Odissea nel cosmo

 un racconto di: Maurizio Anfosso
impaginazione e grafica: Marco Vittorini

Dedicato ai produttori, autori ed attori della serie televisiva "SPAZIO:1999"
che hanno fatto sognare noi bambini degli anni '70.

  

 

 

Capitolo 1 - Dalla Terra alla Luna

Il 20 luglio 1969 la missione Apollo 11 della NASA faceva atterrare i primi due uomini sulla Luna. Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Ad essa seguirono altre cinque missioni di sbarco fino al 1972.

Nel 1973 iniziò la cooperazione internazionale per la costruzione della prima stazione permanente sulla Luna. Inizialmente composta da piccoli blocchi di metallo pressurizzato trasportati sulla superficie del satellite, durante gli anni '80 la stazione fu ampliata con enorme sforzo scientifico e tecnologico. Nel 1999 la Base poteva ufficialmente dirsi completata. Tra i molti nomi degli uomini e delle donne di scienza che avevano contribuito alla costruzione di Alpha, spiccava certo quello di Victor Bergman. Inglese, Ingegnere e Premio Nobel per la Fisica del 1990, una delle menti più brillanti della Gran Bretagna, per non dire del mondo intero. A lui infatti si doveva la progettazione delle Aquile, mezzi spaziali in grado di decollare dalla superficie terrestre e di giungere sulla Luna e fare ritorno senza bisogno dei vecchi ed enormi razzi vettori con propellente liquido - come i Saturno e i Nettuno - che avevano lanciato i primi uomini verso la Luna.

Bergman aveva progettato le Aquile come i più avanzati mezzi spaziali inventati dall'umanità fino ad allora. Ogni Aquila era equipaggiata con un generatore o "pila" Bergman. Erano i veicoli ideali per il viaggio spaziale e poi forse in futuro avrebbero potuto essere utilizzati anche su Marte e sulle lune di Giove e Saturno.

Il genio di Victor Bergman aveva ideato, oltre alla Propulsione a Muoni delle Aquile, anche il sistema di gravità artificiale con una complessa tecnologia applicata alle Aquile stesse mediante delle piastre particolari, così come alla Base Alpha mediante quattro potenti torri. Il che rendeva possibile camminare con la stessa gravità a cui si era abituati sulla Terra sia nelle astronavi  che nei corridoi della Base Alpha, sulla Luna. La gravità artificiale eliminava i problemi dovuti sia a zero G che ad un sesto di G sulla superficie selenica.

Utilizzando al contrario il sistema di gravità artificiale, Aquila 8 si era facilmente liberata della attrazione del pianeta al momento del decollo da Heathrow. Mentre il panorama della Terra vista dall'orbita alta gli scorreva davanti all'oblò di dritta, Victor Bergman, comodamente seduto con il suo portatile sulle ginocchia, era perso nei calcoli e nei grafici che aveva davanti allo schermo. Il volo da Londra verso Alpha non sarebbe durato più di centoventi minuti, giusto quel tanto che bastava per rivedere gli ultimi dati che il suo collega David Kano gli aveva inviato per e-mail sul suo ultimo grande progetto.

Già perché Victor Bergman non era soddisfatto di essere stato tra i progettisti del primo avamposto sulla Luna e di aver contribuito ad aprire la strada per l'esplorazione umana del sistema solare con la progettazione dei veicoli "Aquila" e dei generatori che li spingevano. Bergman voleva conquistare le stelle. E mentre Aquila 8 puntava decisa verso Alpha spinta dalla propulsione a Muoni, Bergman si sorprese a distogliere l'attenzione dal monitor del suo portatile ed a cercare con lo sguardo, dalla sua ristretta visuale, la parte meridionale del satellite in avvicinamento, cercando di individuare ad occhio nudo il minuscolo cratere Ångström. Era li che il suo ultimo progetto scientifico stava prendendo forma.

Agli ingegneri ed agli operai di Alpha erano occorsi 18 mesi per completare la costruzione e la messa a punto della Stazione e del prototipo che Bergman con testardaggine aveva voluto creare, anche vincendo non poche resistenze da parte della NASA, dell'ESA e della Kosmos. "Non siamo pronti!" - era la risposta che Bergman si era sentito ripetere centinaia di volte dai baroni della scienza, in patria come all'estero, ciechi seguaci del relativismo Einsteniano. Ma Bergman - che molti chiamavano "l'Einstein britannico" - non era solo uno studioso da biblioteca ma, con la sua notorietà, i suoi contatti ed una parlantina da venditore professionista sapeva muovere le leve giuste. Si era trovato numerosi sponsor, specie tra quelle grandi multinazionali che - se il suo progetto fosse risultato vincente - avrebbero avuto le porte aperte per grandi imprese economiche nello spazio profondo. Bergman aveva mosso le pedine giuste con astuzia e spesso con cinismo. Inventare mezzi spaziali come le Aquile e marchingegni come le piastre gravitazionali non era cosa da poco. E adesso li, sul fondo del cratere Ångström, in una cupola metallica pressurizzata con due livelli inferiori che penetravano tra le sabbie lunari, la sua invenzione più ambiziosa stava attendendo di essere testata.

 

Capitolo 2 - La Base Alpha

Situato a nord-est dell'emisfero visibile della Luna, Copernico si trova nella porzione orientale dell'Oceanus Procellarum. Aquila 8 si tuffò con decisione verso il grande cratere formato oltre ottocento milioni di anni prima da un bolide siderale. Nel centro si trovava Alpha, la cui sagoma era già visibile man mano che il veicolo spaziale si avvicinava. Più che una base, Alpha era una piccola città, con le sue luci, le sue insegne luminose, il suo traffico. Non ricordava nemmeno da lontano le prime piccole installazioni che erano state poste sulla Luna durante gli anni '70 e '80. Cupole a pressione prefabbricate, scatole di metallo che potevano contenere si e no dieci o venti persone per volta e nelle quali non era certo agevole risiedere per periodi prolungati, tra problemi di convivenza e di privacy.

Alpha era la prima città dell'umanità fuori dal suo mondo. Dentro i suoi edifici di metallo, disposti ad anello, duemila tra uomini e donne si muovevano, lavoravano e vivevano stabilmente sulla superficie della Luna. Alle zone di lavoro corrispondevano adeguati spazi per la persona, alloggi che ricordavano da vicino le camere dei più moderni alberghi. C'era persino la metropolitana con le sue due linee tubolari per muoversi rapidamente ai quattro angoli del grande rombo che formava l'intero complesso.

Quando Aquila 8 si posò dolcemente sulla piattaforma circolare, il personale di controllo fece allungare la passerella che avrebbe consentito ai passeggeri di entrare agevolmente dentro la struttura.

Solitamente i voli delle Aquile dalla Terra verso Alpha trasportavano almeno una trentina di persone, destinate ai vari settori della base lunare. Ma quel volo di Aquila 8 da Londra era tutto per il Dottor Bergman. Un piccolo omaggio della British Astronomical Society all'uomo che forse stava per aprire al genere umano la porta delle stelle.

Ad accoglierlo all'altro capo del lungo corridoio, in una piccola stanza arredata con poltrone di plastica bianche e vari divani, c'erano tre persone. Una donna con i capelli corti e neri, dal fisico asciutto e dal sorriso gentile con una uniforme bianca e gialla, tipica del personale addetto alla sala di controllo. Un uomo dai capelli biondi, ben piazzato e dall'aria esperta, con indosso una tuta bianca a strisce rosse ed un giubbotto blu da pilota. Infine un altro uomo, nella uniforme bianca e nera tipica del comandate della base. Dei tre, il comandante era l'unico che Bergman conoscesse personalmente. Era stato proprio lui infatti a proporre ai vertici dell'Agenzia Spaziale Internazionale di mettere John Koenig come nuovo comandante di Alpha.

"Benvenuto Victor!" - Koenig fece un passo in avanti e tese la mano allo scienziato inglese sorridendo.

"E' un piacere essere di nuovo quassù John!" - rispose - "dopo due mesi passati a discutere con tutti gli ingegneri della Gran Bretagna ed i vari manager che sponsorizzano l'impresa, credevo di essere diventato un rappresentante invece che un uomo di scienza!"

Koenig sorrise con comprensione. Sapeva fin troppo anche lui quanto fosse complessa la burocrazia, specie quando bisognava mettere d'accordo i cervelloni di varie nazioni circa questo e quel dettaglio del costoso progetto.

"Permettimi di presentarti i miei collaboratori Victor. Questa é Sandra Benes della sala controllo sistemi di Alpha. E lui é il capitano Alan Carter, capo-pilota e responsabile del reparto Aquile della base".

Cordiali strette di mano e sorrisi, il quartetto si incamminò verso una porta stagna che immetteva in un ambiente più grande, dove una rete di corridoi si perdeva a sinistra ed a destra. Si fermarono davanti ad una porta con la scritta "Travel Tube". La cabina cilindrica della piccola metropolitana era li ad attenderli per portarli nel cuore della Base.

Giunti nella sala controllo, Victor fu ricevuto dagli addetti con un applauso. Sullo schermo la faccia sorridente di un uomo di colore, lo scienziato nigeriano David Kano attendeva di parlare con il suo diretto superiore.

"Come vanno le cose laggiù Kano?" - Bergman si rivolse al suo collaboratore sullo schermo.

"Tutto procede secondo la scaletta Dottor Bergman, i ragazzi qui hanno attivato il generatore principale del mezzo, il campo é stabile e siamo pronti per premere l'interruttore generale, aspettiamo soltanto lei!".

John Koenig invitò con un braccio Bergman verso il suo studio personale. Una volta entrati Koenig premette un tasto sulla sua scrivania ed una porta scorrevole isolò lo studio dal resto della sala controllo.

Sulla sinistra due grandi oblò rettangolari mostravano la "magnifica desolazione lunare" come l'aveva definita Buzz Aldrin soltanto trenta anni prima. Sulla destra un grande mappamondo di metallo raffigurante la Luna poggiava direttamente sul pavimento. Alla parete una pianta della Base, sulla scrivania al centro della stanza le solite scartoffie, un terminale e una tastiera, un comunicatore interno (commlock) con il suo minuscolo visore in bianco e nero, una pila di fogli bianchi e svariate penne.

"Gli attrezzi del mestiere per un comandante di Alpha!" - disse sorridente John Koenig sedendosi - "se pensavi di farmi un favore quando mi hai proposto per questo comando hai capito male Victor! Anch'io sono dietro ad una scrivania adesso!".

Sedutosi di fronte a lui sul bordo delle scale, Victor sorrise. "Dunque ci siamo John! Dopo tutto questo tempo finalmente l'ora della verità é prossima!".

"Sicuro che tutto sia secondo quanto programmato, Victor? Ho seguito Kano e la sua squadra mentre attivavano il generatore laggiù e non sembravano tranquilli come quando colleghi una batteria al motore di un'auto!". John Koenig non aveva perso il suo tono amichevole ma Bergman lo conosceva abbastanza per leggere una nota di preoccupazione nella sua voce.

"Kano mi ha inviato i dati quando ero ancora a Londra John. Il campo é stabile, il generatore M/AM funziona e non c'è nulla che faccia pensare a qualche intoppo. Abbiamo realizzato qui sulla Luna il primo prototipo di motore iperluce. Se la reazione avviene secondo i criteri stabiliti il prototipo verrà lanciato in orbita. é già inserito in un comune razzo a propellente liquido. E successivamente il generatore creerà il campo di curvatura spazio-tempo lanciando il razzo diritto verso Proxima Centauri praticamente all'istante. Gli strumenti a bordo raccoglieranno i dati e poi il razzo ritornerà qui con il suo bel orologio atomico a dimostrazione del poco tempo trascorso per andare e per tornare.

"Spero che sia così Victor, noi facciamo il tifo per te! Ho già fatto allertare i ragazzi della sezione trasporti, hai un bus lunare che ti attende all'hangar numero sei, sarai alla Stazione Ångström in meno di due ore".

 

Capitolo 3 - Il grande esperimento

Tra l'Oceanus Procellarum (a ovest) e il Mare Imbrium (a est) sorge il cratere Ångström a forma di conca, con un bordo circolare e pareti interne che discendono nel piccolo fondo centrale. Il moonbus partito da Alpha aveva compiuto il tragitto sulla superficie della Luna seguendo il tracciato segnato dai precedenti viaggi tra le sabbie. Non mancavano nemmeno i cartelli indicatori per segnare il percorso giusto. Se non fosse stato per la mancanza di vegetazione e per quella piccola sfera blu, bianca e verde fissa nel cielo stellato, si sarebbe potuto credere di percorrere in automobile un qualunque deserto terrestre durante la notte.

Questa volta le comodità di Aquila 8 erano ben lontane. Victor Bergman indossava già la tuta a pressione, il casco era poggiato sul sedile di fianco. In prossimità della meta il piccolo Bus Lunare iniziò a salire sul ripido pendio, alla sommità il veicolo con le sue otto ruote snodabili si protese verso il basso, il guidatore accese i potenti riflettori posti nella parte anteriore e puntò dritto fino al centro del cratere. Il mezzo si fermò sulla piattaforma a pochi metri dalla Stazione. Accompagnato dai due piloti indossò il casco protettivo e passò per la camera di decompressione che dava sull'esterno. Abituato alle piastre gravitazionali dell'Aquila e di Alpha, Bergman barcollò per un paio di passi prima di trovare un assetto dignitoso nella debole gravità lunare. Assistito e sorretto dai due uomini del moonbus che lo avevano accompagnato fin laggiù , Bergman percorse il resto del tragitto verso il piccolo edificio come un bambino tenuto per mano dai genitori nei suoi primi passi. "Dopo quasi mezzo secolo di viaggi nello spazio - pensò Bergman - nessuno aveva ancora inventato delle tute spaziali che facessero sentire a proprio agio chi le indossava!".

Certo le tute di Alpha non erano tozze e goffe come le prime utilizzate dagli astronauti delle missioni Apollo, la loro linea era più snella e consentiva maggiore movimento. Il che era tornato utile specie durante gli anni della costruzione della Base. Ma si era ancora lontani dalle tutine aderenti e trasparenti che Victor aveva visto da bambino disegnate sulle copertine di qualche romanzo pulp nelle edicole di Covent Garden. Con l'eroe in primo piano che teneva in mano una pistola laser che sembrava una spara-chiodi e la bella ragazza in abiti succinti in qualche paesaggio extraterrestre magari minacciati da qualche strano mostro con la pelle verde e le antenne.

Eppure erano state anche quelle ingenue letture fantascientifiche di gioventù a spingerlo a guardare in alto, verso la Luna, verso le stelle. La sua era una famiglia molto ricca, suo padre era un Legale ed avrebbe voluto per lui la stessa carriera. Ma la Fisica e l'Astronomia avevano conquistato il giovane Victor. Dopo gli ultimi due anni passati a trovare finanziamenti per la sua ultima invenzione e due mesi trascorsi a Londra a convincere tutti, compresa l'A.S.I., che il suo progetto era realizzabile, Victor in fondo aveva un po' fatto l'avvocato. Se suo padre convinceva le giurie dell'innocenza dei suoi assistiti, Victor Bergman aveva convinto il gotha della scienza mondiale della bontà della sua "pazza" idea.

La porta della cupola a pressione si aprì automaticamente ed i tre uomini entrarono nella camera stagna. Mezz'ora dopo Bergman, nella sua comoda uniforme standard grigia, stava già ricontrollando i suoi calcoli sulla base dei dati che Kano ed i suoi aiutanti gli mostravano sullo schermo nella comodità delle piastre gravitazionali della piccola installazione.

"Le luci sono tutte in verde Professore" - disse il tecnico di colore - "se lei é pronto possiamo dare il via al conto alla rovescia anche subito!".

Victor Bergman era pronto per quel momento sin da quando, bambino, comprava i fumetti di "Dan Dare, pilota del futuro".

"Attivare il generatore M/AM, conto alla rovescia T-100, pronti ad iniziare la sequenza di lancio!" dichiarò con fermezza.

Dalla sala controllo principale di Alpha, Koenig seguiva, tramite i vari strumenti, le operazioni che si svolgevano a così tanti chilometri di distanza nel cratere Ångström. Lo stesso era per Alan Carter, capo-pilota delle Aquile e Tony Verdeschi, responsabile della sicurezza della Base. Non c'era uomo o donna su Alpha che non stesse seguendo gli avvenimenti del grande esperimento. O dalla sala controllo o dai vari monitor posti ad ogni incrocio di corridoio e persino negli alloggi personali.

Nella piccola e lontana Stazione, Bergman e Kano erano seduti alle postazioni con i loro due aiutanti. Il conto alla rovescia era prossimo a terminare, il razzo privo di equipaggio sarebbe stato lanciato vincendo la scarsa gravità del satellite e successivamente il generatore di campo avrebbe creato il "buco" nello spazio in direzione di Proxima-Centauri, 4.5 anni luce dal Sole. Un tragitto che il prototipo automatico avrebbe percorso in modo istantaneo attirato dalla gravità della nana rossa.

Tutto sembrava funzionare quando una luce rossa ed un suono di allarme si attivarono a T-30 minuti.

Kano fece correre le dita sulla tastiera davanti a sé ed un grafico complesso apparve sullo schermo principale.

"Qualcosa non va come previsto, il generatore M/AM si é attivato troppo presto! "

Bergman sentì una goccia di sudore percorrergli la fronte. "Non é possibile, l 'abbiamo programmato per attivarsi solo dopo l'attivazione del motore a propellente chimico! Ricontrolla!"

"E' tutto sullo schermo, Dottor Bergman!" - la voce dell'ingegnere nigeriano appariva stizzita.

Bergman osservò le letture, non c'era dubbio. Il generatore Materia/Antimateria si era attivato prima del previsto. "Cosi non va maledizione! Interrompi il conteggio, stacca il motore del razzo, non possiamo lanciare con il generatore già attivo!".

Le mani di Kano volarono nuovamente sulla tastiera. "Motore spento ma il generatore non vuole disattivarsi, non capisco!"

Bergman questa volta ebbe un brivido lungo la schiena! "Non si disattiva maledizione! Eppure il campo di contenimento interno é stabile, la reazione tra particelle avviene secondo norma!"

"Che facciamo Professore?" - chiese Kano.

"Il sistema é progettato per ricercare grosse fonti gravitazionali, di massa stellare escludendo quelle più prossime come il nostro sole. Pensavo che il flusso fosse stabile, maledizione! L'abbiamo controllato e ricontrollato mille volte! Se non riusciamo ad interromperlo esso creerà un campo di curvatura direttamente nella stazione!"

"E ci proietterà via?"- chiese Kano sudando visibilmente.

"Se non spegniamo il generatore subito il campo di curvatura rischia di estendersi a tutta la Luna!".

Aveva appena finito di pronunciare queste parole quando un secondo allarme si azionò sonoramente. Una piccola luce con scritto "RADIAZIONI" iniziò a brillare ad intermittenza sul quadro comandi.

"Dottor Bergman, il campo di curvatura é già iniziato, la schermatura non é sufficiente, non possiamo stare qui dentro!"

Bergman era in preda al panico: "No! Dobbiamo utilizzare l'energia disponibile per creare un picco, così che il sistema si spegnerà automaticamente!"

"Ho già delle letture alte di radioattività professore, dobbiamo indossare le tute!" urlò Kano.

Gli uomini della stazione indossarono le tute alla svelta, Bergman voleva rimanere ma si infilò anch'egli la tuta protettiva. "Non c'è più tempo dottore!" - Kano era fermo davanti al professore con la tuta spaziale già indossata - "se il campo di curvatura é già iniziato dobbiamo allontanarci o le radiazioni che fuoriescono dal reattore ci uccideranno! Abbiamo sbagliato qualcosa con la schermatura, é evidente! Ma non c'è più niente che possiamo fare ora! Il contatore Geiger della tuta mi da già oltre 40 rad in aumento! Saremmo morti se non avessimo indossato le tute in tempo!"

Bergman sembrava in trance, gli altri lo spinsero verso il portello stagno e poi fuori verso il moonbus. A grandi e goffi balzi i sei uomini in tuta spaziale rossa e gialla raggiunsero il veicolo e vi entrarono.

Erano da poco partiti lungo il percorso segnato tra le grigie sabbie quando una forte pressione fece schiacciare tutti gli occupanti del bus ai loro sedili. Il pilota armeggiò con la miriade di tasti posti davanti a lui, non sembrava ci fossero falle nello scafo del veicolo e la pressione interna all'abitacolo era costante. La sensazione di schiacciamento durò circa 20 secondi che sembrarono lunghissimi per i sei uomini a bordo del bus lunare a otto ruote.

"Alpha a bus lunare, ci sentite?" - la voce di Koenig usciva forte e netta dall'altoparlante della cabina di pilotaggio.

"Qui moonbus  7, abbiamo abbandonato la stazione Ångström, il generatore é fuori controllo! Cos'è stato quel...?"

"Victor! - la voce di Koenig era disperata - gli strumenti ci dicono che la Luna si sta muovendo! Siamo usciti dall'orbita terrestre, la forza d'inerzia ci ha schiacciati al suolo per una ventina di secondi! Abbiamo un'interruzione nel sistema gravitazionale interno, le torri si sono spente ed altri danni minori. Che diavolo...?"

La mente di Bergman era abituata a funzionare in fretta. "Credo di aver capito John! Il contenimento... qualcosa non ha funzionato con la schermatura del reattore. Sta creando un campo di curvatura tutto attorno alla Luna, lo scossone era probabilmente il campo che inizia a formarsi, ci ha dato una spinta in avanti ma in meno di 20 minuti il campo sarà completo!"

Da Alpha Koenig domandò con voce tremula: "e allora... cosa?"

"Non capisci John!" - urlò Bergman - "Se il generatore continua in questo modo sarà tutta la Luna a fare il balzo iperluce verso Proxima Centauri!"

 

Capitolo 4 - Distacco

L'autobus lunare aveva impiegato due ore per giungere alla Stazione Ångström da Alpha. Lo stesso valeva per il ritorno. Ora Bergman era impossibilitato ad agire, stando nel bus in 6 persone in direzione della base, con la Luna fuori dall'orbita ed un imminente salto attraverso lo spazio-tempo dell'intero satellite.

Da Alpha giungevano notizie sempre più allarmanti: il campo, pur se invisibile ad occhio nudo, interferiva con le comunicazioni con Houston, anche i vari satelliti posti in orbita lunare non davano più segno di ricezione.

Nella sala di controllo di Alpha Koenig ed i suoi collaboratori agivano freneticamente per controllare i dati che venivano dalla stazione Ångström ed apparivano sui vari schermi.

"Fate rientrare tutte le squadre che sono all'esterno, allarme generale, sigillare la base!" - Koenig impartiva ordini frenetici che venivano altrettanto freneticamente eseguiti.

"Ed il trasporto del Dottor Bergman? - domandò Sandra.

"Per loro non c'è tempo, dovranno trovare un riparo in qualche cratere, avvertili subito!"

Sandra Benes eseguì e Bergman con i suoi furono avvisati. Il bus lunare era piccolo ma molto duttile, il guidatore fece rotta per un vicino cratere e li si fermò in una zona d'ombra.

Nella sala di controllo di Alpha ed in tutta la base dominava il panico, Koenig cercava di mantenere il controllo sulla situazione ma si rese conto che era inutile. L'uscita dall'orbita terrestre aveva provocato un'interruzione della gravità artificiale, le torri gravitazionali si erano spente e molti erano andati a sbattere contro le pareti con il brusco ritorno ad 1/6 di G. Anche gli animali nella sezione allevamento non ebbero vita facile con le torri di gravità artificiale momentaneamente disattivate. Isaac Newton si era preso una temporanea rivincita sulle invenzioni di Victor Bergman anche in quel modo. Un attimo dopo una voce di donna risuonò nella sala controllo:"il campo di curvatura é completo" urlò Sandra dalla sua postazione. Poi... nulla! Si erano attesi una sorta di armageddon ma ora tutto sembrava tranquillo. Nessuna scossa, nessun bagliore. Attesero qualche istante con il fiato sospeso ma non accadde nulla.

"Rapporto Sandra! Qual è la condizione del reattore?"

Sandra verificò i dati sul suo terminale. "Il reattore sembra spento comandante! Anzi, mi correggo, é in posizione di stand-by!"

Koenig si rivolse a Paul Morrow che si aggrappava alla sua consolle come se dovesse crollargli il cielo sulla testa da un momento all'altro.

"Paul! Apri un canale con Houston, dobbiamo sapere cosa é succ... - Koenig si fermò a metà - sullo schermo secondario, perennemente puntato verso la Terra c'era qualcosa che non andava.

L'immagine della Terra era sparita ma il monitor funzionava, Koenig poteva chiaramente vedere le stelle ed il buio dello spazio, ma la Terra non c'era!

Quando il moonbus 7 parcheggiò nell'hangar di Alpha i sei uomini si tolsero finalmente le tute. Attesero la luce verde che indicava l'avvenuta ripressurizzazione del locale. Bergman accompagnato da Kano aprì il portellone del Bus e si diresse verso la scaletta a pioli per scendere dal veicolo. Ci mise un po' troppa forza e si ritrovò a fluttuare di alcuni metri verso la parete d'uscita. Le torri di gravità erano ancora disattivate, dunque bisognava muoversi con cautela se non si voleva andare a sbattere contro ogni portellone ad un sesto di G. A balzelloni Bergman e Kano raggiunsero la più vicina entrata della metropolitana tubolare. Giunti alla sala controllo, Bergman e Kano chiesero a Koenig di confermare le notizie che avevano ricevuto via radio durante il viaggio di ritorno dalla Stazione Ångström.

I dati corrispondevano e Bergman, sedutosi davanti al terminare principale, li ripassava e ripassava.

Il generatore alla stazione non era spento, era in stand-by, si stava ricaricando. Al ritmo attuale avrebbe impiegato alcuni giorni per ritornare al massimo della potenza. A quel punto si sarebbe attivato di nuovo attratto dalla successiva massa stellare più vicina. Unica nota positiva il campo di forza dentro il reattore era stabile, le particelle di materia ed antimateria erano contenute come da progetto. Quella forse era l'unica cosa che aveva funzionato, per fortuna!

I dati sul terminale non facevano che confermare ciò che chiunque poteva osservare guardando da un oblò della grande base.

Non era la Terra ad essere sparita, era la Luna che aveva compiuto all'istante un balzo verso Proxima Centauri, era quello il nuovo sole che illuminava Alpha.

"Non c'è un modo per spegnere il reattore M/AM da qui?" - domandò Koenig all'amico Victor.

"No John, i comandi principali sono alla Stazione Ångström ma il livello delle radiazioni é troppo alto, non abbiamo tute che possano proteggerci da quelle radiazioni per un tempo sufficiente!"

"Dunque non possiamo andarci e non possiamo spegnerlo da qui, é corretto?"

"Sì John, purtroppo al momento é cosi!" disse Bergman con tono rassegnato.

"Mio Dio Victor! Ti rendi conto della nostra situazione? Siamo tagliati fuori da tutto ad oltre 5 anni luce dalla Terra! Ho metà del personale in infermeria per le conseguenze delle cadute durante l'uscita dall'orbita, la dottoressa Russel riferisce che non c'è nessun ferito grave ma..."

Kano si intromise nella conversazione tra i due indicando i dati che apparivano su un piccolo palmare che teneva in mano.

"Credo che sia anche peggio di così comandante! Secondo queste ultime letture il generatore di campo si attiverà nuovamente tra 18 giorni circa: quando sarà al massimo della potenza il sensore interno rileverà la massa stellare successiva più vicina e la Luna sarà di nuovo proiettata in avanti!"

Bergman verificò i dati e si rivolse al comandante Koenig: "Temo che abbia ragione John, il generatore é fuori controllo, il campo ora sarà più stabile, non dovremo attenderci gli scossoni dell'uscita dall'orbita terrestre, il passaggio sarà istantaneo. Come una pallina di un flipper, la Luna sarà proiettata verso la stella vicina successiva quando il generatore si sarà ricaricato! E per il momento non possiamo farci niente!".

 

Capitolo 5 - Perduti nello spazio

Le operazioni di ripristino del funzionamento delle torri gravitazionali richiesero alcune ore. Koenig ringraziava che almeno la luce di Proxima Centauri illuminasse e desse energia ai pannelli solari che alimentavano la maggior parte dei sistemi di Alpha in quel momento. Con tutto ciò che era accaduto aveva fatto spegnere temporaneamente il grande reattore a fusione che forniva energia alla base. Il ritorno di una gravità di tipo terrestre all'interno della base aveva facilitato molte delle operazioni di riparazione. Ma nelle 25 ore di gravità lunare si erano registrati molti incidenti banali, gente che aveva sbattuto contro porte chiuse, capocciate, cadute per mancanza di attenzione mentre si camminava nei corridoi della base. Anni di utilizzo della gravità artificiale avevano fatto dimenticare persino agli alphani quanto poca cosa fosse la gravità della Luna.

Al fondo di un lungo corridoio John Koenig si trovò davanti ad una porta con la scritta "Sickbay" in rosso. Il comandante armeggiò con il suo commlock, il piccolo comunicatore che fungeva anche da apri-porte all'interno della base. Con un sibilo leggero i portelli dell'infermeria si aprirono davanti a Koenig.

C'erano circa una ventina di persone all'interno, la maggior parte dei quali con ferite non gravi, qualche benda e molti lividi. La dottoressa Russel era al centro della stanza e parlava con il suo vice, il dottor Mathias. Koenig si diresse verso di loro.

"Come vanno le cose qui, Helen?"

"Non troppo male, John!" - rispose la dottoressa Russel. "Qualche bernoccolo e nulla più, ma il ripristino della gravità artificiale interna ci facilita molto le cose, io stessa per poco non saltavo due letti con un balzo qualche ora fa!".

Koenig conosceva Helen Russel da molto tempo. Si erano incontrati a Houston oltre dieci anni prima quando lei era medico al Centro Spaziale e lui un giovane astronauta e pilota collaudatore delle Aquile. Koenig era diventato molto amico del marito di Helen, Lee Russel, brillante medico della NASA. I tre erano molto legati e tutto sembrava andare bene fino all'incidente dell'Astro 7 nel 1994. Lee Russel era medico di bordo sulla prima nave modello "Aquila" che aveva raggiunto lo spazio di Giove in sole quattro settimane. Il propulsore a Muoni aveva funzionato perfettamente e cosi la gravità artificiale della navetta. Qualcos'altro però era andato storto e si erano persi i contatti. Tutti i membri dell'equipaggio, compreso il marito di Helen, erano verosimilmente morti. In seguito a quella tragedia, Helen aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento su Alpha. Quando lui aveva assunto il comando della Base, nell'agosto del 1999, l'aveva ritrovata lì, dopo cinque anni di interruzione dei loro rapporti. Forse lui le ricordava gli anni felici allo Space Center di Houston, con Lee ancora al suo fianco. O così pensava John Koenig. Forse era per questo che lei aveva chiesto il trasferimento. Fatto sta che non si erano più sentiti dalla morte di Lee fino al nuovo incarico di Koenig sulla Luna.

"Bene, vi lascio lavorare. Credo che avremo tutti i sistemi nuovamente operativi in poco tempo, fatemi sapere se vi serve qualcosa!" disse freddamente Koenig.

Era appena uscito dall'infermeria quando il suo comunicatore che teneva agganciato alla cintura emise il classico "beep". Sul piccolo schermo in bianco e nero apparve il volto di Sandra Benes.

"Comandante, penso che dovrebbe venire in sala controllo, il dottor Bergman le vuole parlare!".

Koenig si diresse a passo svelto verso la più vicina entrata della tubolare, dieci minuti dopo era in sala controllo.

L'attività nella grande sala era al massimo. Il dottor Victor Bergman era davanti al computer principale, Kano lo assisteva.

"Qualche novità Victor? David?" chiese Koenig.

"Confermiamo i dati già esposti in precedenza John, tra meno di 18 giorni il generatore farà compiere alla Luna un altro balzo verso la stella più vicina, e così all'infinito se non troviamo un modo di riportarlo sotto controllo. Non registro perdite nel reattore, é solo fuori controllo."

Quel "solo" nelle parole di Bergman suonava quasi umoristico a Koenig. La Luna si trovava vicino a Proxima Centauri e gli stavano dicendo che sarebbe continuata a saltare da una stella all'altra per un generatore impazzito che nessuno, forse nemmeno il suo creatore, era in grado al momento di dirigere.

"Abbiamo tracciato una possibile rotta, Comandante" - disse David Kano. "Secondo i nostri calcoli queste sono le prime stelle che la Luna raggiungerà di qui ad un anno, per ulteriori informazioni vedremo in seguito".

Kano indicò a Koenig una mappa stellare sullo schermo del grosso computer affianco alla parete.

"Quindi, se ho capito bene, la Luna avrà circa 18 giorni di intervallo nello spazio normale tra un salto e l'altro giusto?"

"Giusto John" - rispose Bergman - "purtroppo ora come ora non sappiamo come riportare sotto controllo il generatore alla Stazione Ångström, per fortuna il passaggio vicino a queste stelle garantirà una illuminazione continua della Luna con tutto ciò che comporta in termini di luce, calore ed energia. Il salto é istantaneo quindi solo gli strumenti ed il cambio del paesaggio stellare ce lo indicherà con sicurezza".

"Abbiamo pensato una cosa, Comandante" - aggiunse Kano - "si potrebbe inviare un segnale verso la Terra tramite i nostri radiotelescopi lunari finché siamo ancora nel sistema di Proxima. Il segnale giungerà sulla Terra tra cinque anni viaggiando alla velocità della luce. Per allora chissà dove saremo ma almeno giù a casa sapranno che non siamo morti. Non ancora per lo meno!".

Koenig annuì. "Mi sembra una buona idea, di quanta energia avrete bisogno per la trasmissione?"

Rispose Bergman: "una volta riattivato il generatore principale a fusione, credo che ci servirà un 15% di energia per circa un'ora per calibrare il segnale e puntarlo verso casa prima del prossimo salto".

Intanto, sulla Terra, l'umanità si apprestava a trascorrere la prima notte senza Luna da quando esistevano gli esseri umani ed ogni altra forma di vita sul pianeta.

 

Capitolo 6 - Una giornata lunare

Una gentile melodia svegliò Koenig dal sonno. Nella penombra della stanza l'uomo allungò il braccio destro ancora con gli occhi chiusi cercando - e trovando - il tasto della radio sveglia sul comodino a fianco al letto. Aprendo gli occhi con lo sguardo verso la piccola finestra, Koenig fissò per qualche istante il paesaggio all'esterno. Solo una sezione di Alpha era visibile sulla sinistra, per il resto si presentò agli occhi del comandante l'usuale scena del grigio deserto della Luna. Sul display elettronico della radio sveglia apparivano i numeri 7.02 seguiti in piccolo da 02-07-04. "E' proprio ora di alzarsi!" - pensò Koenig. Meglio sarebbe stato con un buon caffè caldo se non fosse che le scorte di caffè si erano esaurite da un pezzo. Il dottor Mathias aveva cercato di sintetizzarlo con i pochi grammi rimasti qualche anno prima, ma il risultato non era stato di quelli da ricordare. Guardando sul lato sinistro del letto vide che Helen non c'era più. L'ufficiale medico capo aveva, come era ovvio, orari molto spesso diversi dai suoi. Sicuramente un caso aveva richiesto la sua presenza in Infermeria e lei si era alzata senza svegliarlo.

Venti minuti dopo John Koenig si era lavato, aveva indossato una uniforme pulita ed aveva fatto colazione, una tazza di cioccolata calda. Se non altro il latte era fornito ancora dalle mucche nella sezione allevamento della Base. Koenig cercò di ricordare perché nella sezione culture idroponiche ci fossero piante di cacao e non quelle del caffè. Il comandante era in fila davanti alla porta numero 25 del "Travel Tube". Al suo fianco una dozzina di altre persone in uniforme, tra uomini e donne, si apprestavano a prendere servizio come lui, chiacchierando tra loro o leggendo piccoli palmari che tenevano in mano.

"In fondo c'è meno coda che alla metro' di New York" - pensò Koenig sorridendo da solo per il sottile humor.

Quando le porte automatiche si aprirono, tutti presero posto nei sedili che trovarono liberi. Allacciatisi la cintura, attesero sempre chiacchierando o ripassando i compiti della giornata che il grande cilindro che li trasportava arrivasse a destinazione.

Giunto in sala controllo Koenig trovò Sandra Benes e Paul Morrow già seduti alle loro postazioni. Maya era in piedi affianco a loro davanti al reparto sensori.

Koenig pensò che avesse appena preso servizio anche lei, poi si ricordò che quella donna psyconiana era in grado di stare anche una settimana senza dormire o assumere cibo. Particolarità del suo fisico alieno, delle sue capacità metamorfiche unite a chissà quali altri fattori genetici tipici della sua specie.

A parte le sopracciglia crespe inarcate all'insù ed una sottile peluria ai lati delle guance - che ricordavano un po' delle basette - Maya appariva come una donna umana. E per giunta molto bella. L'uniforme del personale di controllo sistemi di Alpha non faceva onore al suo fisico. Koenig ricordava la prima volta che l'aveva vista, nella cella del pianeta Psycon, quando lui ed i suoi compagni erano tenuti prigionieri da Mentor, padre di Maya ed ultimo grande scienziato del suo popolo ormai estinto.

Maya indossava in quell'occasione un abito tanto elegante quanto trasparente, che esaltava le sue forme in maniera imbarazzante. L'uniforme grigia e rossa di Alpha che portava ora decisamente non le donava quanto quell'abito regale. Come tutti quelli della sua specie, Maya era in grado di mutare la propria forma sino a trasformarsi in qualunque altro essere le venisse in mente. Non poteva però mantenere a lungo le sue trasformazioni, al termine delle quali Maya rimaneva completamente nuda.

Koenig ricordò ancora l'imbarazzo con cui - su Psycon, mentre l'installazione ipertecnologica di suo padre stava per autodistruggersi - aveva offerto a Maya, per coprirsi dopo una trasformazione, il suo giubbotto arancione d'ordinanza. Un piccolo gesto di cavalleria mentre la priorità di quel momento era di raggiungere le Aquile prima che il complesso saltasse in aria. Al contrario di lui e dei suoi compagni, Maya non si curava molto di questo aspetto. Il pudore degli Psyconiani era decisamente diverso dal loro. Se fosse dipeso da Maya probabilmente avrebbe girato per i corridoi di Alpha con il medesimo abito succinto con il quale l'aveva vista la prima volta.

Ma lui era il Comandante e persino nella loro situazione particolare il regolamento della Base imponeva un certo vestiario al personale cui anche Maya dovette adeguarsi.

"Vi vergognate del vostro corpo fino a questo punto?" gli aveva domandato Maya una volta, perplessa.

Koenig aveva faticato non poco a spiegare il pudore degli Umani all'ultima superstite di Psycon.

Su Alpha non mancavano le donne naturalmente, ma essendo Maya decisamente bella, erano stati tanti gli uomini che avevano fatto la corte all'unica aliena residente nella Base. Dopo una decina di volte in cui la Psyconiana si era trasformata in qualche strano animale per spaventare uomini che si erano spinti troppo in la' con le avanches o l'avevano fatta arrabbiare, Koenig aveva spiegato a Maya che lo scopo di certe insistenze era per alcuni proprio il vederla trasformarsi. Non per la curiosità delle sembianze che avrebbe assunto quanto per la visione del "dopo".

Alla lunga, dopo non poche punizioni che Koenig aveva impartito ad alcuni dei suoi per averla provocata e molte uniformi lacerate, Maya aveva imparato a controllarsi. Per dirla in altri termini "non ci cascava più" e si limitava a dire "no , grazie!" o "gira al largo!".

In effetti, l'unico uomo di Alpha che sembrava essere arrivato con Maya dove tanti altri prima di lui avevano fallito, era Antonio Verdeschi, detto Tony, il capo della sicurezza interna della Base.

"Il solito fascino latino!" - aveva pensato Koenig. Maya era ormai parte del personale di Alpha, di quella grande famiglia perduta nello spazio. In dote aveva portato, oltre alle sue capacità metamorfiche, la sua grande esperienza ed il piccolo medaglione che era in realtà un computer sofisticatissimo. Da esso i tecnici di Alpha avevano estrapolato la tecnologia per il "traduttore linguistico" come anche molte informazioni circa le varie specie aliene che gli Psyconiani avevano incontrato nei loro viaggi per la galassia.

Terminata la lettura dei rapporti giornalieri dalle varie sezioni di Alpha, Koenig pensò fosse giunto il momento di andare a trovare il dottor Bergman.

Da quattro anni Koenig aveva affidato la sala controllo numero uno al gruppo di lavoro di Victor, coadiuvato da Kano e pochi altri tecnici.

Dalla sala di controllo uno, il dottor Bergman teneva costantemente in osservazione il generatore di curvatura alla Stazione Ångström e cercava di trovare una soluzione per riportare il complesso congegno sotto controllo. Se un giorno ci fosse riuscito, il suo successo avrebbe rappresentato un biglietto di ritorno a casa per tutti gli abitanti di Alpha.

La piccola metro' della Base portò Koenig alla meta desiderata in pochi minuti. Entrando vide subito Kano, alle prese con complesse equazioni sullo schermo principale. Al suo fianco, Victor Bergman armeggiava con i comandi del computer. Bicchieri di carta, bottigliette di plastica e qualche piatto sporco, cumuli di carte stampate sparse o accartocciate sul pavimento. La sala controllo uno, che oramai era il laboratorio personale di Victor, aveva un aspetto decisamente "vissuto".

"Come vanno le cose oggi, Victor?" - domandò sorridente Koenig.

Bergman fece un segno con un dito, era impegnato in chissà quali test e prima di rispondere al saluto del comandante voleva esser certo di non commettere qualche errore.

"Salve John - disse poi lo scienziato inglese - se sei venuto per portarmi a cena sappi che Kano ci ha già provato ma sto facendo calcoli molto complessi e... "

Koenig lo interruppe. "Victor, da quanto tempo sei qui? Cena? Sono le 9 e un quarto del mattino!".

Il vecchio astrofisico sollevò lo sguardo dal terminale sul quale era chino e si appoggiò allo schienale del seggiolino. "Temo di aver perso la cognizione del tempo John, credo di essere qui da ieri pomeriggio!".

Koenig non ne fu sorpreso. Victor Bergman aveva preso il compito di riportare sotto controllo il generatore di curvatura alla Stazione Ångström molto sul serio. Dal giorno dell'incidente, il 13 settembre 1999, Bergman aveva iniziato un lavoro complesso e difficile. Si sentiva responsabile unico delle circostanze che avevano portato tutta la Luna, e duemila persone su Alpha, a perdersi nello spazio profondo.

"Vieni con me Victor, ti accompagno ai tuoi alloggi!"- disse Koenig con tono quasi compassionevole.

Il vecchio scienziato sorrise stancamente e si alzò per seguire il comandante con un'espressione tanto rassegnata quanto sfinita.

A dire il vero la giornata di lavoro del comandante era appena iniziata. Accompagnato Bergman ai suoi alloggi con l'ordine di riposare almeno qualche ora, Koenig si incamminò verso un lungo corridoio. Uomini e donne andavano e venivano, chi lo salutava con deferenza, chi accennava un saluto passando in fretta, pressato  dalle esigenze del suo settore operativo. Il lungo tappeto blu che indicava il percorso al centro del ristretto spazio dei corridoi, faceva da contrasto alle pareti metalliche bianche. Porte che si aprivano e si chiudevano e, ad ogni intersezione, una colonna rettangolare di servizio che dal pavimento si collegava al soffitto. Su di essa quattro monitor per ogni lato per le comunicazioni interne, tastiere e varie lucine intermittenti. Imboccato un corridoio laterale, Koenig aprì uno scomparto dal quale estrasse un giubbetto blu. Successivamente utilizzò il suo commlock per aprire la porta di un piccolo ascensore e premette il pulsante "livello 2".

L'ascensore silenziosamente portò Koenig al livello più basso di Alpha, circa una trentina di metri sotto il piano terra di quella sezione. Quando la porta si aprì Koenig senti un freddo pungente, era di sicuro ben al di sotto dei 18 gradi delle restanti sezioni della Base. Fece qualche passo ed entrò nel grande hangar dove, allineate una dopo l'altra, si trovavano le Aquile.

L'hangar era molto più freddo del resto della base perché era inutile sprecare tanta energia per riscaldare un ambiente cosi grande che alla fine era un grosso garage. Ogni Aquila poggiava su di una sorta di pedana mobile che la portava su di un elevatore idraulico al fine di sollevare questa o quella fino alla piattaforma di lancio prescelta una volta chiuse le paratie stagne superiori. Il via vai dentro il grande ambiente era notevole, Koenig fermò un uomo che guidava un "muletto" e si fece dare un passaggio fino al centro del grande hangar vicino a dove poggiava Aquila 18.

Sceso dal muletto, Koenig avanzò fin sotto l'Aquila verso un gruppetto di uomini, anche loro con il giubbetto blu, che stavano armeggiando con vari attrezzi sul supporto posteriore sinistro del mezzo spaziale.

"Buongiorno Alan, mi hanno detto che avete dei problemi con questa!" - Koenig poggiò sonoramente una mano sullo scafo della grande Aquila.

Alan Carter distolse lo sguardo dal suo lavoro e si rivolse al comandante.

"Un dannato sasso ha spaccato il tubo del compressore di questa gamba, é successo ieri sera di ritorno dalla zona mineraria sull'altopiano di Fra' Mauro. Probabilmente un errore del pilota che si é avvicinato troppo agli spuntoni di roccia al momento del decollo. Gli ho già fatto una lavata di testa John!".

"Si può riparare?" - domandò Koenig.

"Penso di si, ma non é che i pezzi di ricambio abbondino quassù!" - rispose Carter aggiungendo una espressione colorita che doveva essere tipica della gente delle sue parti, sperdute in mezzo al deserto australiano.

"Fammi sapere quando il lavoro sarà finito e se ti serve qualcosa, non é escluso che in magazzino giù alla sezione 4 ci sia ancora qualche tubo di ricambio ancora imballato da qualche parte..." - rispose Koenig congedandosi dal capo-pilota.

La Dottoressa Russel si portò una mano davanti alla bocca per coprire un profondo quanto sentito sbadiglio. Era in piedi dalle 6 del mattino per seguire il travaglio di Janet Cassidy. Ora un nuovo membro del personale si era aggiunto alla famiglia di Alpha, un bel maschietto di 3 chili e mezzo. Era il primo dei nati nello spazio da quando avevano lasciato l'orbita terrestre quattro anni e mezzo prima. Il fatto che Janet e suo marito Ralph avessero deciso di avere un figlio era positivo, per loro e per il morale di tutti. La Dottoressa aveva già dato ordine di diffondere la notizia per tutte le sezioni della Base. Di sicuro il bimbo avrebbe potuto entrare nel Guiness dei Primati per essere nato così lontano dalla Terra. Se solo ci fosse stato un modo per avvertire gli Uffici del Guiness a Londra, a quasi un centinaio di anni luce di distanza.

Per il resto non c'erano molti pazienti in Infermeria in quel momento. Giusto il pilota scelto Mitchell che si era presentato con un occhio nero ad inizio mattina. Diceva di esser scivolato nella doccia. Helen Russel tuttavia riconosceva nel grosso livido sull'occhio sinistro di Mitchell la firma del responsabile del reparto volo, Alan Carter. Il capo pilota australiano era particolarmente suscettibile quando gli danneggiavano le "sue" Aquile.

Quando le porte dell'Infermeria si aprirono, Helen andò incontro sorridendo al nuovo venuto, il comandante Koenig.

"Ho sentito il comunicato del dottor Mathias da uno dei monitor dei corridoi mentre venivo qui. Sembra che da oggi abbiamo un altro cadetto!" - disse Koenig col sorriso sulle labbra mentre poneva un braccio attorno ai fianchi della Dottoressa Russel.

"Mi hanno avvisata stamattina presto con il commlock che il travaglio era iniziato. Dormivi cosi profondamente che mi sembrava un delitto svegliarti!" - rispose Helen - "pensi che si possa ottenere un po' di latte in polvere dai ragazzi giù alla sezione allevamento?".

"Immagino di si, ma ci vorrà un po' per lavorarlo credo", rispose sorridente Koenig. "Forse in futuro potranno anche preparare qualche omogeneizzato o qualcosa che almeno gli somigli!".

Tony Verdeschi nel suo lavoro era un perfezionista. Tutti si ricordavano dei compiti urgenti che aveva dato da fare a quelli della sezione tecnica dopo l'uscita dall'orbita terrestre. Quando aveva saputo che la Luna avrebbe attraversato numerosi sistemi stellari e magari avrebbero incontrato forme di vita aliene, forse ostili, Tony si era impuntato perché quelli della "Tecnica" trasformassero i rozzi laser per gli scavi minerari in qualcosa di simile ad un'arma portatile per quelli del suo reparto, la Sicurezza Interna di Alpha.

Da lì erano nate le pistole che ora tutti i suoi uomini avevano a disposizione. Con una forma a ferro di cavallo, le pistole emettevano due tipi di raggi. Una luce laser potentissima in grado di forare la roccia ed i metalli più resistenti , come era già prima. Ed una scarica elettrica concentrata, capace di tramortire un toro. E questo era un dato certo, ne sapeva qualcosa un animale della sezione allevamento della Base. Il tutto unito ad un manico maneggevole ed un peso non eccessivo. Tony ed i suoi ne portavano sempre una alla cintola in una specie di fondina.

Le armi volute da Tony Verdeschi erano tornate utili in più di un'occasione. Contro i criminali di Golos che avevano tentato di impadronirsi di Alpha dopo essere stati recuperati in quelle capsule di ibernazione alla deriva nello spazio, contro quegli androidi della stella Vega, o dove diavolo era, nei quali si erano imbattuti in un'altra occasione e con l'invasione di quel Robot alieno che voleva a tutti i costi portar loro via il generatore a fusione della base. Ed in tanti altri incontri con forme di vita ostili sui pianeti che gli alphani avevano visitato con le Aquile durante il vagabondare della Luna nello spazio. Quando John Koenig entrò nella sezione Sicurezza, Verdeschi era impegnato a mostrare ai suoi uomini una cartina di Alpha su un grosso schermo alla parete, indicando i punti dove, secondo lui, doveva essere rafforzata la guardia in caso di un attacco alieno.

"Vedo che il lavoro non ti manca Tony!" - disse con tono scherzoso Koenig.

"John - rispose Tony assolutamente serio - gli ultimi "salti" (si riferiva al procedere della Luna da una stella all'altra ogni 18 giorni) non ci hanno fatto certo rilassare! Sembra che tutti i mascalzoni della galassia abbiano qualcosa di personale contro di noi!".

"Ti capisco Tony, ma tu e i ragazzi state facendo un ottimo lavoro! Ci vediamo all'ora di cena se sarai più libero. Io credo che pranzerò in Infermeria con Helen. Hai sentito la notizia?"

Tony Verdeschi sorrise.

Il resto del "pomeriggio" era trascorso con la solita routine quotidiana. I responsabili di questo o quel settore avevano tutti qualcosa di "urgente" e "inderogabile" da ottenere, il comandante era lì per cercare di accontentarli rassicurando che quanto prima avrebbero avuto ciò che serviva.

Dalla zona mineraria era arrivato, con un'Aquila da trasporto, un nuovo prezioso carico per il rinnovo della riserva di ossigeno. Ai ragazzi del reparto era concesso un meritato riposo dopo 12 ore a tagliare roccia col laser sull'altopiano di Fra' Mauro ad un sesto di gravità e dentro scomode tute a pressione. Alan Carter aveva finalmente riparato il tubo rotto della gamba posteriore sinistra di Aquila 18 smontando qualche pezzo qui e qualcuno là di altri mezzi spaziali, Tony Verdeschi non era ancora soddisfatto della ripartizione dei turni di guardia nei centri nevralgici della Base ed aveva tenuto Koenig chino su una pianta della base per tutta la durata della cena in sala mensa illustrando le sue idee. Victor Bergman aveva forse riposato qualche ora prima di tornare in sala controllo uno a lavorare su come riprendere il controllo del generatore di curvatura alla Stazione Ångström. Maya era finalmente andata a dormire dopo quattro giorni di veglia continua.

Quando Koenig varcò la soglia del suo alloggio erano circa le nove di sera. Una doccia, la vestaglia e la giornata di John Koenig poteva dirsi terminata. Mentre beveva un bicchiere d'acqua sdraiato sul letto il "beep" del comando porta lo informò che Helen stava... rincasando.

Per circa venti minuti Helen gli parlò del via vai in Infermeria, tutti volevano vedere il neonato, il figlio dello spazio. I coniugi Cassidy erano soddisfatti e sfiniti. Janet per il parto e Ralph a forza di stringere mani dei colleghi che si congratulavano. Sandra aveva portato anche un fiocco azzurro, fatto da lei personalmente ritagliando non si sapeva quale vecchio nastro. I ragazzi della sezione allevamento avevano procurato a tempo di record il latte in polvere per il bimbo.

John gli chiese se voleva vedere un film. La sezione "cinema" di Alpha era molto fornita, bastava selezionare il titolo perché il film fosse trasmesso sullo schermo dell'alloggio richiedente.

Per tutta risposta, Helen apparve dalla porta del piccolo bagno con la camicia da notte rosa parzialmente slacciata.

L'indomani, puntualmente alle sette, la piccola radio-sveglia emise di nuovo la gentile melodia di Johann Strauss.

John Koenig si voltò sul lato sinistro del letto, Helen dormiva al suo fianco.

 

Capitolo 7 - Emergenza medica

Dalla cima della collina dove avevano lasciato l'Aquila, le due figure in tuta spaziale rossa e casco giallo avevano percorso circa mezzo chilometro passeggiando a piccoli balzi verso valle. La sabbia lunare si sollevava appena al loro passaggio mentre, in alto, la luce della stella gialla proiettava le loro ombre in maniera irregolare sulla superficie.

Giunti in vista della loro meta i due si fermarono ad osservare una fila di impronte che portavano verso un oggetto che si trovava a non più di cento passi nel deserto selenico. Illuminato in pieno dai raggi della stella, l'oggetto emanava un bagliore particolare.

"Ecco la pentola d'oro, se fossi irlandese mi guarderei attorno per cercare un leprecano!" - disse con tono ironico Tony Verdeschi al microfono posto dentro il suo casco.

"Cos'è un leprecano?" - replicò Maya.

Tony sorrise, "lascia stare, te lo racconterò un'altra volta, in effetti poi manca anche l'arcobaleno!".

Maya non capiva le parole di Tony. La sua attenzione era ancora rivolta al picco lo oggetto al centro della fila di orme.

"E cosi é questo il posto! Avevo visto le fotografie sui computer della Base ma il modulo non sembrava cosi piccolo!" commentò meravigliata la donna Psyconiana.

"Signorina" - disse Tony con il sorriso che traspariva anche dalla visiera del casco - "ecco la prima Aquila! O per meglio dire la parte inferiore di essa. Qui Neil Armstrong e Buzz Aldrin, due americani, effettuarono il primo allunaggio trentacinque anni fa. Queste sono le loro impronte. Peccato non poterci avvicinare di più, la targhetta della missione conteneva una frase molto bella e commovente! Purtroppo questa zona é off-limits per motivi storici, o almeno cosi era quando eravamo vicino a casa, é già molto essere arrivati fin qui a piedi!" .

Di fronte alla coppia di passeggiatori, l'ottagono del "LEM", avvolto nel rivestimento color oro e sorretto da quattro gambe di atterraggio che poggiavano delicatamente nella sabbia lunare, si ergeva a perenne ricordo della storica impresa.

"Se ti sembra piccolo questo avresti dovuto vedere il "Columbia", il piccolo razzo che aveva portato i tre astronauti americani dalla Terra alla Luna e ritorno! Niente a che vedere con le nostre comode e spaziose Aquile. Il razzo a propellente chimico aveva impiegato quattro giorni per portarli sulla Luna. La propulsione a muoni di un Aquila poteva coprire quella distanza in due ore! I miracoli delle pile Bergman!" - disse Tony sempre sorridente.

Verdeschi si trovò a riflettere un istante sul fatto che era stato un altro "miracolo", questa volta non voluto, del Dottor Bergman a portare la Luna e tutti gli abitanti di Alpha a decine di anni luce dalla Terra.

Maya non aveva staccato gli occhi dal "LEM". Per quanto primitivo fosse ai suoi occhi quel mezzo era comunque un pezzo di storia umana che la Psyconiana aveva studiato con interesse insieme a molte altre cose.

"Hai detto che c'era una bella iscrizione sulla targa che vedo su un lato del veicolo ma da qui non riesco a leggerla! Cosa dice?" chiese Maya.

"Forse sarà meglio che prima ti spieghi cos'è un leprecano!" - rispose divertito Tony.

Nella sala di controllo due di Alpha, il tecnico Paul Morrow ed il comandante Koenig osservavano l'immagine al centro del grande schermo sulla parete, un puntino blu nel buio dello spazio.

"Sicuro che sia un pianeta di tipo terrestre?" - domandò Koenig.

"A questa distanza non c'è nulla di sicuro, questo é il massimo ingrandimento che riusciamo ad ottenere dal telescopio!" - rispose lo scozzese. "Comunque gli strumenti ci dicono che si trova alla distanza giusta dalla stella, né troppo lontano né troppo vicino. L'anali spettrografica indica vari elementi che risultano... familiari, potrebbe esserci acqua allo stato liquido, sicuramente ossigeno, pressione atmosferica circa come a casa. Il problema é che é fuori portata! ".

"Tempo di navigazione con un'Aquila?" - chiese Koenig. "Oltre tre settimane! E la Luna farà il prossimo salto tra dodici giorni, John".

"Accidenti!" - mormorò Koenig seccato. Il pianeta era ad una distanza tale che gli strumenti di Alpha l'avevano rilevato appena. Dalla loro prospettiva era "sorto" dal lato sinistro della Stella gialla che li illuminava in quei giorni. Non si poteva dare il via all'operazione "Exodus" - l'evacuazione completa di Alpha - senza una ricognizione preventiva delle reali condizioni di quel mondo e partire senza essere sicuri era una follia. Anche se fossero partiti tutti subito con tutte le 50 Aquile a disposizione, avrebbero impiegato troppo tempo a raggiungere il pianeta. Se le sue condizioni ambientali non fossero risultate accettabili non avrebbero avuto un posto dove tornare visto che il generatore di curvatura giù al cratere Ångström avrebbe fatto fare alla Luna il salto spazio-tempo in soli dodici giorni.

"Qualche segnale radio dal pianeta?" - chiese Koenig a Sandra Benes, seduta di fronte al suo terminale.

"Fin'ora nessuno comandante" - rispose la giovane donna - "abbiamo scandagliato tutte le frequenze, o non c'è nessuno laggiù oppure usano mezzi di comunicazione troppo primitivi o che non conosciamo! Abbiamo inviato un nostro segnale radio appena abbiamo avvistato il pianeta, dovrebbe aver impiegato circa un'ora per arrivare ma questo é stato più di tre ore fa, nessuna risposta!".

Erano circa le 18, ora di Alpha, nel grande hangar navette Alan Carter era impegnato come al solito a controllare che tutto fosse a posto. Dal grande finestrone della sala di lancio, si poteva vedere la fila di Aquile allineate una affianco all'altra ed il solito via vai di tecnici e piloti tra le fredde pareti metalliche della struttura. All'appello mancavano cinque mezzi spaziali. Tre erano parcheggiati sulle altre piattaforme di decollo e atterraggio della Base. Una era alla zona mineraria tra le montagne di Fra' Mauro. L'ultima l'avevano presa Tony e Maya per la loro "passeggiata romantica" al Mare della Tranquillità.

Non che le Aquile fossero a disposizione di chiunque e potessero essere utilizzate a piacere. Era stato un piccolo regalo che il comandante aveva voluto fare al capo della sicurezza di Alpha ed alla sua fidanzata. Forse un premio per le tante volte che Verdeschi ed i suoi avevano "salvato la giornata" nel recente passato quando si erano trovati alle prese con visitatori decisamente non amichevoli.

Alan si alzò dalla seggiola davanti alla console e prese una tazza di cioccolata calda dalla macchinetta nell'angolo. Aveva buttato giù qualche sorso quando un improvviso dolore interno gli fece cadere il contenitore dalla mani. Una fitta istantanea e profonda che era partita da dentro e si stava ora estendendo alle braccia ed alle gambe.

Il capo-pilota barcollò fino ad un piccolo specchio alla parete, le gambe avevano iniziato a tremargli in maniera evidente. Dall'immagine riflessa sembrava tutto normale, la solita faccia del bellimbusto sognatore del Queensland, che aveva voluto andare sulla Luna quando quasi tutti i suoi compagni di scuola non s'erano mai allontanati dalle loro quattro mura nel deserto australiano. Cos'era quella fitta improvvisa? Che si fosse preso un'altra influenza a forza di stare nell'ambiente decisamente poco riscaldato dell'hangar navette?

Carter si passò una mano tra i capelli mentre si osservava allo specchio. Con sua sorpresa una ciocca si staccò come se non fosse neanche sua. "No - pensò Alan con stupore e preoccupazione - qualunque cosa sia non é influenza!".

La Dottoressa Russell era china su un microscopio elettronico, osservando con attenzione un campione di sangue ingrandito 1000 volte poggiato su una piastra di plastica trasparente in un angolo dell'infermeria. Attorno a lei era il caos, tutti i 50 letti erano ormai occupati e le infermiere faticavano a stare dietro ai pazienti già ricoverati quando già si presentava la necessità di ricevere altri degenti. La fila davanti alla porta si era allungata notevolmente nelle ultime due ore e la Dottoressa aveva proclamato l'Emergenza Medica.

Tra i primi era giunto Alan Carter. A dire il vero non era arrivato con le sue gambe, aveva fatto in tempo a chiedere aiuto con il commlock prima di perdere i sensi. Quando il personale dell'infermeria era arrivato giù all'hangar lo avevano trovato disteso per terra mentre un pilota a fianco a lui gli reggeva la testa. Lo avevano portato in barella con un codice rosso.

Poi, molto rapidamente, erano iniziate a giungere richieste di soccorso medico da quasi ogni angolo di Alpha.

Nella confusione si fece largo il comandante Koenig, visibilmente preoccupato.

"Che diavolo sta succedendo, Helen? Abbiamo una qualche epidemia?"

La Dottoressa Russell distolse lo sguardo dal microscopio elettronico e si rivolse al nuovo venuto.

"No John, all'inizio ho pensato che fosse così ma i sintomi sono troppo diversi tra loro! Per precauzione ho chiesto anche ai ragazzi del reparto energia se ci fosse qualche perdita nel reattore a fusione centrale ma mi hanno risposto che tutto é nella norma!".

"Allora cosa sta succedendo Helen? Quali sono i sintomi? Ho già più di 100 persone che fanno richieste di ricovero, devo sapere cosa accade e anche in fretta!" - rispose John Koenig allarmato.

Helen Russell sospirò. "Guarda questa diagnosi, John! Due ore fa Alan é stato portato qui d'urgenza, era svenuto! In meno di due ore ha già l'aspetto di un vecchio, la pelle rugosa, perdita di capelli e calo della vista, febbre alta oltre ad una serie di dolori alle articolazioni che non riesco a definire in altro modo che artrite! L'ho messo in isolamento e sotto sedativi!"

"Ma Alan ha solo 39 anni" - disse stupito Koenig, osservando l'amico attraverso i finestroni della sezione isolamento.

"Mi verrebbe in mente la Progerie, l'invecchiamento precoce delle cellule, se non fosse che é una malattia molto rara che solitamente colpisce i bambini. E di certo non si manifesta in due ore in un individuo adulto" - rispose la Dottoressa Russell. "Poi abbiamo Cellini, ricoverato d'urgenza anche lui. L'hanno trovato che vagava nel corridoio F in stato confusionale. Ed ho già una cinquantina di pazienti con sintomi di almeno 40 malattie diverse e molto gravi! No John, qualunque cosa sia non é un'epidemia. Non ci sono sintomi comuni, non riesco a capire quale sia la causa scatenante. So solo, come te, che abbiamo richieste da almeno un centinaio di persone da tutta la Base!" .

 

Capitolo 8 - Cavie

Tony Verdeschi fece posare delicatamente Aquila 6 sulla piattaforma di atterraggio. La lunga passerella fu collegata alla porta stagna del mezzo spaziale e, quando la luce verde si accese, le porte si aprirono automaticamente.

Lui e Maya avevano trascorso un piacevole pomeriggio nel Mare Tranquillitatis, la compagnia della Psyconiana gli faceva piacere anche se erano avvolti in una tuta a pressione. Se non fosse stato per l'avvisatore automatico della tuta che indicava l'ormai prossimo esaurimento della scorta d'ossigeno, Tony sarebbe stato laggiù ancora per diverso tempo.

Non era frequente poter fare una gita di piacere lontano da Alpha e dai mille problemi quotidiani.

Quando i due raggiunsero i corridoi, altri colleghi li informarono della situazione. Il lavoro chiamava il capo del Reparto Sicurezza di Alpha alle sue responsabilità.

Con il "Travel Tube" lui e Maya raggiunsero la parte interna degli edifici della base. "Tu vai dalla Russell" - disse Tony - "io proseguo fino in sala controllo a rapporto dal comandante!".

Quando Maya raggiunse l'Infermeria la confusione era peggio di quella che si aspettava. Si fece largo tra la gente che si affollava davanti alle porte d'ingresso e tra i lettini che erano stati sistemati lungo il corridoio. Molti erano sotto flebo, altri avevano pustole in faccia quali Maya non aveva mai visto, il personale medico era evidentemente in affanno.

Entrata nell'Infermeria Maya cercò con lo sguardo la Dottoressa Russell in mezzo al via vai di persone. L'aveva appena notata a fianco di un paziente intubato quando una visione inaspettata si presentò ai suoi occhi.

A fianco del lettino dove era sdraiato l'uomo intubato, una forma umanoide, decisamente femminile, sostava con un piccolo apparecchio in mano, china sul paziente dall'altro capo della spalliera dove era in piedi la Russell. La figura era avvolta in una strana luminescenza bluastra, indossava un lungo pastrano scuro  ed il suo volto ricordava quello di una donna se pure le orecchie fossero avvolte in una sorta di grossa protuberanza epidermica.

Maya fece qualche passo verso la dottoressa Russell che non era apparentemente consapevole della sua presenza. L'istinto era di chiederle chi mai fosse quella strana donna quando vide altre due figure, sempre femminili ed avvolte dal medesimo alone bluastro al centro della stanza. Anche loro avevano in mano qualche genere di strumento ed avevano le stesse caratteristiche somatiche della prima.

La cosa che colpì Maya fu che nessuno sembrava prestar loro la minima attenzione. Tra il via vai di medici ed infermiere nel grande salone dell'infermeria le tre figure femminili sembravano non essere notate da parte dei presenti nonostante il loro aspetto fosse decisamente "alieno". Mentre le fissava, Maya si accorse che la coppia al centro della stanza sembrava ora dirigersi verso una delle pareti, evitando accuratamente lungo il percorso un'infermiera con una flebo in mano e andandosi a mettere in un angolo dove c'era un piccolo spazio libero.

L'infermiera con la flebo era passata davanti alle due strane figure come se niente fosse.

La Psyconiana stava facendo queste riflessioni quando si sentì chiamare da una voce conosciuta: "Maya! Sei tornata finalmente! Qui siamo in piena emergenza, se vuoi dare una mano alle infermiere sarà meglio che indossi una di queste!" Il Dottor Mathias porse a Maya una mascherina chirurgica e poi si incamminò fino a d uno dei lettini dove una donna con orribili segni sul viso che ne evidenziavano le arterie giaceva con un'espressione di sofferenza.

Con ancora in mano la mascherina, Maya uscì di corsa dall'Infermeria per dirigersi verso l'ingresso più vicino del "Travel Tube".

Durante il tragitto lungo i corridoi vide altre quattro figure dall'alone bluastro simili a quelle dell'Infermeria. Tutte di aspetto femminile, Maya ne vide una mentre infilava delicatamente una specie di ago nel braccio di un uomo della sicurezza che stava parlando con un suo collega. L'uomo non sembrò accorgersi di nulla e proseguì la conversazione piazzato davanti al laboratorio medico.

Facendo finta di niente la donna di Psycon raggiunse l'ingresso della metropolitana tubolare ed entrò nella cabina.

In sala controllo due, Tony Verdeschi ed alcuni uomini del suo reparto stavano ascoltando Koenig riassumere la situazione. Le improvvise malattie che avevano colto così tanti tra uomini e donne di Alpha erano un segnale preoccupante. La diversità dei sintomi ed il loro rapido manifestarsi non potevano essere una pura coincidenza.

Sandra Benes teneva un palmare in mano e lo porse a Koenig dicendo:"Abbiamo fatto un'analisi dell'atmosfera interna della Base, non rileviamo nessun batterio insolito. Il laboratorio medico conferma".

In quel momento entrò Maya correndo. Si diresse verso il gruppetto al centro del quale c'erano Tony ed il comandante andando a sbattere sulla spalla del suo fidanzato.

"Maya! Credevo fossi in Infermeria a dare una mano!?" - disse Verdeschi massaggiandosi la spalla.

Maya stava per raccontare ciò che aveva visto a Tony quando si accorse che un'altra figura femminile bluastra era in piedi alle spalle del comandante Koenig. Anche lì come in Infermeria nessuno sembrava accorgersi della sua presenza. Improvvisamente Sandra Benes si portò una mano alla fronte e poi cadde all'indietro ad occhi chiusi sorretta appena in tempo da uno dei tecnici della sala controllo.

Con una mossa rapita e rabbiosa Maya estrasse la pistola laser dalla fondina di Tony che gli stava affianco. Selezionò il tasto 2 dello stordimento elettrico e la puntò contro l'intrusa che la fissò quasi stupita. Maya premette il tasto che fungeva da grilletto ed un lampo azzurro colpì la figura femminile che stramazzò sul pavimento. Una scintilla sembrò percorrere tutto il corpo della sconosciuta. Koenig, Tony ed i presenti si trovarono quindi meravigliati a fissare il corpo della donna aliena comparsa dal nulla e stesa svenuta ai loro piedi.

Quando la Luna si trovava in orbita terrestre a nessuno dei progettisti della base era venuto in mente che su Alpha si potesse aver bisogno di celle di detenzione. La donna aliena era seduta su una panca in un piccolo ripostiglio. Due uomini della sicurezza la tenevano sotto mira con i laser mentre il Dottor Mathias esaminava gli strumenti medici che le erano stati trovati addosso.

Victor Bergman invece esaminava la strana scatoletta che la donna portava sulla cintura che prima le cingeva la vita.

"Dev'essere una specie di dispositivo per l'invisibilità, John" - lo scienziato inglese si rivolgeva al comandante ma il suo sguardo era sempre fisso su quella strana scatoletta. "Non so perché Maya riesca a vederle mentre noi no, può essere che gli occhi psyconiani di Maya possano percepire una gamma dello spettro visivo più ampia di quella dell'occhio umano! Al momento non so dare una spiegazione più plausibile di questa! La scarica elettrica della pistola deve averla mandata in corto e così abbiamo potuto vederla anche noi!".

"Victor, dobbiamo sapere cosa vogliono queste intruse aliene da noi e perché ci stanno facendo questo! Proviamo con il traduttore linguistico!"

"Non c'è bisogno del traduttore comandante Koenig, abbiamo imparato la vostra lingua molto in fretta mentre vi studiavamo!" - a parlare era stata la donna aliena.

"Da quanto siete qui? " - chiese Koenig rabbioso.

"Poche delle vostre ore, abbiamo ricevuto il vostro segnale radio e siamo giunte fin qui dopo avervi sondato! Ci date una occasione unica di condurre degli esperimenti per noi importantissimi. Sul nostro pianeta c'è estremo bisogno delle conoscenze che ricaveremo da voi. La vostra struttura genetica non é molto diversa dalla nostra, é una delle ragioni per le quali siamo venute così in fretta sulla vostra luna vagante dopo una analisi sensoriale a distanza!"

Venti minuti dopo Koenig si trovava in Infermeria. Non era riuscito a trarre altre informazioni dalla prigioniera aliena, e Maya gli aveva confermato che almeno una decina di quelle intruse continuavano a vagare per la Base, invisibili ma letali, contagiando il personale con le più svariate malattie ed osservandone gli effetti.

"Helen, dimmi che hai trovato qualcosa! Sono corso qui appena ho ricevuto la tua chiamata!" - disse Koenig.

"Sì, John, abbiamo effettuato delle analisi genetiche di tutti i contagiati, sembra che il loro DNA sia stato sollecitato. Con il microscopio elettronico abbiamo trovato questo!" - la Dottoressa Russel indicò il monitor che mostrava la catena dell'acido desossiribonucleico.

"Su una delle cellule sembra esserci una specie di marchio, era appena distinguibile con l'ingrandimento massimo! Crediamo sia una cellula estranea, tecnologia micro-molecolare presumo! E' presente in tutti i malati", concluse stancamente. 

"C'è modo di neutralizzarla?" - chiese Koenig.

"Forse, con un bombardamento di radiazioni a bassa potenza!" - rispose la Russell - "Il problema é che continuiamo ad avere contagiati e se prendessero anche il personale medico...".

"Si, ho capito! - rispose brusco Koenig prendendo il commlock e premendo un tasto.

Sul piccolo schermo in bianco e nero apparve il volto del capo della Sicurezza. "Tony, prendi la prigioniera aliena e raggiungimi nel settore armamenti! Di corsa!"

Koenig non attese nemmeno la risposta e, furioso, si precipitò fuori dall'Infermeria.

Dieci minuti dopo Koenig, Tony, alcuni uomini della Sicurezza e la prigioniera erano in sala armamenti. Koenig aprì un grosso contenitore, all'interno un cilindro di metallo ed una tastiera con un piccolo display.

"So che imparate in fretta, allora non mi perderò in chiacchiere - disse rabbioso il comandante Koenig rivolto alla donna aliena. "Non so perché stiate facendo questo ma so che non vi permetterò di continuare! La mia gente sta soffrendo, molti rischiano di morire. Non siamo cavie da laboratorio e non ci lasceremo usare da voi! Questa é una bomba nucleare da 5 megatoni, ora l'attivo - Koenig premette un pulsante e dei numeri iniziarono a scorrere alla rovescia sul piccolo display - se tra 15 minuti lei e le sue invisibili compagne non avrete lasciato la base la Luna avrà un nuovo cratere. Moriremo insieme e voi non riporterete indietro i vostri preziosi dati medici!".

"Lei sta bluffando comandante!" - disse la donna umanoide. "Così ucciderà la su a gente! Se ci lascia continuare le prometto che il tasso di mortalità non sarà superiore al 20 per cento!"

Koenig fisso la donna aliena con rabbia: "il tempo passa in fretta, 14 minuti a partire da ora! Tornate al vostro mezzo e andatevene oppure rimanete qui e morite insieme a noi!"

Tony Verdeschi porse all'aliena la sua cintura ed i suoi strumenti. La donna stizzita afferrò la piccola scatoletta e premette un tasto. "Iohooxkxooyxppe!" disse ad alta voce in una lingua incomprensibile attraverso quello che a quanto pare era anche una specie di comunicatore.

Una piccola navetta argentea apparve su una delle telecamere esterne della sala controllo di Alpha. Pochi minuti dopo l'oggetto decollava in direzione del puntino blu vicino alla stella. Sulla parte sinistra del monitor si notava un buco nella paratia esterna, era da li che erano entrate.

Alan Carter si stava radendo davanti allo specchio dell'Infermeria. I suoi capelli erano tornati come anche il suo aspetto di trentanovenne. Le cure della Dottoressa Russell avevano funzionato, una volta eliminato il gene estraneo con le radiazioni tutti i contagiati avevano iniziato un lento processo di guarigione. Era passato un mese da quell'esperienza e Carter ringraziava il Reparto Medico della Base per poter tornare con le sue gambe all'hangar delle Aquile.

Maya era stata festeggiata da tutti, senza di lei probabilmente molti sarebbero morti per terribili malattie. Era stata una fortuna che quando le aliene erano giunte su Alpha, Maya fosse in escursione con Tony all'esterno. Probabilmente i loro congegni erano tarati per rendere invisibile la loro squadra agli occhi umani, non avevano considerato la presenza di una donna psyconiana.

Quando Koenig rientrò nel suo alloggio, Helen era già seduta davanti al visore. Un vecchio film western era il programma prescelto per la serata, ed a Koenig non dispiaceva.

La Luna continuava la sua corsa nello spazio, il Dottor Bergman si diceva fiducioso di poter presto riportare il generatore di curvatura della Stazione Ångström sotto controllo e tutti speravano che ciò avvenisse prima o poi per poter tornare a casa.

A molti chilometri di distanza da Alpha, nel silenzio eterno del Mare Tranquillitatis, una piastra di platino su un vecchio modulo polveroso recava scritto: "Qui uomini dal pianeta Terra misero per la prima volta piede sulla Luna. Siamo venuti in pace a nome di tutta l'umanità".

 

Capitolo 9 - Il mio nemico

Situato a nordest del Mare Cognitum e a sudest del Mare Insularum, con incisioni ben visibili di impatti meteorici passati ed alcune fratture nelle pareti nord ed est, il cratere di Fra' Mauro fu il sito di allunaggio di Apollo 14. Nella medesima area c'era anche la zona mineraria di Alpha da dove gli operai lunari traevano rocce ricche di ossigeno, ossidi metallici e silicati. Alan Carter si era recato sull'altopiano di Fra' Mauro per recuperare la squadra di dodici minatori che avevano finito il turno di lavoro tagliando la roccia con i loro laser potentissimi.

Aquila 7 era atterrata vicino alla piccola stazione, con le tute spaziali Carter ed il resto della squadra stavano stivando il materiale estratto dentro il mezzo spaziale quando una voce allarmata di uno degli addetti irruppe nei loro microfoni radio.

"Cos'è quello?" - gridò uno degli operai seleniti. A cento metri circa guardando verso est, un essere con la tuta spaziale era appena sceso da una navetta dalla forma vagamente insettiforme. Sbalorditi dalla visione, il gruppo di operai e Carter osservarono l'essere mentre si propelleva in alto con una sorta di zaino-razzo che teneva sulla schiena. Il misterioso visitatore descrisse un arco nel cielo fino a posar piede a pochi metri di distanza dagli umani.

Attraverso la visiera del casco, Carter ed i minatori spaziali videro che la creatura aveva un aspetto orrendo, occhi da lucertola, pelle verde squamata ed una lingua forcuta che usciva e rientrava dalla fessura che doveva essere la sua bocca.

Collins, che reggeva ancora in mano uno dei grossi fucili laser che servivano per le perforazioni, sollevò l'attrezzo e fece fuoco contro l'orribile figura.

L'alieno azionò il suo zaino-razzo ed evitò il raggio che andò a bucare una roccia a qualche metro di distanza.

In preda al panico, gli operai di Alpha corsero a grandi balzi in direzione della piccola costruzione metallica che rappresentava il rifugio durante i lavori di scavo, Carter entrò nella camera di equilibrio esterna dell'Aquila ed aprì uno sportello dove alloggiava una pistola laser. Quando uscì si accorse che i suoi compagni erano tutti rientrati nella piccola struttura a pressione mentre l'alieno era ritornato alla sua navetta e vi stava rientrando.

Il velivolo si sollevò da terra di qualche metro ed una forte luce rosso acceso si sprigionò dallo scafo. La luce colpì uno dei carrelli dentro al quale c'era ancora del minerale, facendolo andare il mille pezzi. Carter si buttò dentro il vano dell'Aquila per evitare le schegge. Rialzata la testa poté vedere la navetta aliena che si allontanava a volo radente.

"Carter! Carter! E' tutto a posto là fuori?" - gracchiò una voce dalla radio del casco.

"Rimanete dentro la stazione ragazzi! Io vado dietro a quel lucertolone!" - gridò Alan. Il tempo di ripressurizzare la piccola camera di equilibrio e Alan Carter era già seduto ai comandi dell'Aquila facendola decollare.

Il deserto lunare scorreva veloce sotto i suoi occhi, l'Aquila si mise in traiettoria seguendo il velivolo alieno che si stava allontanando dalla piccola stazione mineraria sorvolando a bassa quota gli spuntoni di roccia dell'Altopiano.

Alan Carter premette il tasto del comunicatore, chiunque fosse quell'essere mostruoso sicuramente non era venuto da solo. O almeno così pensò il pilota australiano.

"Aquila 7 ad Alpha, sono Carter da Fra' Mauro, allarme intruso! Mi ricevete Alpha?" Una scarica di statica fu l'unica risposta che ricevette Carter. "Maledizione!" - pensò mentre muoveva la cloche ed aumentava la velocità per star dietro al veicolo intruso.

"Eh va bene lucertola! Se vuoi giocare alla guerra ti accontento subito!". L'Aquila arrivò a circa duecento metri dalla navetta aliena, quando fu nel centro del mirino di fronte a lui Carter premette il tasto del laser ed una scarica di luce bianca super concentrata colpì il vascello alieno in quello che doveva essere il suo propulsore. Il velivolo iniziò una picchiata chiaramente incontrollata verso le sabbie dell'Altipiano. "Beccato!" - gridò entusiasta Carter.

Non aveva ancora finito di parlare che una scarica azzurrognola partì dal retro del velivolo alieno e colpì Aquila 7. Improvvisamente tutte le luci sulla console si spensero, anche la luce interna della cabina di pilotaggio. Alan Carter provò a muovere la cloche ma l'Aquila stava già perdendo quota. Carter si aggrappò d'istinto al seggiolino e Aquila 7 impattò con il terreno rovesciandosi sul lato sinistro proprio in mezzo ad una formazione rocciosa che emergeva dalle sabbie.

Nella penombra della cabina, Alan verificò che la sua tuta spaziale non avesse subito danni. Sul braccio sinistro c'era un piccolo visore, i controlli della tuta. Sembrava tutto a posto, lo stesso non si poteva dire dell'Aquila che pareva morta oltre che reclinata su un fianco.

L'australiano si slacciò la cintura e fece per alzarsi, la spinta in alto lo portò a cozzare contro le pareti del soffitto, per fortuna imbottite. "Addio gravità artificiale!" disse Carter.

Provò ad aprire la porta ma la cellula non funzionava, usò il comando manuale e si ritrovò nel vano centrale del mezzo. Barcollando raggiunse il centro del vano e vide che la porta sul lato sinistro era divelta. Alzò il braccio per controllare gli indicatori della tuta. "Ambiente: pressione zero" si leggeva sul display.

Con il comando manuale Alan aprì la porta sul lato destro, quindi con un piccolo balzo si trovò in piedi sulla grigia sabbia dell'Altopiano di Fra' Mauro.

A circa mezzo chilometro verso est, la navetta aliena giaceva inerte quanto Aquila 7 emanando riflessi metallici sotto la luce della stella. Carter impugnò la pistola laser e si mise a camminare verso la navetta del rettile. Mentre avanzava cercava con lo sguardo di cogliere ogni minimo segnale di movimento. Nulla.

Giunto a pochi passi dal relitto, Carter avanzò lentamente con la pistola laser puntata. All'improvviso sul suo lato destro uno stivale gli colpì la mano facendo volare la pistola che salì in alto a velocità di fuga. L'astronauta si aggrappò agli stivali del rettile che stava sospeso con il suo zaino-razzo a mezz'aria. L'alieno barcollo e tutti e due stramazzarono sulla sabbia rotolando. Quando Carter si mise in piedi vide l'alieno a pochi passi da lui, armeggiava ancora con i controlli del suo zaino ai fianchi delle braccia ma l'attrezzo era rimasto danneggiato. Carter poteva vedere un sbuffo di gas uscire dalla parte posteriore, probabilmente una roccia nella caduta aveva forato l'involucro.

L'alieno si sfilò lo zaino e lo lanciò verso Carter che per evitarlo fu costretto a compiere un balzo di lato. Quando toccò di nuovo terra vide che l'alieno stava correndo verso una piccola altura a poche centinaia di metri di distanza, sicuramente l'orlo di un cratere.

Sebbene disarmato, Alan Carter si mise a corrergli dietro, determinato a prenderlo e fargliela pagare.

Mentre correva sulla sabbia grigia di Fra' Mauro, Carter diede un'occhiata alla sua riserva di ossigeno. L'indicatore segnava 40% e tutto quel movimento non faceva che accorciare sempre di più la scorta che gli rimaneva.

"Con meno del 40% non posso pensare di tornare ad Alpha a piedi, e' troppo distante! Ed il fatto che non mi abbiamo risposto potrebbe voler dire un attacco da parte degli amici di quel lucertolone verde!" - pensò Carter.

L'idea che forse tutti i suoi amici erano già morti e che Alpha era stata distrutta da quei mostri verdi non fece altro che rafforzare in lui la convinzione dell'acchiappare l'alieno a tutti i costi. La radio della tuta non era abbastanza potente da raggiungere Alpha che si trovava oltre la linea dell'orizzonte e nella direzione opposta verso la quale lui si stava dirigendo inseguendo l'alieno.

Giunto ai piedi del pendio di fronte a lui, Carter si avvide che l'essere era già quasi in cima, la sabbia smossa che scendeva in basso lo confermava.

L'indicatore ossigeno segnava ora 30%. "Al diavolo! Se i tuoi amici verdi hanno già distrutto Alpha la soddisfazione che mi voglio prendere prima di morire è di farti la pelle dannato rettile spaziale!" - pensò rabbioso Alan Carter.

Con un poderoso balzo Alan si proiettò in alto, il rischio era di finire oltre la parete di roccia e dentro il buio che regnava all'interno del cratere. Fu fortunato invece e cadde proprio sopra la schiena del rettile verde che annaspava nella sua tuta spaziale per raggiungere la cima.

Carter strattonò l'essere e lo girò con le spalle verso il terreno. A cavalcioni sul suo torace Carter afferrò la gola della creatura con un braccio e con l'altro raccolse un piccolo sasso che trovò li nei pressi. "E tanti saluti a mamma serpente!" - gridò Carter mentre si accingeva a rompere la visiera del casco dell'avversario.

"Non ucciderlo Alan!" - la voce di Tony Verdeschi attraverso il ricevitore radio della tuta lo fermò. Alan alzò lo sguardo, ad un ventina di metri sopra di loro un'Aquila sostava nel cielo stellato.

Il giorno dopo Alan Carter entrò nella sala mensa di Alpha, con un vassoio di bevande in mano cercò Tony e Maya con lo sguardo e si diresse verso il loro tavolo.

"Come sta oggi il nostro guerriero spaziale?" - lo schernì Tony.

Era successo che il rettile dell'altipiano di Fra' Mauro era solo un'avanscoperta di una nave madre, molto più grande, che si era avvicinata alla Luna quando questa era entrata nel sistema. I rettiliani venivano da un pianeta che orbitava attorno a quella piccola stella. L'avanscoperta aveva rilevato il movimento sull'altipiano ed era atterrata per prendere contatto, ma gli operai di Alpha gli avevano sparato addosso: cosi l'essere era fuggito non prima di sparare un colpo di avvertimento.

Carter con la sua Aquila aveva abbattuto la navetta dell'alieno il quale a sua volta prima di cadere aveva lanciato un impulso elettromagnetico concentrato che aveva fuso tutti i sistemi dell'Aquila facendola precipitare.

"Hanno preso contatto dopo quanto è successo a Fra' Mauro - rise Tony - i traduttori linguistici hanno funzionato perfettamente. Non erano male intenzionati, erano solo curiosi quando avevano avvistato la nostra Luna nel loro sistema solare. Ci hanno segnalato che avevano un disperso e così una volta contattata la stazione mineraria abbiamo appreso l'accaduto e siamo venuti a cercarvi.

"Ehi, io come facevo a saperlo?" - rise Alan. "Inoltre non ero riuscito a contattare Alpha dall'Aquila e pensavo foste già tutti morti bombardati da terribili rettili alieni assetati di sangue!".

"Non ti è venuto in mente che l'alieno poteva aver disturbato la tua trasmittente per impedirti di chiamare rinforzi? Aveva più paura lui di te che tu di lui visto che l'hai abbattuto senza pensarci un momento!".

La colpa non era tutta di Alan, anche gli operai della Stazione mineraria avevano aperto il fuoco per primi contro l'essere alieno ma Carter non ci aveva pensato due volte e si era gettato al suo inseguimento convinto che fosse in atto una invasione di mostri rettili dalla lingua forcuta.

"Prometto che se torneremo sulla Terra avrò più riguardo anche per le lucertoline del deserto del Queensland vicino casa mia!" concluse Alan Carter sorridendo.

 

 Capitolo 10 - Inversione di rotta

Tony Cellini era un ottimo astronauta e pilota, era stato l'eroe della "Missione Pluto" nel 1996, l'impresa più ambiziosa organizzata dall'Agenzia Spaziale delle Nazioni Unite dopo la costruzione di Alpha sulla Luna.

 Il primo volo di andata e ritorno con equipaggio fino al planetoide Plutone nella fascia trans-nettuniana ai confini del sistema solare.

Lui ed i suoi tre compagni, un uomo e due donne, a bordo di una nave spaziale alimentata dai generatori Bergman, erano andati più lontano dalla Terra di qualsiasi essere umano. Questo ovviamente prima che la Luna fosse proiettata nello spazio profondo con le duemila persone che vivevano alla Base Alpha.

Al posto di pilotaggio di Aquila 12, Cellini stava sorvolando una catena montuosa dell'altopiano di Fra' Mauro. Gli astronauti minatori riposavano nel vano passeggeri dell'Aquila, stremati dal turno di lavoro, la stiva era colma dei preziosi minerali estratti. Da quei sassi sarebbe stato estratto l'ossigeno per rinnovare la provvista della Base.

Per uno come Cellini poteva essere frustrante un incarico di routine come trasportare avanti e indietro gli astronauti dalla zona mineraria. Ma lui sapeva perché Koenig gli aveva affidato quell'incarico. Solo due mesi prima durante il passaggio della Luna vicino ad un gigante gassoso di una stella sconosciuta, Tony Cellini al comando di un'Aquila aveva incontrato una decina di navi spaziali alla deriva. Entrati in una di esse lui ed il suo equipaggio avevano incontrato un mostro alieno, una specie di piovra che risucchiava le forze vitali di altri esseri. I suoi tre compagni erano morti e Cellini si era salvato per miracolo.

Tornato su Alpha Cellini aveva avuto una crisi da esaurimento nervoso. La dottoressa Russel l'aveva fatto ricoverare ma lui, pazzo di rabbia, era fuggito, aveva rubato un'Aquila e si era diretto nuovamente verso quel gruppo di navi alla deriva.

Come San Giorgio, Tony Cellini cercava la sua vendetta contro il suo "drago".

Dentro la nave aliena l'astronauta italiano aveva affrontato nuovamente la creatura, e sarebbe morto se Koenig e Carter non fossero giunti appena in tempo per aiutarlo, uccidere l'essere mostruoso e riportarlo su Alpha.

Il mostro gli aveva già risucchiato tante energie, Tony Cellini passò due mesi ricoverato in Infermeria.

Quando fu dimesso, Koenig pensò che un incarico semplice come quello di trasportare sassi e minatori dalla zona di estrazione fosse ciò che gli serviva.

L'insubordinazione non era cosa da poco, per rubare l'Aquila e trovare la sua vendetta contro quella piovra aliena aveva anche colpito Alan Carter sulla rampa di lancio 5 della Base. Solo le particolari circostanze della Luna persa nello spazio e la sua amicizia con John Koenig lo avevano salvato.

Giunto sulla verticale della rampa numero due, Cellini fece poggiare delicatamente Aquila 12. Le operazioni di sbarco dei passeggeri e di scarico del minerale potevano cominciare.

Nella sala di ritrovo di Alpha, nella sezione due, si mangiava, beveva, suonava e spesso si cantava e recitava. Quando Cellini entrò nel grande salone tutti seguivano con attenzione le notizie dalla radio interna della Base parlando a bassa voce per non perdere nemmeno una della parole che giungevano dalle grandi casse appese al soffitto.

Cellini si avvicinò al bancone, il barman gli chiese cosa voleva. Non che ci fosse molta scelta e certamente niente alcolici. Servito di una bibita all'arancia, l'astronauta si andò a sedere a un tavolo dove era già ben sistemato il suo amico e collega pilota Clarke. "Come vanno le cose giù alla Stazione Ångström?" - domando Tony Cellini al suo amico.

"Sembra che il dottor Bergman sia riuscito a trasferire i comandi del motore ad Alpha. La nuova tuta lo ha protetto dalle radiazioni. Ora stanno già tornando indietro, Carter lo aspettava a distanza di sicurezza sulla superficie con Aquila Uno. Il Vecchio sembra entusiasta!" - rispose Arthur Clarke.

"Dopo sei anni il nostro Genio è riuscito a riportare sotto controllo il suo motore iperluce finalmente?" - commentò serio Cellini.

"Speriamolo!" - sorrise Clarke.

Nella Sala controllo uno il comandante Koenig sorrideva entusiasta. Il dottor Bergman al terminale del computer aveva verificato i dati che risultavano corretti.

"Abbiamo effettuato il primo salto spazio-tempo controllato John, la Luna si trova ora in un sistema stellare a sette anni luce dalla nostra precedente posizione!".

"E' magnifico Victor, siamo un po' più vicini a casa ora!" - disse Koenig.

"Ci vorrà ancora molto tempo, non possiamo effettuare un singolo balzo verso il nostro Sole. Temo che avremo ancora molti anni di viaggio davanti a noi, John" - disse laconico il vecchio scienziato.

"Ma almeno ora abbiamo una speranza, darò subito la notizia a tutto il personale" rispose sorridente Koenig mentre stringeva la mano al dottor Bergman.

Una spia sulla consolle di Paul Morrow si accese mentre un segnale sonoro intermittente iniziò ad echeggiare per il grande salone.

"Che succede Paul?" - domandò Koenig allarmato.

Il tecnico scozzese fece volare le sue dita sulla tastiera, sul piccolo monitor apparve un grafico ed una immagine computerizzata. "Un piccolo asteroide, circa un chilometro di diametro. Ed è in rotta di collisione con la Luna comandante!"

 

Capitolo 11 - Obiettivo asteroide

"Atterrare su quella roccia con un'Aquila, scavare un buco, depositare una testata nucleare abbastanza potente da deviarne la traiettoria prima che colpisca la Luna e scappar via! Conosco solo un uomo abbastanza esperto per questa missione John, ma non ti farà piacere conoscerne il nome!".

Alan Carter guardava John Koenig dritto negli occhi. Nell'angusto ufficio di controllo lancio il capo-pilota ed il comandante della Base si confrontavano per organizzare la missione che doveva salvare le duemila persone che vivevano su Alpha dalla terribile minaccia dell'asteroide in rotta di collisione. L'ufficio aveva un grande finestrone che dava direttamente sul grande hangar sotterraneo, il personale era impegnato ad allestire Aquila 9 per il decollo.

"Tony Cellini, giusto?" - commentò laconicamente Koenig.

"Non c'è nessun altro che vorrei al mio fianco ai comandi per una simile operazione, John. E' il migliore in quanto ad abilità di pilotaggio e sangue freddo!"

"Sempre che si sia ripreso dopo quella faccenda della piovra aliena!" - Koenig rifletteva ad alta voce - "Chi altri?".

"Baxter! - rispose Carter - "E' il nostro esperto di armi nucleari, l'unico comunque in grado di regolare correttamente i comandi della bomba. E infine Grover, i ragazzi della sezione mineraria dicono che è il migliore con le talpe meccaniche!".

"Molto bene, te li manderò subito. Entro trenta minuti dovrete essere in grado di decollare, meglio darci un largo margine finché quel sasso è lontano dalla Luna! - disse il comandante di Alpha mentre prendeva in mano il commlock.

"Sala Controllo, avvisate Cellini, Baxter e Grover. A rapporto all'hangar di lancio tra dieci minuti!".

Koenig si avvicinò alla porta automatica, premette il tasto del commlock e le due paratie si aprirono davanti a lui.

"Buona fortuna Alan! Contiamo su di voi!".

Il decollo dalla piattaforma uno di Alpha era stato facile. Sistemata Aquila 9 sull'elevatore a forma di croce, il mezzo era stato sollevato fino al primo livello. Chiuse le paratie stagne l'elevatore aveva innalzato l'astronave fino alla piattaforma collegata con l'hangar sottostante. Il difficile doveva ancora arrivare.

Alan Carter e Tony Cellini erano ai comandi di Aquila 9, il computer di navigazione aveva tracciato la rotta verso l'asteroide che puntava verso la Luna a 22.000 miglia orarie. Con le tute spaziali già indossate i due piloti agirono sul quadro comandi del mezzo spaziale.

 

"Quando saremo in prossimità dovremo adeguare in fretta la velocità dell'Aquila a quel grosso sasso, poi passerò i comandi a te per l'atterraggio!" - disse Alan Carter.

"La sala controllo di Alpha ci ha indicato un punto in ombra dalla luce della stella. Avremo circa sessanta minuti per scavare nella roccia e depositare la bomba. Come va là dietro ragazzi?" - Tony Cellini al posto di guida del secondo pilota premette un tasto sul quadro alla sua destra e si rivolse con il comunicatore interno ai due colleghi nel vano centrale della piccola astronave.

"A meraviglia!" - rispose Baxter mentre era intento ad armeggiare con una piccola tastiera sul cilindro metallico che costituiva l'involucro dell'ordigno nucleare. "Piuttosto tu Cellini, vedi di non farci prendere troppi scossoni al momento dell'atterraggio, questa roba è piuttosto sensibile!".

Man mano che si avvicinavano, l'asteroide non appariva poi così minaccioso. La superficie sembrava  leggermente increspata ma la sua rotazione era lenta. Lontano dall'essere una cometa, l'oggetto non aveva scia ne' tracce di ghiaccio secco sulla superficie, appariva come uno dei tanti asteroidi che Cellini aveva osservato da vicino durante la Missione Pluto transitando nello spazio tra Marte e Giove, anni prima, con l'astronave che li aveva condotti ai confini del sistema solare.

Nel centro di Alpha, nella grande sala controllo uno, Sandra Benes seguiva i dati che le giungevano da Aquila 9. Al suo fianco Paul Morrow armeggiava sulla tastiera del suo terminale e controllava la rotazione del piccolo asteroide e la sua distanza dalla Luna.

"Come procedono le cose?" - chiese con ansia Koenig alla analista di sistemi anglo-indonesiana.

"Carter riferisce che Grover ha scavato il buco nella superficie e Baxter ha armato la testata: hanno quasi terminato comandante!" - rispose con un leggere sorriso Sandra.

In verità la tensione era palpabile tra tutti i presenti nel centro vitale della base. Anche nelle varie sezioni di Alpha uomini e donne attendevano e speravano nel buon esito dell'operazione.

La notizia del primo salto spazio-tempo controllato con il motore che Bergman aveva riportato sotto controllo aveva reso felici tutti. Ma ora una nuova minaccia incombeva sulla piccola comunità di Alpha.

"Quanto tempo rimane prima che il sole sorga sul lato dove si trovano?" - chiese il comandante.

"Hanno ancora circa venti minuti, per allora dovrebbero lasciare l'asteroide!" - rispose Kano senza staccare gli occhi dai dati che apparivano sul suo piccolo monitor.

I due astronauti con tuta rossa e casco giallo stavano procedendo a piccoli e controllati salti verso l'Aquila.

D'un tratto una strana visione apparve davanti agli occhi di Mike Baxter. Sembrava una piccola scatola di metallo, grande come un forziere, su di essa degli strani simboli impressi sulla parte superiore. L'oggetto giaceva sulla superficie vicino ad una sporgenza rocciosa.

"Che cos'è? Lo vedi?" - chiese Baxter tramite la radio del suo casco al collega Ralph Grover.

"Lo vedo eccome! Un manufatto alieno di qualche tipo. Ma chi avrà lasciato quest'affare sulla superficie di un asteroide?" - si chiese Grover puntando il braccio sinistro verso l'oggetto.

"Il  mio contatore geiger non rileva particolari tracce di radioattività. Almeno non è una bomba!" - commentò.

Baxter non se lo fece ripetere, afferrò il piccolo contenitore e lo sollevò tra le braccia. Nella debole gravità dell'asteroide l'oggetto non pesava quasi nulla.

"Potrebbe essere importante, lo porto sull'Aquila, ma ora filiamo, tra venti minuti qui sorgerà il sole e non sarà piacevole!"

"Ho sistemato il timer a 30 minuti, questo dovrebbe darci il tempo di allontanarci a distanza di sicurezza! Entriamo nell'Aquila, Mike!"

Le due figure si incamminarono verso il mezzo spaziale mentre alla radio Tony Cellini e Alan Carter sollecitavano i loro compagni ad affrettare il passo.

Trentacinque minuti dopo Tony e Alan riattivavano i comandi del mezzo. Anche se l'Aquila era schermata contro ogni tipo di radiazione i due piloti avevano spento i comandi principali poco prima dell'esplosione. "Meglio non rischiare di friggere i circuiti con l'esplosione!" - aveva commentato Carter.

Sul monitor centrale della cabina di pilotaggio apparve il volto di Paul Morrow.

"Ottimo lavoro ragazzi, l'asteroide ha deviato la sua traiettoria, passerà a 200.000 chilometri dalla Luna! Vi aspettiamo!"

Tony Cellini aggiunse: "sembra che Baxter e Grover abbiano trovato un tesoro sulla superficie dell'asteroide! Una specie di cassa, un manufatto di origine aliena. L'hanno caricato nella stiva!"

"Notizia incredibile! - commentò Morrow - "Lo analizzeremo quando sarete tornati, Alpha chiudo!"

Carter e Cellini si guardarono sorridenti, avevano fatto un buon lavoro ed ora un nuovo mistero di poneva alla loro attenzione. Cellini premette il tasto del comunicatore interno: "Come andiamo là dietro? Chissà che non ci siano dobloni d'oro in quel forziere?"

Dal vano passeggeri non giunse risposta.

"Vai a vedere che combinano quei due!" - disse Alan preoccupato.

Cellini si slacciò la cintura, si alzò dal sedile e premette il tasto della porta stagna.

Entrato nel vano passeggeri vide Baxter e Grover stesi sul pavimento. La cassa era stata aperta ed all'interno sembrava esserci solo una specie di provetta. Il coperchio superiore risultava aperto, Baxter teneva in mano l'analizzatore chimico ma giaceva a fianco del compagno apparentemente privo di sensi.

I due tecnici come anche Cellini e Carter avevano ancora la tuta spaziale ed il casco sigillati. Cellini si inginocchiò e diede uno sguardo ai suoi compagni. Sembravano profondamente addormentati ma doloranti, gocce di sudore scendevano dalla loro fronte dietro alla visiera.

"Alan controlla l'atmosfera interna dell'Aquila, Baxter e Grover sono svenuti e questo forziere aveva dentro una specie di provetta che risulta aperta!" - disse allarmato Cellini attraverso la radio della tuta.

"L'atmosfera è ok, non vedo traccia di nessun agente esterno oltre alla normale miscela di ossigeno!" - rispose dopo qualche attimo Carter dalla cabina di pilotaggio.

"Sarà meglio avvisare Alpha, che preparino la squadra medica, abbiamo un problema qui!" gridò Tony Cellini al pilota.

Carter non se lo fece ripetere due volte e, premuto il tasto della radio di bordo, si affrettò a stabilire la comunicazione con la Base.

 

Capitolo 12 - Lo sciame

 John Koenig era in sala controllo con il Dottor Bergman e gli altri membri del personale scientifico. Sandra Benes interruppe la conversazione tra il comandante ed il vecchio scienziato per riferire le ultime notizie da Aquila 9.

"Signore, il capitano Carter ha dichiarato emergenza medica. Sembra che Baxter e Grover siano vittime di una qualche infezione!".

"Allerta l'Infermeria, allarme rosso Sandra, voglio personale medico alla piattaforma uno con le tute anti-contaminazione!"

Sandra premette il pulsante del suo commlock e si mise in contatto con il centro medico, la dottoressa Russell si sarebbe subito attivata con il suo staff.

"Cosa ne pensi Victor? Qualche strana malattia aliena presente in quella cassa misteriosa?" - chiese Koenig.

"Vedremo John. Helen ed i suoi sanno il loro mestiere, sarà meglio avviarci verso l'Infermeria!". Il comandante Koenig e Bergman uscirono a passo svelto dalla sala controllo per recarsi verso la più vicina entrata della piccola metropolitana di Alpha.

Nella sala controllo due della grande base lunare, Maya  era al lavoro al terminale del computer. Il comandante Koenig le aveva chiesto di tradurre se possibile le iscrizioni sul contenitore che gli astronauti avevano riportato dall'asteroide.

La donna psyconiana stava cercando nel database linguistico che aveva portato con sé su Alpha prima della catastrofe che aveva ucciso suo padre e l'installazione dove egli cercava di riportare in vita la oramai moribonda razza di Psycon.

Ad un tratto il piccolo computer diede il segnale "match", la lingua apparteneva ad una specie che gli psyconiani avevano incontrato nei loro lunghi viaggi nella galassia.

Una parola veniva tradotta con "sciame letale".

"Qual'è la condizione di Baxter e Grover?" - il comandante John Koenig si rivolgeva alla dottoressa Russell nel centro dell'Infermeria.

"Sono in coma John, li abbiamo messi in isolamento. Carter e Cellini invece non risultano contaminati. Credo che la loro condizione sia dovuta all'inalazione di una qualche sostanza volatile che era presente in quella provetta!".

In quel momento dalla colonna centrale della sala la voce meccanica del computer dichiarava cessate le funzioni vitali di Mike Baxter e Ralph Grover.

"Mio Dio! Bisogna sapere cosa li ha uccisi Helen! Te la senti di fare un'autopsia?" - disse Koenig.

La dottoressa Russell lo guardò per un momento e poi si rivolse al dottor Mathias. "Fai preparare due tute anti-contaminazione Robert, ce ne occuperemo noi!".

Pochi minuti dopo i due medici - avvolti nelle tute di protezione - entrarono nel piccolo ambiente dove erano stati posti in isolamento i due malati ora deceduti.

"Non sapendo la causa della morte e per evitare un contagio dovremo procedere all'autopsia qui dentro, John" - disse Helen Russell dal microfono del suo casco.

In sala controllo due Maya continuava la sua traduzione del linguaggio alieno. Il database psyconiano lo classificava come la lingua dei kriili, una specie che era stata sull'orlo dell'autodistruzione per una guerra civile che aveva infiammato tutte le genti del loro mondo. Quando gli psyconiani avevano fatto visita ai kriili essi avevano da poco cessato le ostilità sotto la guida di un leader illuminato.

Il traduttore linguistico che i tecnici di Alpha avevano adattato alla strumentazione della base dal medaglione di Maya - in verità un sofisticato software psyconiano - terminò la sua opera e le parole vennero convertite in inglese.

Quando Maya le lesse ebbe un brivido di terrore e sgomento.

Intanto in Infermeria la dottoressa Russell ed il dottor Mathias stavano per iniziare l'autopsia sui corpi dei due sfortunati astronauti. Dall'altra parte del vetro della piccola sala dove si svolgeva la pietosa operazione John Koenig ed il dottor Bergman assistevano con nervosismo.

Il commlock del comandante emise il suo classico "beep". Koenig lo prese in mano ed attivò il piccolo schermo in bianco e nero sul quale comparve il volto di Maya con un'espressione concitata. "Comandante! Ho terminato la traduzione delle iscrizioni su quel contenitore! Dobbiamo incenerire subito i due cadaveri!" - disse Maya urlando.

Nella piccola sala di isolamento la dottoressa Russell aveva appena iniziato ad incidere quando d'improvviso l'orrore si manifestò ai suoi occhi. Dal corpo di Baxter migliaia di piccoli insetti volanti iniziarono a sciamare dentro il piccolo ambiente. Il cadavere di Grover ebbe un sussulto e dai suoi orifizi un altro sciame di orrendi insetti simili a zanzare ma nere come la pece si proiettò verso l'alto.

La dottoressa Russell e Mathias, nelle tute di protezione, alzarono le braccia quasi per un istintivo gesto di proteggersi il volto. "Usciamo di qui dottoressa!" gridò Robert Mathias.

I due si precipitarono verso la porta stagna, appena in tempo prima che gli orrendi insetti vi entrassero. Con un pugno il dottor Mathias attivò il comando di apertura della seconda porta ed i due medici rientrarono nel salone dell'infermeria.

"Tutto bene Helen?" - gridò Koenig andando incontro alla dottoressa.

"E' orribile John, come può essere?"

Al di la del vetro lo sciame di insetti aveva già oscurato tutta la stanza. Ed ora sembrava che le orribili creature stessero cercando di uscire, il plexiglass vibrava in modo innaturale.

Dal commlock ancora aperto del comandante la voce di Maya era ancora più allarmata.

"E' ciò che cercavo di dirle comandante! L'iscrizione indica che la provetta conteneva un virus, un arma biologica dei kriili. L'avevano abbandonata sull'asteroide poiché ritenevano pericoloso persino il cercare di distruggerla sul loro mondo. Quelle bestie sono in grado di replicarsi e sono estremamente pericolose. Se saranno libere di sciamare per Alpha tutti noi saremo condannati!"

"Sarà meglio far evacuare l'infermeria John, quegli insetti sembrano determinati ad uscire! Guarda il vetro!" - urlò il dottor Bergman.

Gli insetti erano già riusciti in qualche modo ad aprire delle crepe, non avrebbe resistito a lungo.

"Evacuate! - gridò Koenig alla dottoressa Russell mentre premeva un altro tasto del commlock.

"Verdeschi! Stato di allarme! Abbiamo degli insetti alieni volanti in Infermeria! Fai chiudere tutti i condotti d'aria! Evacuiamo tutto il settore D!"

Venti minuti dopo, Koenig, Bergman, Tony Verdeschi, Carter e Cellini seguivano sui monitor interni il procedere della situazione nel settore evacuato.

"Sono uscite John, le telecamere mostrano lo sciame in tutta l'Infermeria!" - commentò con orrore il dottor Bergman.

"Cosa suggerisci Victor?" - chiese disperato il comandante.

"Se quelle creature sono il frutto di alterazioni genetiche direi che dovremmo averne almeno una per studiarle e cercare una soluzione!" - rispose il vecchio scienziato inglese.

"E come pensa di riuscire a prenderne una?" - chiese con tono di sfida Tony Cellini.

"Ammetto che potrebbe essere rischioso! Ma..." - proseguì Bergman - "potremmo tentare di spingerle verso una delle paratie esterne di quel complesso. Se i condotti d'aria sono chiusi e se apriamo una serie di porte in sequenza il portello "F" da' direttamente sulla superficie!".

"Potrebbe essere una soluzione!" - disse Alan Carter - "ma chi farà da... esca?"

"Io!" - disse Koenig. Alan vammi a prendere una tuta spaziale, voi controllerete il procedere dello sciame dalle telecamere qui.

Verdeschi fece un passo verso il comandante:"Vengo con te John! Alan, prendine due di tute e speriamo bene!"

Quando il portellone del settore D si apri, due figure avvolte nelle classiche tute spaziali rosse e gialle entrarono con un balzo.

"Chiudete le porte stagne!" - gridò Koenig dalla radio della tuta.

Verdeschi guardò il comandante preoccupato. In mano teneva una pistola laser. I due avanzarono di qualche metro a passo svelto, poi giunti a metà del corridoio vicino ad una colonnina di comunicazione si fermarono. Un disgustoso ronzare iniziò a giungere alle loro orecchie sempre più forte.

"Tony, tieniti pronto, è probabile che cercheranno di attaccarci. Le tute dovrebbero proteggerci ma appena arrivano iniziamo a correre verso la porta al termine del corridoio. Quando saranno passate dietro di noi Morrow farà chiudere e noi dovremo proseguire verso le pareti esterne!" disse Koenig.

Il comandante aveva appena terminato di pronunciare quelle parole che l'orribile sciame nero piombò velocissimo sopra di loro. Completamente avvolti dagli insetti volanti e letali i due alphani vedevano le orrende zanzare posarsi sulla loro visiera e cercare di forarla.

"Corriamo!" - gridò Tony Verdeschi.

A lunghi passi arrivarono verso la fine del corridoio, gli insetti li seguivano e Tony sparò una scarica laser verso lo sciame alle sue spalle.

"Nessun effetto apprezzabile John! Sono troppe!" - avvertì allarmato.

Superata la prima porta stagna Koenig e Verdeschi continuarono la loro corsa verso la parete esterna dell'edificio.

"Sono dietro di voi John, cercate di raggiungere il portellone esterno!" - la voce di Bergman nel casco di Koenig risuonava acuta.

"Victor! Quanta aria c'è rimasta in questo corridoio?" - chiese Koenig ansimando.

Il vecchio scienziato si rivolse con lo sguardo a Paul Morrow.

"Poca comandante! - disse Morrow al microfono - "Con la chiusura della ventilazione l'ossigeno si sta consumando rapidamente!"

"L'importante è che ce ne sia ancora abbastanza per una rapida depressurizzazione!" - disse John Koenig mentre con la mano cercava di muovere i comandi manuali del portellone.

"Ok Tony, ora abbiamo questa porta da aprire, dietro ce n'è un'altra che da' sull'esterno!"

Lo sciame era ormai sopra di loro, i due non vedevano niente ma sentivano il terribile tic-tac sulle loro tute e sulle visiere, il ronzio era insopportabile.

Allungando la mano guantata Koenig riuscì a girare la maniglia del comando manuale. Lentamente la porta si aprì e Koenig e Verdeschi si tuffarono dentro rovinando al suolo con un clangore metallico.

Lo sciame era sempre su di loro cercando di penetrare nelle loro tute.

"Dobbiamo correre verso la parete Tony, non sono ancora entrate tutte!" - Koenig aveva gli occhi spiritati. Verdeschi si alzò e continuò la corsa fino alla paratia esterna.

"Non vedo niente John!" - urlò Verdeschi mentre gli insetti lo avvolgevano completamente.

Dalla sala controllo due Morrow e compagni seguivano il procedere delle cose con le telecamere.

"Sono dentro! - disse Morrow - "Sandra chiudi la porta dietro di loro!"

La tecnica anglo-indonesiana premette un tasto della console e la prima porta si richiuse lasciando Koenig e Verdeschi nel piccolo ambiente avvolti completamente da quelle bestie orribili.

"Aprite la saracinesca esterna!" - gridò Koenig alla radio.

Sandra premette il tasto ma sullo schermo apparve la scritta: "Malfunction".

"E' guasta! Non si apre!" - urlò Sandra verso Morrow e tutti i presenti della sala controllo due.

"John! La mia visiera sta cedendo! E' orribile!" - gridò Tony avvolto come Koenig dallo sciame.

"Tony! Dobbiamo aprirla con il comando manuale!" - urlò il comandante.

I due cercarono di avvicinarsi al portellone ma lo sciame era sopra di loro ed impediva loro di vedere persino la parete. Sulla visiera di Koenig gli insetti mostruosi tamburellavano con i loro orrendi spilloni contro il plexiglass già incrinato.

All'improvviso, agitandosi cercando di scrollarsi di dosso gli insetti alieni, John Koenig vide uno spiraglio nello sciame. "La vedo Tony!" disse riferendosi alla porta. Il comandante puntò la pistola laser a forma di ferro di cavallo verso la fessura dei portelloni ed aprì il fuoco. Un raggio azzurro intenso e continuato iniziò a perforare la paratia della porta. Un attimo dopo un suono metallico indicò che il laser aveva aperto un piccolo buco.

"Decompressione!" - gridò Koenig.

Esposta al vuoto esterno della superficie lunare tramite il piccolo foro la stanza stava rapidamente perdendo il poco ossigeno che conteneva.

Gli insetti venivano risucchiati all'esterno attraverso il buco. Koenig e Verdeschi si liberarono dello sciame che li avvolgeva e con un balzo afferrarono il comando manuale. La piccola rotella girò in senso antiorario ed il portellone si aprì del tutto rivelando all'esterno la grigia sabbia lunare.

 "C'è mancato poco John!" - disse Bergman entrando nello studio del comandante mezz'ora dopo.

Koenig osservava il panorama da uno dei grossi finestroni rettangolari.

"Sono state risucchiate tutte?" - chiese Koenig.

"I ragazzi della Sicurezza hanno verificato tutto il settore D. Con le tute spaziali naturalmente. Sembra proprio che ce ne siamo liberati!" - rispose laconico Victor Bergman.

"Un'arma biologica orrenda Victor, se avessero contagiato altri presto saremmo morti tutti!" - disse Koenig.

"Non più terribile di alcune armi biologiche che abbiamo inventato anche noi umani, John!" - rispose amaramente il vecchio scienziato.

"Ma ho qualcosa che sicuramente potrà tirarti su di morale dopo questa brutta avventura!" - continuò Bergman infilando un dischetto nel computer posto sulla scrivania del comandante.

L'immagine dello spazio dominava tutto lo schermo. "Vedi questo puntino bianco? L'ho messo in evidenza con una freccia. Questo è il nostro Sole. E' la prima volta che risulta visibile dopo tanto tempo. Se le operazioni di controllo del reattore giù alla stazione Ångström continueranno come programmato io sono certo che tra qualche anno potremo riportare tutta la Luna in orbita attorno alla Terra!" - concluse Bergman.

"Speriamolo Victor!" - rispose Koenig con un sorriso malinconico. "Speriamolo".

 

Fine
Ra
cconto © 2012 di Maurizio Anfosso. Pubblicato con il consenso dell'autore.