringraziarvi… sia benvenuta la mia liberazione…”