SPAZIO 1999
di
Marco Vittorini

13 settembre 1999. Una data che un’intera generazione di uomini, che oggi hanno tra i 25 e i 40 anni, non dimenticherà mai. Una data che in qualche modo è rimasta scolpita nella nostra memoria, nei nostri ricordi, nella nostra stessa cultura. La data di un’immane tragedia, di una esplosione atomica di inaudita potenza avvenuta sulla Luna e che ha scaraventato il nostro satellite, ed un pugno di poche centinaia di uomini rimasti prigionieri su di esso, nelle immensità del cosmo, a fare i conti con sé stessi, con la loro arroganza e le loro paure, prima ancora che con l’immensità di un universo ancora inesplorato e misterioso.

Tranquilli, non state leggendo nulla di cui probabilmente non sappiate già. Quello di cui stiamo parlando non è niente di reale, e la Luna è ancora al suo posto a farci compagnia. Molto banalmente invece, quella appena descritta è l’idea alla base di "Spazio 1999", una serie televisiva di fantascienza anglo-italiana degli anni ‘70, anche se poi l’aggettivo "banale" probabilmente non si adatta affatto ad una serie che pur contando solo 48 episodi all’attivo e ben 25 anni alle spalle, è più viva che mai nei nostri ricordi.

Si diceva dell’idea: nel 1999, o almeno così pensavano gli sceneggiatori di 5 lustri fa, la Luna "sarà" stata completamente colonizzata dalla razza umana, che la utilizzerà per accumularvi incoscientemente scomode quanto pericolose scorie nucleari. A guardia dei depositi, è stata costruita una stazione spaziale di studio e di ricerca chiamata "Base Lunare Alpha", che conta un manipolo di poche centinaia di uomini, in massima parte tecnici, a svolgere un lavoro presumibilmente ingrato. A cambiare le cose, un segnale proveniente dallo spazio profondo, più precisamente da un pianeta chiamato – con poca fantasia, in verità – "Meta". Il primo segno dell’esistenza di vita extraterrestre merita sicuramente maggiore attenzione, ed ecco che un uomo di maggiore esperienza, il comandante John Koenig, viene spedito di filato sulla Luna a prendere il comando delle operazioni, con l’obbiettivo molto chiaro di mandare al più presto un uomo su Meta. Ma Koenig non è tipo da non dare importanza ad una serie di misteriosi incidenti che, nel frattempo, si stanno verificando sulla Luna, e che conducono alcuni sfortunati piloti della base ad una esistenza quasi vegetativa prima ed alla morte poi. Così, mentre Koenig decide di indagare sul fenomeno, la missione su Meta passa in secondo piano, fino ad essere del tutto dimenticata quando la terribile verità viene alla luce: la causa del misterioso male che su Alpha uccide la gente è un tipo di radiazione magnetica, mai osservato in precedenza, causato dallo scriteriato accumulo di scorie nucleari. Un primo deposito di scorie esplode, e quando le stesse radiazioni cominciano a manifestarsi anche nel secondo deposito, enormemente più grande del precedente, la gente di Alpha si rende conto di vivere sulla più grande bomba atomica mai costruita dall’uomo. Con grande spirito di sacrificio cercano di evitare l’inevitabile disperdendo le scorie su di una zona più ampia, nella speranza di riuscire a ridurre le radiazioni e gli effetti potenzialmente catastrofici di una esplosione a catena. Ma la lotta contro il tempo appare subito impari e disperata, e ben presto sulla superficie del satellite si verifica la più colossale esplosione atomica che la Terra abbia mai registrato, così forte da proiettare la Luna fuori dall’orbita terrestre, e così potente da imprimerle un’accelerazione tale da farle superare, in poche ore, l’intero sistema solare per poi precipitare nel buio dell’universo inesplorato.
Incredibilmente, su Alpha la gente riesce a sopravvivere all’esplosione, ma quando viene ristabilito un minimo di calma, è ormai troppo tardi per tentare un qualsiasi piano di evacuazione. Gli Alphani sono costretti, loro malgrado, a vagare per l’universo a bordo di quello che ormai è un enorme meteorite impazzito, senza poterne controllare né la rotta né la folle velocità, sperando prima o poi di passare nelle vicinanze di qualche pianeta abitabile per potercisi trasferire e portare fin là il seme della vita umana.

Barbara Bain, Martin Landau e Barry Morse, i protagonisti della serie

Al di là delle più che evidenti grossolanità scientifiche presenti in questa storia (ma non dimentichiamoci che la fantascienza è, appunto, "scienza" solo fino ad un certo punto), "Spazio 1999" è stata una serie di grande impatto ed interesse che ha sicuramente contribuito ad affermare il genere all’attenzione dei media. Co-prodotta dal 1975 al 1976 dall’inglese ITC Television e dalla nostra RAI Radiotelevisione Italiana, "Spazio 1999" è probabilmente l’opera meglio riuscita di Gerry e Sylvia Anderson, secondo molti i veri artefici del suo successo. Giova a questo punto ricordare come, nella metà degli anni ’70, ovvero in fase di preproduzione di "Spazio 1999", la fantascienza non attraversasse certo un bel periodo. Capolavori come "Alien" o "BladeRunner" erano ancora in mente Dei, e lo stesso "Guerre Stellari" avrebbe visto la luce solo un paio di anni più tardi. Prima, ma parecchio prima, erano venuti l’inarrivabile "2001: Odissea nello spazio" di kubrikiana memoria e, nel campo televisivo, quella serie classica di "Star Trek" che sarà destinata ad essere riscoperta solo molti anni dopo per diventare il fenomeno che tutti oggi conosciamo. Più vicino a "Spazio 1999", nel 1970 lo stesso Gerry Anderson produsse "U.F.O.", una serie televisiva durata una sola stagione in cui la Luna veniva utilizzata per costruirvi un avamposto terrestre contro le frequenti incursioni aliene. Secondo alcuni, "Spazio 1999" fu inizialmente concepito come un sequel di "U.F.O.", ma in verità è noto che Gerry Anderson non vedeva di buon occhio produzioni televisive che durassero più di un anno, preferendo ogni volta ricominciare da capo con qualcosa di totalmente nuovo. E tra "Spazio 1999" ed "U.F.O." le differenze sono probabilmente più evidenti delle similitudini, anche se è indiscutibile che l’esperienza di "U.F.O." sia servita molto al produttore inglese (ed ai suoi sceneggiatori, molti dei quali lavorarono per entrambe le serie) per affinare le vicende e le atmosfere di Spazio.

Ad ogni modo, il problema principale che avevano allora le serie di fantascienza è tutto in un pregiudizio che, purtroppo, ancora oggi fa valere le sue regole. Quello secondo il quale per fare un buon prodotto di fantascienza (ovvero un prodotto che possa ambire ad un certo successo commerciale) ci vogliono per forza sontuosi effetti speciali, spettacolari combattimenti spaziali, straordinarie ambientazioni futuristiche. Ed in quegli anni in cui si andava avanti a modellini ed in cui per fare un’esplosione bisognava veramente far esplodere qualcosa, quegli stessi anni in cui era l’odierna computer grafica la vera fantascienza, tutte queste belle cose costavano semplicemente un occhio della testa. Da parte sua, "Spazio 1999" non partiva certo con un budget eccezionale, sufficiente solo fino ad un certo punto a coprire i costi degli effetti. Non potendo fare affidamento su più di tanto, gli sceneggiatori fecero quello che era già successo con la serie classica di "Star Trek": si concentrarono sulle storie, consapevoli che il mostro più spaventoso è sempre quello solo immaginato, e che la giusta atmosfera, un pizzico di filosofia, introspezione psicologica e paura dell’ignoto quanto basta fossero già di per sé stessi una ricetta vincente per una serie che, comunque, neanche nelle intenzioni doveva poi essere esclusivamente d’azione. Su questa idea ci si mosse e venne realizzato il pilot prima ed i restanti episodi della prima stagione poi. Prima stagione che, peraltro, avrebbe dovuto essere senza ombra di dubbio l’unica e la sola, come testimoniava benissimo l’ultimo episodio prodotto, "Il testamento degli Arcadi", che pur non concludendo l’odissea degli Alphani nel senso letterale del termine, chiudeva in qualche modo il ciclo, riportando alla vita un pianeta in cui si era sviluppata una razza (che poi si scoprirà essere la stessa razza umana) che, prima di essere condannata all’estinzione totale da un terribile olocausto (nucleare?), aveva colonizzato altri mondi, tra cui, appunto, la Terra.

Questa prima serie ebbe un discreto successo in Italia, Francia, Germania e Giappone, passò abbastanza sotto silenzio in Inghilterra, e faticò non poco ad affermarsi negli Stati Uniti. E proprio per renderla più attraente agli occhi del grosso (e commercialmente potente) pubblico americano, fu commissionata una seconda stagione, in cui però molti degli aspetti che avevano contribuito al parziale successo della prima furono rivisti in favore dello stile americano. Gerry Anderson e, in piedi, Fred FreibergerA Gerry Anderson, che già di per sé era poco interessato all’idea di una seconda stagione, e che nel frattempo aveva anche divorziato da Sylvia, rompendo un legame che andava ben oltre la semplice collaborazione professionale, fu affiancato il produttore americano Fred Freiberger. Quest’ultimo fece esattamente quello che gli fu chiesto di fare, ovvero portò la serie più vicina agli standard americani. Così ad esempio, la figura del professor Bergman, secondo i più troppo cerebrale, fu eliminata del tutto senza uno straccio di spiegazione ed al suo posto fu introdotta quella della psiconiana Maya, che avrebbe probabilmente dovuto essere, nelle intenzioni di Freiberger, quello che Spock era stato per "Star Trek", ovvero l’occhio alieno che avrebbe dovuto osservare i vizi privati e le pubbliche virtù della razza umana. Altri personaggi, come il vicecomandante Paul Morrow o l’addetto al computer David Kano furono semplicemente "cancellati", e se il pilota Alan Carter non fece la stessa fine fu solo per l’insurrezione dei fan dell’attore che lo interpretava, Nick Tate. Fu modificata gran parte dell’atmosfera filosofica di fondo della serie, che molti ritenevano potesse risultare alla lunga un po’ noiosa, all’insegna di una maggiore azione, e furono introdotte palesi relazioni sentimentali tra il comandante Koenig e la dottoressa Russell (fino ad allora appena accennata) e tra Maya ed il nuovo vicecomandante Tony Verdeschi. Nonostante tutto ciò, "Spazio 1999" non piacque molto di più agli americani, mentre in compenso piacque molto di meno a tutti gli altri, e questo ne decretò la fine, dopo due anni e 48 episodi complessivi.

Ma "Spazio 1999" non era destinato a finire nel dimenticatoio. Come già stava succedendo per "Star Trek", le repliche continuarono ad essere trasmesse, anno dopo anno, in tutto il mondo, e conquistarono un pubblico sempre più affezionato e sempre più appassionato. In Europa in particolare, soprattutto la prima stagione è ricordata ancora oggi vividamente da moltissimi trentenni, e la sua fiamma è ben lungi dall’essersi spenta. Da molto tempo oramai si favoleggia di un film o di una nuova serie televisiva che possa portare nuovo ardore, ma nell’attesa di un tale e tutto sommato improbabile evento, c’è chi si è mosso per dare alla serie il finale che non ha mai avuto. Così "Fanderson", il fan club inglese dedicato ai lavori dei coniugi Anderson, ha recentemente prodotto un cortometraggio (tutt’ora inedito in Europa), di soli 7 minuti, in cui viene brillantemente chiuso il cerchio degli avvenimenti. Avvalendosi di uno script originale di Johnny Byrne, reale sceneggiatore di molti dei migliori episodi di "Spazio 1999" e scritto appositamente per l’occasione, nonchè della collaborazione di Zienia Merton, che 25 anni dopo ha reindossato i panni dell’analista dati Sandra Benes, il club inglese ha prodotto il finale mancante, l’anello che chiude idealmente la catena. In una base Alpha ormai deserta, Sandra registra un ultimo messaggio destinato a viaggiare nello spazio profondo raccontando la storia dei nostri eroi: le risorse della base si sono ormai esaurite, e gli Alphani sono stati costretti a scendere su di un pianeta su cui la vita sarebbe stata molto difficile, ma non impossibile. Ricordando gli anni passati su Alpha, Sandra non può trattenere le lacrime, ma al tempo stesso è eccitata all’idea della nuova sfida che si pone dinanzi a tutti loro. Alla fine Sandra codifica il messaggio e lo trasmette, e la forma d’onda codificata appare in tutto e per tutto identica a quella che, nel pilot della serie, era stato il messaggio confuso ed incomprensibile proveniente da Meta e che, per uno dei tanti paradossi temporali tanto cari anche alla fantascienza moderna, era dunque stato prodotto dagli stessi Alphani… Paradosso peraltro giustificabile alla luce delle numerose anomalie spazio-temporali attraversate dalla Luna nel suo vagabondare nello spazio, per tacere dell’attraversamento perfino di un buco nero!

Una scena di "Message from Moonbase Alpha"

I fan hanno apprezzato moltissimo quest’ultimo sforzo fatto per dare il giusto finale alla serie, a giudicare almeno dalla reazione entusiastica manifestata in occasione della prima (e fino ad oggi unica) proiezione pubblica del cortometraggio, tenutasi a Los Angeles, nel corso di una mega-convention mondiale celebrativa della serie, il (neanche a dirlo) 13 settembre 1999. E poiché l’appetito vien mangiando, quest’anno si è replicato, sempre agli inizi di settembre, questa volta a New York, ospiti la maggior parte degli attori protagonisti della serie. Altre convention "minori" sono state organizzate e continuano ad esserlo in varie parti del mondo, compresa una nostrana tenutasi a Modena lo scorso giugno a cura di S.H.A.D.O.WS 1999, il club italiano dedicato a "Spazio 1999" e "U.F.O.". Molti tentativi sono stati fatti per spiegare come mai 48 semplici episodi abbiano colpito l’immaginario collettivo così profondamente che, ancora oggi, a distanza di così tanto tempo, centinaia di persone sentano il bisogno di riunirsi per condividere i loro ricordi e le loro sensazioni. Molti hanno per questo voluto anche paragonare "Spazio 1999" a "Star Trek", forti però più del successo che entrambe le serie hanno avuto dopo la loro conclusione, che sulla base di osservazioni oggettive. Indubbiamente le due serie hanno dei punti di contatto, a cominciare dal periodo storico e culturale in cui vennero entrambe concepite e prodotte e che non potè, ovviamente, non influenzare il risultato finale, fino alle idee di esplorazione del cosmo, della "carovana nello spazio", del contatto con nuovi mondi e civiltà. Lo stesso Fred Freiberger, prima di lavorare per "Spazio 1999", aveva già lavorato per "Star Trek". Ma a nostro modesto parere tra le due serie le differenze ci sono e si sentono, e si possono forse riassumere in due considerazioni: da una parte il ruolo della tecnologia intesa come strumento, dall’altro il comportamento stesso degli esseri umani posti di fronte all’ignoto.

In "Star Trek" (come del resto nella maggior parte delle altre produzioni di fantascienza), la tecnologia è sempre uno strumento positivo in mano all’umanità, un "mezzo" per raggiungere gloriosi "fini". In "Spazio 1999" non ci pare affatto che la tecnologia svolga un ruolo così importante: essa non riesce ad evitare la catastrofe nucleare che porta all’inizio dell’odissea degli Alphani (anzi, in qualche modo ne è la causa scatenante) né riesce in alcun modo a porvi poi rimedio, e gli Alphani sono di fatto prigionieri loro malgrado della loro stessa base, senza poter fare assolutamente nulla per cambiare una situazione che non hanno voluto e che li ha letteralmente travolti; le mitiche "Aquile", le astronavi di cui la base è dotata, non sembrano affatto potenti navi da guerra ed il più delle volte non fanno paura a nessun alieno, facendo anzi spesso una gran brutta fine; gli Alphani stessi trovano sistematicamente popolazioni più avanzate e progredite, e la loro tecnologia non fa gola quasi a nessuno; la stessa base Alpha ha spesso problemi di vario genere, e meraviglia il numero di volte in cui viene pesantemente danneggiata.

Dall’altra parte c’è il comportamento degli stessi esseri umani, che in "Star Trek" era fortemente americano, della serie noi siamo quelli belli, bravi, buoni e forti. In "Spazio 1999" invece gli uomini hanno quasi paura della loro stessa ombra, sono prigionieri delle loro ansie e paure, e spesso vengono visti alla stregua di un virus che potrebbe contaminare la galassia, se lasciato libero di espandersi. Ma paradossalmente, sono proprio queste debolezze che fanno apparire gli uomini di Alpha più profondamente umani, quasi fragili di fronte ad avversari di tutt’altro spessore. Avversari che i nostri riescono a fronteggiare sopperendo alla loro stessa piccolezza con una forza d’animo ed una determinazione soprendenti, che sono poi la vera forza della natura umana. Quante volte il comandante Koenig riesce a trovare nelle sole parole la forza di convincimento necessaria per uscire da situazioni per altri versi disperate? E quante volte è proprio lo spirito di sacrificio o lo spirito di gruppo tipici della razza umana a salvare gli Alphani, più delle loro armi, dei computer o della tecnologia in genere?

Concludendo, probabilmente è proprio questa la vera forza di "Spazio 1999". Il mostrare come, anche quando tutto sembra perduto, quando la nostra stessa tecnologia ci si rivolta contro (o, nel migliore dei casi, non ci è di nessun aiuto), quando chi ci è di fronte apparentemente ci sovrasta, l’uomo riesca sempre a trovare nelle sue stesse umane debolezze la forza di reagire. E come l’uomo esca da ogni confronto con la diversità o l’ignoto con un nuovo bagaglio di conoscenze e di esperienze che ridefinisce dinamicamente i suoi stessi limiti e che contribuisce ogni volta ad accrescere il suo stesso spirito di determinazione. Perché è possibile che l’uomo potrà conoscere la sua vera forza solo attraverso il confronto con quello che non conosce. Se sopravviverà fino ad allora, beninteso!