Questione di Fede un
racconto di: Amanda
"Washuu" Palumbo
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Capitolo 1 L'atmosfera tesa in Sala Comando, il fulcro delle operazioni della Base, si ruppe improvvisamente quando l'introversa ragazza addetta ai servizi fece cadere accidentalmente il vassoio del caffè ai piedi di David Kano. Il responsabile del computer della Base - vera e propria ancora di salvezza su questa luna che procedeva con difficoltà - sgridò June urlando in modo tutt'altro che professionale. La ragazza abbassò lo sguardo alla ramanzina dell'uomo tarchiato, incerta se cominciare immediatamente a pulire o aspettare finché non fosse tornato alla sua scrivania. Il responsabile della Sala abbassò la cartellina che aveva in mano, stupito, e si avvicinò ai due. Consolata da una lieve pacca sulle esili spalle, la giovane June annuì scossa, lo sguardo sempre basso, mentre Kano continuava a sbraitare. Si allontanò grata, in cerca di un aspiratore per liquidi, mentre Morrow si scagliava contro Kano, con tono d'accusa: "Non avevi alcun diritto di farlo!" David lo sfidò beffardo: "Non sei ancora il Comandante di Alpha… non ancora!" Morrow fremette furioso, trattenendosi a stento; il desiderio di assestare un pugno sul volto scuro dell'uomo più basso lo tentava enormemente. "Paul, no!", gridò Tanya, spaventata da quest'ultima minaccia alla loro precaria esistenza su quel globo errante. Minaccia proveniente non da invasori alieni, né da anomalie gassose… ma da paure riguardanti la possibile morte del Comandante Koenig. Il Comandante li aveva guidati con competenza fin dal primo giorno del loro imprevedibile viaggio nelle profondità dello spazio interstellare, attraverso miriadi di circostanze spesso incredibili. Eppure riusciva sempre ad infondere rinnovato ottimismo in tutta la loro estesa comunità, ogni qualvolta la sua voce profonda e rassicurante diffondeva aggiornamenti a tutta la Base. La loro unica costante attraverso una sconcertante fiumana di esperienze capaci di alterare la percezione. L'ampia Base era costituita soprattutto da scienziati, a parte l'indispensabile personale di servizio. Tutti quanti, uno per uno, erano stati presi dalla passione per lo spazio ed avevano firmato volontariamente per un turno di servizio lontano dalla Terra. Ma chi avrebbe mai potuto prevedere che la Luna avrebbe abbandonato l'orbita terrestre? Peggio ancora, a tormentare le loro speranze era l'assoluta certezza che se anche fossero riusciti a trovare - per una qualche folle circostanza - una casa, la Terra, l'amata Terra delle loro radici, dei loro sogni e celebrata ogni volta che facevano l'amore era irrimediabilmente perduta. Nessuno dei due uomini si rese conto del numeroso gruppo di operatori del secondo turno che si era raccolto dietro le spalle della donna. Osservavano silenziosamente il dramma che si stava svolgendo, spaventati dalla completa perdita di controllo da parte dei due compagni di lavoro normalmente amichevoli e saldi come roccia nelle emergenze. Le parole della Alexander placarono la sua ira, anche se Paul ringhiò: "In questo momento non sono in servizio e neanche tu lo sei!" Il suo sguardo cupo penetrò nell'uomo più piccolo, ma Kano rifiutò di abbandonare il suo atteggiamento. Dopo essersi guardati in cagnesco per molti secondi carichi di tensione, David fortunatamente cedette, uscendo a grandi passi dalla Sala Comando.
Vagabondando senza meta attraverso corridoi deserti, drizzando le orecchie quando passava vicino a gruppetti di persone raccolti in discussione, Morrow registrò frammenti di conversazione. Sta succedendo tutto troppo in fretta, pensò. La mancanza di aggiornamenti da parte del Centro Medico stava incominciando a dare sui nervi alla gente, ad abbattere il morale. Aveva bisogno di parlare col Professor Bergman. Localizzatolo per mezzo del computer grazie al segnale del commlock dell'anziano scienziato, Paul entrò nella stanza per scoprire che c'era anche Alan, che fissava avvilito l'aspro paesaggio lunare attraverso una piccola finestra. Fece a Victor un resoconto sul comportamento di Kano e sugli altri avvenimenti, e questi replicò inaspettatamente che sarebbe andato bene qualunque capo, purché ce ne fosse uno di nome. Alan si gettò uno sguardo alle spalle, informandoli che non si sarebbe bevuto una sciocchezza simile neppure per un istante e, dopo aver lanciato alcune invettive, abbandonò la stanza. Bergman e Morrow si scambiarono alcuni sguardi ed ulteriori preoccupazioni, poi il giovane augurò al professore la buona notte. Cosa che, sapeva, sarebbe stata cosa ben difficile, se il Comandante fosse morto. Zigzagando per i corridoi poco illuminati, si rese conto che doveva parlare immediatamente con Alan. Ma prima ancora di questo, aveva bisogno di affrontare i propri sentimenti, prima che gli accadesse di dare in escandescenze in un momento magari inopportuno. Gli altri, per poter tenere a bada le loro paure finché non sapessero come stavano le cose, avevano bisogno che il personale di grado più elevato mostrasse un certo equilibrio. Guardandosi attorno, si rese conto di essere giunto in sala mensa. Essendo molto tardi, non si era aspettato di trovare così tanta gente e si sarebbe accontentato di una tazza di quell'intruglio - qualunque fosse - che June aveva tentato di distribuire poco prima in Sala Comando. Entrando con le spalle curve, scorse Alan ad un tavolo d'angolo, con la faccia rivolta verso il muro. Questo era veramente strano. Il suo socievole amico si trovava generalmente a proprio agio in compagnia, spesso anche al centro dell'attenzione. Tutti cercavano di raccontare nei minimi particolari le ultime avventure ed il miglior pilota di Alpha tesseva sempre racconti avvincenti. Direttosi al banco di distribuzione, scelse alcuni pasticcini da accompagnare ad un tazzone di orribile tè Darjeeling sintetizzato. Imponendosi un'espressione amichevole, si avvicinò a Carter, posò il vassoio ed abbandonò il proprio corpo sulla fredda sedia di plastica. "Niente ragazze stasera?" Alan ignorò il commento ormai trito, apparentemente assorto nel bollente contenuto scuro della tazza. Paul Morrow portò un braccio dietro lo schienale della propria sedia, lanciando uno sguardo di supplica verso l'alto quando una tecnica del laboratorio di fisica si avvicinò lentamente facendo l'occhiolino. Annuì, storcendo la bocca distrattamente, poi si volse di nuovo verso il suo compagno di tavolo. Rimasero seduti in silenzio per un po' di tempo nella mensa ordinaria, mentre il Capo della Sala Comando valutava ulteriormente i sentimenti e l'umore della comunità. Abbassò le folte sopracciglia ed increspò le labbra mentre esaminava la testa china e la mano tremante di Alan. Allungando la mano in avanti, afferrò il boccale fumante prima che il suo contenuto si versasse sul polso del pilota. "Ehi, se stai tentando di farti esonerare dal servizio, scottarti la mano non è il modo giusto." La poco entusiasmante battuta suonò totalmente insignificante alle sue stesse orecchie e non fu nemmeno avvertita da Carter. Posando le braccia sulla fredda superficie piana, il Vicecomandante lo rimproverò pacatamente: "Siamo tutti preoccupati per John. Al punto che, invece di ammettere la possibilità che possa non risvegliarsi, stiamo dilaniando la Base". Alan fece scattare il capo verso l'alto, rompendo quasi la fronte di Paul mentre batteva rumorosamente i propri palmi malfermi sul tavolo. "Hai sentito quella stronzata che il Professore stava cercando di farmi bere? Lui non morirà, dannazione! È la gente come te, che sta aspettando che accada, che farà affondare questa barca, trascinando con essa il Comandante! Pensi che Gorski avrebbe fatto arrivare i nostri riveriti fondoschiena fin qua?" Spingendosi indietro con ira, fece quasi rovesciare la sedia finché una lunga mano non si avvinghiò al suo polso, trascinandolo in avanti fino a poter contare ogni singola venatura rossa negli occhi strabuzzati di Morrow. "Il tuo atteggiamento è proprio il motivo per cui Alpha sta andando in malora", sibilò l'uomo, gli occhi saettanti. "Nessuna di queste stronzate può trovar posto tra i responsabili della Sala Comando! Ed ora siediti, Carter!" L'uso da parte di Morrow del suo cognome interruppe i pensieri vertiginosi di Alan ed il suo sguardo guizzò verso quello dell'altro uomo. "Tu non capisci, Paul. Io sono stato al Centro Medico, e…" le parole gli morirono sulle labbra ed aggrottò le ciglia, mentre con la coda dell'occhio percepì per un attimo la manica bianca di un'infermiera. Ringhiando, il pilota sconvolto si tese per gettarsi in avanti, ma la presa dell'altro si serrò. I due grattarono rumorosamente il pavimento duro con i loro stivaletti, lottando brevemente. Pur non facendo parte, al contrario di Alan, della cerchia di Alfani fanatici della forma fisica, la determinazione conferì a Paul una forza superiore al normale. Sostenne l'amico quando cedette, mentre l'adrenalina calava. "Ti capisco, amico mio", disse con fermezza all'uomo ora immobile. "Io mi trovavo proprio lì, alla mia postazione, quando il Comandante discuteva col Professore su un ritardo di quaranta secondi prima, e di altri tredici poi, quella volta che stavi posando delle cariche per far esplodere un asteroide in rotta di collisione. Tu non l'hai mai saputo... John stava lì, in lacrime mentre ti parlava, conscio che non c'era alcuna possibilità al mondo che tu ce la facessi. È quasi crollato, mentre tentava di mantenere vive le tue speranze." "Dopo che le bombe detonarono e che si perse ogni contatto con te, rifiutò di accettare la tua perdita. Noi l'esortammo ad affrontare la realtà, così come noi la vedevamo…" Paul chinò il capo, vergognandosi di aver anch'egli denigrato John perché stava lasciandosi andare per Alan a quello che ogni altra persona presente aveva visto come un colossale spreco di tempo e di combustibile, mettendo per di più in pericolo la sua stessa vita. Inoltre, quando venne il momento nessuno contraccambiò la coraggiosa fede che il loro Capo e secondo miglior pilota della Base aveva dimostrato numerose volte. "…chiese un'Aquila su una rampa di lancio qualsiasi purché ancora funzionante mentre si precipitava fuori dalla Sala Comando per andarti a cercare. Io l'avevo accompagnato perché… perché lui ci - beh, in realtà mi - aveva fatto credere che c'era una tenue possibilità che avesse ragione. Io pensavo che fossimo usciti là fuori soltanto per recuperare il tuo corpo e volevo esserci principalmente per aiutare John… nel caso lui… cedesse." Quello era stato un brutto capitolo della loro storia; non aveva mai capito a fondo come fosse sfuggito alla quarantena per infermità mentale indotta dalle radiazioni: se sia Alan sia il Comandante ne erano caduti preda, lui avrebbe dovuto essere evidentemente il prossimo. Eppure, nel disperato tentativo di evitare che il pianeta li facesse a pezzi, nessuno avrebbe potuto prendere decisioni con un minimo di serenità. "Il margine di sicurezza, come riferito da David e dal Professor Bergman, prevedeva a tuo favore una possibilità di sopravvivenza nulla. Ma lui aveva trovato un modo: a chi altri sarebbe venuto in mente di usare in una situazione di emergenza come quella un qualcosa di così banale come i segnali dei satelliti orbitali?" Il capo della Sezione Ricognizione si chinò in avanti, sentendo ancora nelle proprie orecchie il rumore dell'argano in avaria che girava a vuoto nella cabina di pilotaggio di Aquila 1 e lo sforzo frenetico per cortocircuitare i relè automatici e calare la carica manualmente. Cosciente del fatto che aveva già superato i margini temporali di sicurezza, si sarebbe scrollato di dosso quella maledetta carica e l'avrebbe fatta finita. Se doveva togliersi di mezzo, non l'avrebbe certo fatto rimanendo attaccato ad una carica. Sarebbe stata questa la sua scelta, come pilota. Puntando un dito pieno di cicatrici, disse annuendo: "Ascolta, amico mio, io so che cosa ha fatto per me, per tutti noi, in quante, 70 crisi che abbiamo superato? Ma c'è qualcos'altro: lui, a differenza di altri, non ha mai tradito la sua posizione qui, oppure qualcuno di noi, giusto? Eppure qualcuno è già pronto ad abbandonare completamente John Koenig!" Il tono della sua voce si era alzato e le due stanche infermiere s'irrigidirono, adombrandosi per l'implicita ed ingiustificata frecciata nei confronti del loro Capo del Centro Medico.
Capitolo 2 Helen sollevò gli occhi arrossati ascoltando il resoconto del Dottor Mathias sulle condizioni di John. Si accorse anche di una voce tremula che stava chiamando il suo nome. Abbandonando controvoglia la vigilanza accanto al letto di John, ai suoi monitor, si diresse verso Sandra, mentre il suo istinto medico già valutava lo stato di salute della più giovane donna. "Non deve lasciarlo morire", la implorò. Sbalordita, Helen aprì le braccia, per nulla salde. "È la macchina che tiene John in vita; non è lui, e neppure io." La Benes rispose: "E che differenza c'è? È vivo, questo conta!" Spiegare i particolari delle sue condizioni non ebbe assolutamente alcun effetto. In più, l'esile analista capì dove la mente della Russell stava andando a parare. "Aspetti ancora, la supplico!" implorò senza fiato. Giratasi, Helen Russell tornò verso John, osservando il suo volto adorato e immobile dai piedi del letto. Presa da un improvviso attacco di claustrofobia, sentì che rimanere nel Centro Medico era troppo difficile da sopportare anche solo per un millisecondo di più. Annuendo concisamente all'analista dati, si appoggiò ad un tramezzo, riprendendo forza, poi se ne andò lasciando il Centro Medico. Sto già abbandonando John? Fermandosi nel corridoio, oscillò a quel pensiero traditore. Il commlock emise un segnale e, anche se tentata d'ignorarlo, tuttavia rispose. Il volto di Paul apparve nel piccolo schermo, la sua espressione uno specchio della propria, Helen ne era certa. "Dottor Russell, ho convocato una riunione del Comando. Può venire in… ufficio?" Espirando rumorosamente, annuì controvoglia. "Sarò lì entro un'ora. Ho bisogno di fare una doccia, altrimenti non sarò di alcuna utilità a nessuno." Chiusa la comunicazione, rimise l'apparecchio alla cintura con un movimento brusco, proseguendo lungo l'atrio. La gente la osservava, temendo il peggio, riponendo tutte le proprie speranze nel Capo del Centro Medico. Non capivano che, se un miracolo era possibile, lei sarebbe stata la prima ad approfittare di quell'opportunità? O che il suo cuore veniva spezzato in gelidi frammenti, che trafiggevano senza preavviso il suo intorpidimento durante gli innumerevoli turni con il suo paziente numero uno? Il Capo del Centro Medico raggiunse con passo malfermo il suo alloggio, esausta oltre misura. Si lasciò cadere sulla sedia di fianco alla libreria, senza preoccuparsi di accendere la luce. Solo una doccia rapida, un cambio d'abito per riacquistare lucidità, poi sarebbe potuta tornare al suo paziente in fin di vita. Il commpost con il suo schermo brillante si rifletteva sulle piastrelle verdi di plastica traslucida del muro. Calma benedetta: aveva bisogno di rilassarsi un attimo. E poi di arrivare ad una decisione, indipendentemente da come diversamente corressero le sue emozioni. Si era già trovata in questa situazione in passato; come medico, la Morte seguiva come un'ombra ogni sua mossa. Frammenti della sua esistenza erano rimasti in sale operatorie dalla Terra fino ad Alpha. Solo che, questa volta, la posta in gioco era così alta che non era sicura che avrebbe mai potuto riprendersi. Di che cosa si era lamentato John recentemente, dopo l'incomprensibile morte di Mateo? "Mi accuso per ognuno che muore su Alpha, Helen. Ma per Mateo... sento che devo accusarmi ancora di più." "Oh, John", si disperò lei ad alta voce, "tu non hai idea quanto di più questa volta." Le sue parole a Victor alcune ore prima, parlando come medico: "Perché il momento di morire era arrivato per John", avevano lasciato morente anche la parte protetta dietro barricate emotive. Le banalità offerte per lenire il dolore di John diventavano così vuote di fronte al suo opprimente limbo medico. Eppure sembrava che avesse tratto conforto dalla loro conversazione quella sera nella Sezione Idroponica. Affronta la situazione, vecchia mia; l'ultimo uomo che tu mai amerai se ne sta andando e non c'è nulla che tu possa fare, nessuna tecnica che tu possa attuare per evitare l'inevitabile. Quella stimolazione cardiaca era la tua ultima speranza! Tenendo lo sguardo fisso nel chiaroscuro, Helen Russell sollevò la mano destra. Abbassò lo sguardo sul palmo rivolto verso l'alto, chiudendolo lentamente come se volesse catturare la sensazione della calda pelle viva di John per sempre. Non la fronte segnata, ora fredda in maniera inquietante, ricoperta da capelli stranamente morbidi - si era sempre meravigliata che l'uomo alto, che possedeva lineamenti e intelletto così spigolosi, fosse morbido nei punti che lei amava di più. Aveva infilato le dita attraverso quel casco scuro di capelli mentre controllava le letture dei segni vitali. Si era veramente aspettata che i risultati cambiassero? La Bella Addormentata nel Bosco a rovescio? Provando forte irritazione per l'erronea supposizione dell'intera Base che la vita di John fosse veramente riposta nelle sue mani per il solo fatto di essere il medico capo, riesaminò il suo caso ancora una volta. Ma non c'era molto da esaminare: un caso da manuale di coma indotto da trauma. Sospirando in tono rassegnato, Helen ammise che avrebbe fatto meglio a non abbandonarsi ad altre fantasie; la sua preparazione era troppo approfondita per permetterle di concedersi fantasie quando si trattava di quel tipo di paziente. Le funzioni cerebrali erano nulle: solo i sistemi artificiali di sostentamento mantenevano in vita quello che ormai era un semplice involucro. Lo facevano per Alpha. E per lei. Appoggiandosi indietro, lasciando che il suo capo pendesse, il dottore scacciò il torpore che le consentiva di agire di fronte alla sua più grande sfida… e probabilmente il suo peggior fallimento. No, Helen! Questi ragionamenti portano solo alla pazzia! Chiudendo gli occhi venati, represse non volute lacrime d'impotenza; riascoltò nella sua mente il tono di voce misurato del Comandante Zantor. Il deterioramento biologico può essere rallentato, ma la vita in sé non può essere sospesa in quel modo... si perde il sapore... si perde il sapore stesso della vita. Scuotendo leggermente la testa, sostituì la depressione che la stava invadendo con l'immersione in recenti ricordi, sensazioni tornate alla memoria. Braccia forti e piene di desiderio che l'avevano condotta in paradiso in varie occasioni. Il profumo delicato della sua pelle calda quando lei seppelliva il volto nella giunzione tra spalla e collo. La piacevole vibrazione del suo torace sotto la guancia quando egli parlava con calma del suo amore per lei, accentuata da labbra premute dolcemente sui suoi capelli, sulla sua fronte, sulla sua bocca. Quelle dichiarazioni non le venivano in mente direttamente ma, dal modo in cui il cuore di John brillava attraverso quei vividi occhi azzurri - brillanti come lo splendore del cielo dei Caraibi - lei sapeva che, ogni volta che la sentiva avvicinarsi e rispondergli con voce commossa, egli sarebbe riuscito infine a penetrare le sue difese. C'era riuscito quella volta che erano riemersi i problemi di Tony Cellini e che lei si era fortemente irritata perché la loro relazione in germoglio stava vacillando. L'irata ostinazione di John superava la sua… anche se si era scusato con lei poco dopo, addirittura offrendole timidamente un profumato giacinto in bottiglia! Quello era il segnale in cui aveva sperato, il Comandante Koenig vedeva veramente il suo Capo del Centro Medico come una donna desiderabile. Una che si augurava di conoscere meglio, nonostante gli inevitabili contrasti tra le loro forti personalità. Quando la loro sopravvivenza era stata messa in pericolo dal sole nero, volare via da Alpha nell'Aquila di salvataggio l'aveva costretta a rendersi conto che non poteva sfuggire al proprio amore crescente per lui. Ma era stato solo dopo il ritorno da uno strano pianeta che aveva fatto regredire la loro squadra di qualcosa come quarantamila anni che si era gettata a tutta forza nel suo abbraccio. Lui l'aveva tenuta così vicina, come se fosse stata la parte più preziosa del suo universo personale. Proprio quella notte si era presentato alla sua porta con un fiore raro in una mano ed un raro vino d'annata - sospettava la mano di Victor in quest'ultimo - nell'altra, sorridendo speranzoso. Prevedendo la sua visita, lei si era cambiata dallo scialbo abbigliamento unisex indossando una di quelle camicie da notte estremamente femminili e poco usate, lunghe fino al pavimento, coprendola in fretta con uno scialle verde pallido per aprire la porta. John non poté fare a meno di lanciarle delle sbirciatine indiscrete mentre si era intenzionalmente chinata per versare il ricco Merlot in calici di cristallo smussati, e questo le aveva rafforzato la determinazione di non lasciarlo andare via prima delle sei del mattino. Se n'era andato alle sei e trenta, fischiettando allegramente. Helen fece girare nervosamente il suo anello rosa. Era decisamente criminale prolungare la morte vivente di John, intrappolando l'uomo che una volta ribolliva di emozioni trattenute a stento e di vitalità senza limiti. I suoi lineamenti da falco tornarono in un lampo alla vista, con il suo vivido sguardo blu intenso quando aveva discusso la fattibilità di una soluzione ad una delle minacce al benessere della Base. I loro incarichi non erano dissimili, quello di lui soltanto molto più in prima linea. Solo loro comprendevano reciprocamente le proprie paure private, la propria depressione ad ogni perdita. Ne avevano discusso una volta, scoperto la profondità del reciproco impegno totale per la sopravvivenza sia su scala più ampia sia di ogni singolo individuo che operava sulla loro Luna errante. E invariabilmente si erano scontrati - come se fossero stati gravemente insultati l'un l'altro - quando i loro obiettivi non erano esattamente coincidenti. Fece un sorriso storto, richiamando alla memoria gli sforzi di lui per rientrare nelle sue grazie in queste occasioni. Neppure lei aveva remore a fare le proprie scuse a John, quando si rendeva onestamente conto di avere torto. Le era mancata più la loro amicizia che il proprio orgoglio professionale intatto. Eppure l'amava abbastanza, possedeva sufficiente coraggio per staccare la spina, per il suo bene? Oh amore mio, perché devo perdere anche te?! Sì, aveva sofferto tremendamente alla presunta morte di Lee; avevano goduto di molto più tempo insieme di quanto lei ne avesse passato con la relazione, a lento sviluppo, con John. Sorridendo, ricordò con un po' di divertimento che John tentava di esserle vicino, di proteggerla, anche se doveva esercitare uno sforzo tremendo per contenere la propria gelosia. Suo marito era ritornato, eppure John era rimasto fedele al suo fianco. Non le era stato dato alcun indizio sul fatto che la missione di Lee era andata storta. E John, essendo all'epoca un astronauta importante, aveva ricevuto un resoconto dettagliato, a confronto di quello fornito alla moglie stessa di Lee! Ma lui non aveva avuto alcuna remora a riferirle, più tardi, quanto aveva appreso. A lei era stato detto soltanto che non sarebbe più tornato. Fine. Ma con quest'uomo, il vero amore della sua vita - e non poteva sfuggire a quel fatto qui, nella serenità del suo alloggio - almeno avrebbe avuto la possibilità di dirgli addio, accarezzargli il volto… baciare quelle labbra che un tempo la cercavano ancora una volta prima di… prima di… "NO! JOHN!!" Il grido angosciato uscì dalla sua stessa anima quando la Russell bruscamente si alzò. Camminando come un automa nell'ambiente di solito tranquillizzante, si spogliò rapidamente, poi entrò nella doccia. Lasciar scendere l'acqua come una cascata sul collo e sulle spalle liberò la tensione fino al punto in cui la sua famosa riserva si frantumò. Appoggiando una spalla contro la parete della doccia, Helen si arrese alla disperazione soffocante. Come avrebbe potuto continuare a considerarsi un dottore? Che finzione, quando non era nemmeno in grado di pensare a una soluzione migliore di un defibrillatore! Non poteva escogitare un modo migliore per far tornare la sua anima? I suoi singhiozzi erano attutiti dal getto d'acqua. Rimase lì, tremando nonostante l'ambiente pieno di vapore, cercando quel luogo dove nessun dolore potesse colpirla, finché il suo orologio interno non l'avvertì che era trascorso del tempo. Aveva soltanto un ultimo dovere; avrebbe affrontato la distesa di vuoto che si stava spalancando successivamente. Rinchiudendosi nella corazza di una uniforme fresca, abbandonò rapidamente la propria stanza spaziosa, con i tacchi che risuonavano nel duro corridoio, fermandosi all'ingresso dell'alloggio di John. Un dovere, ricordò a se stessa, appoggiando entrambe le mani alla sua porta, desiderando che la sua voce la invitasse ad entrare, implorando il Fato che lei avesse soltanto bisogno di svegliarsi da questo terribile incubo per essere avvolta nel suo caldo rifugio, per sentire la sua forma solida mentre faceva scivolare lentamente le sue mani intorno alla vita, spingendole furtivamente più in basso per tirarlo ancora più vicino a sé! Non sapeva quanto tempo era rimasta là, con la fronte appoggiata contro la porta, ma poi si accorse di occhiate curiose, di sguardi pesanti, anche se nessuno osò avvicinarsi. Gente che contava su di lei, e che presto l'avrebbe disprezzata. Non più di quanto l'avrebbe fatto lei stessa, se la sua capacità di provare sentimenti non si fosse consumata dopo il fatto.
Paul si lasciò andare sullo schienale della sedia intorno al rotondo tavolo da riunione nell'Ufficio del Comandante, sconvolto. Temeva la prognosi del Dottor Russell, ma era solo una conferma per coloro che avevano visto il Comandante Koenig giacere così innaturalmente silenzioso. Rabbrividì lievemente, poi gettò uno sguardo a Carter, che osservava tutti nella stanza come se stessero parlando di ammutinamento. Dio! Sarebbe stato disposto a pagare di tasca propria, a dare in cambio qualsiasi cosa pur di non trovarsi in quella posizione! Peccato che David avesse assalito la povera ragazza per aver lasciato cadere del caffè - lui stesso avrebbe voluto prendere dei rottami e gettarli via, detriti, qualcosa di pesante che cadesse a terra con suono gratificante. Ma, per Dio, avrebbe reso onore al suo Comandante guidando Alpha attraverso quest'ultimo disastro! Ma Kano sembrava pentito: stava studiando le scalfitture del tavolo troppo attentamente mentre il Dottor Russell faceva il suo rapporto. Victor Bergman sospirò pesantemente attraverso le dita delle mani giunte. Schiarendosi la gola per attirare l'attenzione, annunciò: "La decisione è stata presa, allora, dalla mancanza stessa di segni di reazione da parte del Comandante. Non possiamo permettere che questa specie di esistenza artificiale di John Koenig continui, se davvero stimavamo l'uomo e ciò che egli rappresentava". Carter passò una mano frustrata attraverso la frangia dei suoi capelli sempre più radi, simile più a un surfista che stava invecchiando che ad un veterano uomo dello spazio che stava per perdere il suo copilota preferito. "Se questo è tutto, allora", dichiarò sprezzante, "io ne sono fuori". Non c'era niente da guadagnare discutendo con loro. Aveva tentato di tutto per dissuadere questi due eccelsi esemplari di scienziato dallo spegnere le macchine del Comandante, aveva parlato col Dottor Mathias solo per scoprire che quel voltagabbana condivideva la diagnosi del Dottor Russell. Loro non comprendevano la lealtà, non rammentavano quante volte il Comandante Koenig aveva salvato il loro immeritevole osso del collo, ma lui sì! Doveva esserci un modo… il tempo stava per finire; tutto ciò che poteva fare era intercettare lei poiché, in qualità di Capo del Centro Medico, l'atto finale poteva essere perpetrato solo dal Dottor Russell. E pensare che lei lo amava… evidentemente si era sbagliato. Si fece largo attraverso corridoi in piena attività, congestionati da personale del primo turno, maledicendo dentro di sé il fatto che si stavano riducendo le possibilità di fare in tempo. Fortunatamente, riuscì a infilarsi tra le porte in chiusura proprio nel momento in cui lei allungava la mano verso l'apparecchiatura che teneva in vita Koenig. "NO", tuonò, "non le permetterò di ucciderlo!" Helen si voltò verso Carter, comprendendo il motivo della sua apparizione. Il Dottor Mathias si lanciò contro il pilota impazzito per impedire che Alan la raggiungesse. Scioccata, rimase a fissare pietrificata la lotta che ne scaturì finché Carter non gettò l'infermiere attraverso la stanza. Afferrato il proprio commlock, chiamò la Sicurezza. Arrivarono alcuni attimi dopo, ma sembrava impossibile domare Alan Carter: assestò dei brutali calci con le gambe a mo' di forbice, atterrò ogni uomo della Sicurezza, ma infine, grazie alla mera superiorità numerica, lo immobilizzarono contro la parete, lontano da lei e da John. Questo era stato l'errore: se fosse stato presente il resto del personale di grado elevato, non sarebbe sembrato che lei stava staccando l'attrezzatura di John per propria decisione. Senza mai distogliere lo sguardo dal Capo della Sezione Ricognizione, chiamò Paul e Victor. Entrarono mestamente, uno dietro l'altro; Paul andò dritto da Sandra, che era stata ferita anch'essa, insieme al Professore, nello stesso incidente che aveva colpito in maniera molto più grave il Comandante. Lei sollevò lo sguardo verso di lui con quei suoi occhioni pieni d'emozione. Egli si avvicinò lentamente alla sinistra di John, spendendo soltanto un'occhiata verso la scena che mostrava Carter ansimante, uomini della sicurezza trasandati che lo trattenevano ancora e il Dottor Mathias che si curava guancia e mento che stavano diventando lividi. Era il momento: Paul annuì a Bergman, che a sua volta rivolse lentamente uno sguardo carico di significato al Dottor Russell. Morrow capì con un bagliore d'intuizione che il Professore aveva compreso la gravità della situazione di John molto presto, addentro com'era ai vari rami del sapere. L'attenzione era totalmente concentrata sul dottore, i cui occhi umidi e la cui espressione angustiata tradivano la mano ferma che si stava allungando lentamente per spegnere l'apparecchiatura. Un semplice tocco delle dita sottili… ed era fatto. Carter continuò a fissare la linea piatta sullo schermo del monitor di Koenig, desiderando che un miracolo si compisse dopo che il Dottor Russell si era voltata dall'altra parte, non disposta a permettere che gli altri vedessero le sue lacrime. Gli occhi di Sandra non lasciarono mai il suo Comandante mentre le spalle di Paul si piegarono, quando tornò al suo fianco. Sentiva lo spirito di John? Lei lo fissava impassibile, con quell'atteggiamento che egli avrebbe giurato fosse di attesa. Ma era impossibile. "Helen..." Una voce familiare ed esile risuonò, facendo trasalire la Russell. Lei si girò rapidamente; colpita ben oltre ogni sua capacità di reagire, tranne che scrutare rapita quegli occhi aperti e velati che la osservavano con piena lucidità. Egli sollevò lentamente una grossa mano aperta. Scuotendosi, lei si chinò per afferrarla stretta fra le proprie, come se potesse trasferire in lui il proprio calore, la propria energia. Non sapeva come ciò potesse mai essere accaduto, non le importava. Tutto ciò che poteva mai importarle nella vita le stava sorridendo. "Sono… sono rimasto svenuto a lungo?" Helen non poté trattenere la propria gioia. Sopraffatta, scosse la testa, rispondendo infine tremante: "No, non tanto", prima che la voce le venisse meno. L'ampio sorriso che metteva in mostra tutti i denti dell'uomo riparò le fratture che si stavano già formando nel suo cuore, poi egli si volse dall'altra parte, con un'espressione seria. Sandra incontrò e sostenne il suo sguardo prima di lasciarsi andare esausta sul lettino. Paul l'accarezzò dolcemente sulla guancia, incapace di trattenere le proprie reazioni al ritorno del Comandante Koenig. Il Centro Medico rimase silenzioso per lunghi momenti, fino a che una delle guardie della Sicurezza non disse a voce alta: "Uhm, Dottore, signori? Che devo fare con il Capitano Carter?" Victor risalì gli scalini e si avvicinò a Carter. "Lo lasci andare", lo istruì con voce tenue. "Abbiamo sofferto tutti, ma ora va meglio, non è vero Alan?" Respirando profondamente, l'australiano si rilassò impercettibilmente. C'erano andati dannatamente vicini. Sentì che il pericolo era passato; ora tutti sarebbero stati bene. Annuendo a Bergman, si mosse lentamente, come se non volesse allarmare gli uomini della Sicurezza, verso il letto su cui giaceva, con gli occhi ancora aperti, il Comandante. Un ampio sorriso brillante illuminò i lineamenti scavati del pilota quando sentì la piacevole musica dei monitor che registravano i forti battiti del cuore di Koenig. "Bentornato, signore", riuscì a dire, "bentornato a casa."
Capitolo 3 Helen accettò con gratitudine il vassoio di cibo che non aveva richiesto. "Grazie, Paula." "Posso fare qualcos'altro per Lei, Dottore?" "No, grazie. Prenditi la serata libera; rimarrò io di guardia." Paula sapeva che era inutile esortare il suo superiore ad andarsene. Il Dottor Russell aveva bisogno di avere il Comandante Koenig sott'occhi e, molto probabilmente, di toccarlo dopo che se ne fosse andata. Dopo averle dato la buona notte con un sorriso, se ne andò, abbassando le luci del reparto e lasciando il blu delle luci notturne. John si era addormentato non molto dopo che Carter se n'era andato via. Lei non biasimava Alan per le sue azioni; conosceva il profondo rispetto che nutriva per il suo comandante. Non ci sarebbero stati cenni della sua mancanza in nessun rapporto, se ne sarebbe accertata una volta che le proprie emozioni si fossero calmate e che John si fosse rimesso in salute. Una tale ferma lealtà non doveva essere penalizzata, specialmente quando era indirizzata a John. Immergendo un cucchiaio nella ciotola di zuppa di miso marrone, la mescolò pensierosa. Il ritorno di John sfidava ogni precedente medico. Il suo istinto le diceva che si trattava esclusivamente di un evento isolato, che non si sarebbe ripetuto in futuri casi simili. Svuotata la ciotola, avvicinò a sé i moduli di cui aveva bisogno, intenzionata a compilarli con il suo rapporto prima che la sera finisse. Il sonno non le sarebbe venuto facilmente; tanto valeva passare il tempo in maniera produttiva. Questo e tenere d'occhio John, naturalmente. A proposito… alzatasi, si avvicinò silenziosamente al suo letto con le ciabatte ai piedi. Sandra sarebbe certamente rimasta addormentata tutta la notte, ci avrebbe scommesso. John, invece, si era mosso al suo sguardo amoroso. Le fece capire stancamente di essersi accorto della sua presenza, sorridendo mentre lei avvicinava una sedia al letto. "Puoi far meglio, Dottor Russell." Helen inclinò la testa. "Come, John?" Soltanto il pronunciare il suo nome ad alta voce le procurava un enorme sollievo. Il suo sguardo verde giada percorse le forme dell'uomo, mentre allungava una mano per increspargli i capelli neri che prima aveva ricordato così calorosamente. Ancora altrettanto soffici ed elastici sotto le dita. "Mmmmmm, è piacevole", disse dolcemente John con voce roca. "Rimani qui con me?" Presa una tazza d'acqua dal comodino, gli mise un braccio dietro alla schiena, aiutandolo a tirarsi su quanto bastava per riuscire a bere. La testa di lui era appoggiata contro la propria e lei chiuse forte gli occhi, tentando di trattenere le lacrime che stavano spuntando. Ma il calore della sua guancia stretta contro la propria le fece ben presto inumidire un poco le loro pelli unite. Un forte respiro cadde sul suo volto quando lui cambiò posizione. Cingendo con un braccio le sue spalle minute, egli premette un palmo sul suo alto zigomo. "Mi sei mancata." Helen scosse leggermente la testa, non capendo. Forse la sua mente dopo tutto era rimasta viva, persa in un sogno da cui non riusciva a uscire? Tali pensieri l'abbandonarono immediatamente al gentile tocco della sua bocca sulla propria. Lei reagì con prudenza, consapevole delle condizioni di salute ancora fragili dell'uomo. Quando si divisero, rispose riservata: "Mi sei mancato terribilmente anche tu, ma fortunatamente non tanto a lungo quanto avevo temuto." Facendo scivolare una mano nel suo pigiama blu aperto, la fece scorrere dalla spalla giù fino al torace, fermandola per sentire il battito del suo cuore. "Non potevo sopportare di perderti, John. Non quando ti avevo appena trovato, non quando avevo veramente iniziato ad avere te nella mia vita". Commosso oltre le parole, tentò di stringerla tra le proprie braccia, ma
l'apparecchiatura di sostegno delle funzioni vitali ostacolò le sue intenzioni.
Un senso di colpa lo investì quando gli tornarono alla mente le emozioni che
aveva inspiegabilmente permesso a Vana di far sorgere in lui. Come aveva fatto a
condurlo al punto di pensare di abbandonare tutto ciò che aveva mai desiderato
e che ora sedeva
proprio lì di fronte a lui? Non aveva mai pensato di essere una persona
insensibile, sapeva di non esserlo. Sapeva anche come aveva disperatamente
desiderato che Helen ricambiasse i suoi sentimenti e lei alla fine l'aveva
fatto. Quindi perché questo non era stato abbastanza? Non era mai stato il tipo
da giocare con i sentimenti altrui! Doveva vuotare il sacco? Come affrontare l'argomento delle sue esperienze su Zenno senza contemporaneamente perdere Helen? Non che potesse biasimarla. Ma sentire il tocco di Helen, reale e vivo, gli fece comprendere di nuovo come lei fosse diventata una parte vitale della propria vita. L'attrazione per Vana, qualunque cosa l'avesse generata, si stava affievolendo, riducendo la propria coscienza alla donna che ora era stretta calorosamente contro di lui. Aveva intenzione di sposarla. Dopo che avessero trovato una casa, così avrebbe potuto offrirle un futuro tangibile. Ma prima di questo, doveva farle sapere di Vana e di quello che egli aveva quasi fatto. Se dopo lei lo avesse ancora voluto, allora si sarebbe considerato l'uomo più fortunato dell'universo, ancora più di quanto avesse diritto di aspettarsi. Diamine, aveva potuto trattenere a malapena la propria rabbia all'apparizione di Lee Russell! Sarebbe stato capace di accettarla se le parti fossero state invertite, se lo Zennita avesse avuto un figlio invece di una figlia? Il principio di un mal di testa gli fece fare una smorfia. "Sdraiati di nuovo, amore mio." Osservando la sua pallida dea ritrarsi, piangeva già la sua assenza. Si sentì scivolare nel sonno, interrotto da un rumore metallico. Costringendo gli occhi ad aprirsi leggermente, vide che Helen aveva sistemato una branda di fianco al letto. L'uniforme medica era scomparsa, sostituita dallo stesso pigiama di seta che indossava lui. Solo che sul suo corpo era molto più attraente. La osservò accomodarsi con grazia ad occhi chiusi e gustò il modo in cui si rimboccava le coperte fin sul collo. Le mani si incontrarono a metà strada ed egli decise che non gliel'avrebbe detto per molto tempo. Non finché non se la fosse ingraziata. "Ti amo", disse sommessamente. "Buona notte." Non ci fu risposta; lei si era già addormentata. Studiando la sua faccia, John notò per la prima volta i suoi lineamenti tesi, i suoi occhi cerchiati. Le aveva fatto patire le pene dell'inferno. Accarezzandole i capelli biondi, fu ricompensato da un sospiro di soddisfazione e lei si avvicinò pian piano a lui. No, avrebbe aspettato finché non l'avrebbe amata così profondamente e così ripetutamente che lei avrebbe trovato un modo di perdonarlo… forse. La Luna continuò a sfrecciare nello spazio, ma gli Alfani allentarono tutti la loro tensione; il loro comandante era tornato. Lui ce l'aveva fatta, e anche loro ce l'avrebbero fatta. |
Fine
Racconto
© di Amanda "Washuu" Palumbo
Collegamenti
Space: 1999 Fiction Archive (lingua inglese):
http://www.space1999fiction.com
Matter of Faith (versione originale inglese):
http://www.space1999fiction.com/story.asp?id=faith