Un unico destino

 un racconto di: Marco Bertinelli
impaginazione e grafica: Marco Vittorini

 

  

 

 

 

Capitolo 1

John Koenig osservò perplesso quella tessera del puzzle che non riusciva assolutamente a collocare e scacciò per l’ennesima volta il pensiero di rinunciare.

Uno scorcio del celebre “Giudizio universale” di Michelangelo, suddiviso in 2.000 pezzi, era visibile per ben due terzi, ma dopo quasi 5 ore di lavoro certosino e diverse tazze di caffè si sentiva incredibilmente stanco.

Questa volta non sarebbe riuscito a battere il record e sebbene fosse uomo da non arrendersi, l’immagine dei suoi vividi occhi azzurri, ora visibilmente arrossati e circondati da vistose occhiaie che lo specchio del suo alloggio gli restituiva, consigliavano di rinunciare.

Erano quasi le 5 del mattino e prima di coricarsi, almeno per un paio d’ore, decise di fare 2 passi per i corridoi della base e magari passare dalla Centrale Comandi per controllare che tutto procedesse al meglio. Non sarebbe stato assolutamente necessario, nel caso si fosse verificata una qualsiasi emergenza sarebbe stato certamente chiamato, ma fu più forte di lui, forse era anche per questo che ogni notte faticava ad addormentarsi.

Da quanto tempo era al comando della base?

Ne era trascorso davvero molto da quell’ormai lontano 13 settembre 1999 e molte cose erano accadute, avevano affrontato ogni genere di pericoli e pagato un prezzo talvolta molto alto per la loro sopravvivenza. Pensò a Paul Morrow, David Kano, Tony Cellini, ma soprattutto al caro amico Victor Bergman, la figura di cui avvertiva maggiormente la mancanza, un uomo acuto dalla intelligenza vivacissima e dotato di una incredibile profondità d’animo. Insieme ne avevano passate tante, avevano attraversato il sole nero ed ascoltato quella voce, udito quella speranza. Per un momento gli parve di sentire la fragranza del suo sigaro aleggiare nell’aria ed un ombra di tristezza e di rammarico oscurarono il suo viso.

Una sonora risata oltre le porte scorrevoli della Centrale Comandi lo distolse da quei tristi e malinconici pensieri: varcando la soglia vide il Capitano Alan Carter catalizzare l’attenzione delle divertite Yasko e Kate intente ad ascoltare i suoi infervorati e coloriti racconti nel tentativo di alleggerire il tedioso turno notturno.

Il Capo dei piloti di origine australiana era un vero simpaticone, sempre allegro e vivace, ma altrettanto professionale e preparato. In più di una occasione aveva mostrato la sua lealtà nei confronti del Comandante ed era sempre stato in prima linea nella difesa della base e del suo personale con spirito indomabile ed inesauribile coraggio. Al momento del tragico distacco dalla Terra, il Capitano fu l’unico a poter decidere liberamente del proprio destino: sarebbe bastato infatti indirizzare l’aquila con la quale si trovava in orbita attorno alla Luna in direzione della Terra, ma scelse invece di restare con i suoi compagni e di condividerne l’incerto futuro. Se avesse dei rimpianti per questo, non lo diede mai a vedere.

Alla vista del Comandante si fece subito serio e gli si avvicinò lisciandosi l’uniforme: ”Qualcosa non va, John?” chiese quasi timidamente.

“Dovrei essere a letto da un pezzo, ma ho preferito fare una passeggiata” rispose il Comandante rifiutando gentilmente la tazza di caffè che Yasko gli porgeva: ”sarà meglio che vada, buonanotte a tutti e buon lavoro”. Diede una leggera pacca sulla spalla di Alan ed uscì.

Poteva stare tranquillo, Carter era uno dei suoi elementi migliori ed all’occorrenza avrebbe cercato di proteggere la base anche a mani nude contro qualsiasi minaccia. Era un tipo coriaceo, lo sapevano bene gli uomini della sicurezza che sudarono non poco a trattenerlo quando, a causa di un incidente, lo stesso Comandante era rimasto gravemente ferito ed il dottor Russell decise di staccare le macchine che ne sostentavano la vita!

Successivamente ci scherzarono sopra, ma fu un momento molto difficile per tutti quanti ed Alan reagì da par suo.

Ora non c’era altro da fare se non andare a dormire e si incamminò verso il suo alloggio.

Era a pochi passi dalla porta d’ingresso quando si sentì chiamare, fece per voltarsi in direzione della voce quando un fortissimo dolore gli esplose nella testa. Immediatamente la vista si annebbiò e cadde pesantemente sulle ginocchia, i sensi obnubilati non erano in grado di trasmettergli alcuna informazione, soltanto un lancinante dolore al centro del cervello ed una immagine confusa e sfocata di uno stivale grigio, poi una pesante coltre di tenebra lo avvolse mentre la vita pareva abbandonarlo.

 

Capitolo 2

Il turno di notte presso il Centro Medico era certamente quello di gran lunga più noioso, di giorno l’attività era sempre in fermento e le sale di medicazione brulicavano di infermiere ancheggianti sotto i loro candidi camici o inguainate nelle attillate uniformi beige con manica bianca, pronte a curare quelle piccole ferite che qualche tecnico o qualche pilota/meccanico si procurava durante i lavori di routine, ma a quell’ora di primo mattino il locale si presentava deserto e silenzioso agli occhi di Bob Mathias, il medico di guardia. L’unica occupazione, per niente creativa o stimolante, consisteva nella sistemazione delle cartelle cliniche nel grande archivio sanitario.

Il Centro Medico era situato al livello J, il più profondo della base, per renderlo il più protetto possibile grazie alle strutture e ai livelli soprastanti. Era dotato delle apparecchiature più sofisticate realizzate dalla scienza medica terrestre ed era composto essenzialmente da una unità di terapia intensiva, una sezione di ricovero e di isolamento e da una sala operatoria sempre pronta all’uso.

Laureatosi in Medicina e Psichiatria presso l’Università di Londra, Bob Mathias era stato su Alpha già nel 1996 ed al momento del breakaway era al suo terzo turno di servizio nella base, godeva della fiducia e della stima della Dottoressa Russell, direttrice del centro, che personalmente ne aveva raccomandato la sua ri-assegnazione nel luglio del 1999. Per i suoi studi e per la sua spiccata professionalità ed umanità, era considerato un ottimo medico ed un valente psicologo, merce preziosa in un ambiente ostile come quello rappresentato dallo spazio, spesso capace di generare strani effetti sulla mente dell’uomo.

Il dottor Mathias avrebbe volentieri schiacciato un pisolino sul confortevole letto operatorio polifunzionale di pelle chiara, ma sarebbe stato poco professionale: cosa avrebbe pensato la dottoressa Russell se fosse entrata improvvisamente trovandolo placidamente addormentato? Decise che era meglio continuare il lavoro di archiviazione allontanando il miraggio di una bella dormita quando, improvvisamente, da uno dei monitor incassati lungo la parete alla destra della scrivania presso la quale si trovava prese a lampeggiare un messaggio di allarme accompagnato da un suono ritmico piuttosto cupo.

Era 0-3-4-7, il computer medico della base collegato ad ogni elemento del personale per mezzo di biotester, una specie di bracciali da polso molto simili ad un orologio, capaci di trasmettere all’unità centrale i dati relativi alla respirazione, al battito cardiaco ed alla temperatura di ogni singolo individuo. La brusca variazione di uno o più di questi parametri inseriva automaticamente il sistema di allarme. Nella maggior parte dei casi si trattava di alterazioni metaboliche in conseguenza di intense emozioni generate da incubi notturni o da situazioni di particolare stress psico-fisico come quelle provate dai piloti in volo, ma nulla di più, o almeno così pensava il dottor Mathias mentre si avvicinava al monitor.

Le grandi lettere azzurre si stagliavano quasi ipnoticamente sul fondo scuro dello schermo ed investirono il medico come una bordata micidiale. Il messaggio riportava:

  

Ci vollero quasi 10 secondi perché il cervello del dottor Mathias mettesse a fuoco quelle poche parole ed innescasse una reazione adeguata, pigiò con forza il tasto di chiamata sul suo commlock ed avvisò la dottoressa Russell che rispose al terzo squillo con la voce impastata di chi non si è ancora completamente svegliato. “Dottoressa, il computer medico ha dato l’allarme, le funzioni vitali del Comandante sono critiche!” esclamò Mathias concitatamente mentre si malediva per non essere stato in grado di mantenere un tono più calmo. La situazione era grave, ma andava prima di tutto verificata, del resto anche i computer si possono sbagliare.

O almeno così si augurava.

 

Capitolo 3 

Come ogni mattina, Tony Verdeschi si era alzato molto presto e presa la sua sacca di tela azzurra con la scritta a lettere cubitali bianche - tepa sport - un po’ sbiadite sul dorso e sovrastate da una grande V anch’essa bianca, si era incamminato verso la piscina della base.

In servizio su Alpha dall’agosto 1999, Tony era a capo del servizio di sicurezza della base dalla morte del compianto Paul Morrow del quale spesso ricopriva anche il ruolo di vice-Comandante. Di chiare origini italiane delle quali andava molto fiero, il trentatreenne toscano, pilota ed ingegnere spaziale, curava molto la sua forma fisica con nuotate quotidiane ed il suo morale con il consumo, sconsigliatissimo da parte del dottor Russell, di un abominevole intruglio che produceva da sé e che aveva l’assurda ambizione di voler far assomigliare alla birra terrestre. Dotato di grande umorismo e di una buona dose di auto ironia, non era certamente l’incarnazione di quello che militarmente avrebbe dovuto rappresentare un “primo ufficiale”, ma il suo senso del dovere e la sua fedeltà al Comandante Koenig facevano di lui una pedina insostituibile nello scacchiere del comando.

Era nell’ascensore che lo stava portando al livello G e quindi alla piscina, quando il suo commlock segnalò una chiamata in arrivo. Comodi e funzionali, i commlock erano l’indispensabile strumento di comunicazione per il personale della base, attraverso di essi era possibile entrare in contatto audio/video con qualsiasi Sezione o membro di Alpha, aprire o chiudere le varie porte ed innumerevoli altri servizi accessori. Grandi poco più di un telefono portatile, ma molto leggeri, erano programmati per rispondere ai comandi relativi all’incarico ricoperto da ogni singolo individuo limitandone l’accesso alle sole aree di competenza: maggiore era l’importanza del ruolo, maggiore era il livello di operatività del commlock.

Tony sfilò l’apparecchio dalla cintura e lo portò davanti a sé per rendersi ben visibile al suo interlocutore: “Cosa succede Helen?” chiese osservando nel piccolo monitor incastonato nella parte superiore dello strumento l’espressione sconvolta della dottoressa Russell.

In attesa di una risposta l’istinto lo fece riflettere sull’aspetto alquanto insolito della dottoressa: aveva gli occhi arrossati e gonfi di pianto, i capelli scarmigliati ed una espressione vacua negli occhi celesti. Doveva essere accaduto qualcosa di veramente grave, solitamente la dottoressa conservava in ogni situazione un aspetto altero decisamente aristocratico oltre ad un autocontrollo veramente invidiabile.

“Helen!” la incitò con energia, ma subito l’immagine della donna fu sostituita da quella del dottor Mathias: “Signor Verdeschi, venga subito al Centro Medico, è urgente!” Non seguirono altre spiegazioni ed il logo delle comunicazioni comparve sul mini schermo a segnalare che la conversazione era terminata.

Senza porre tempo in mezzo risalì sull’ascensore e scese al livello J correndo velocemente attraverso i corridoi con la ballonzolante sacca sulle spalle e con in testa una miriade di interrogativi che avrebbero avuto presto una risposta. Signor Verdeschi, lo aveva chiamato il dottore, lo chiamavano così soltanto quando le cose si mettevano veramente male. Che diavolo stava succedendo? Perché l’allarme generale non stava suonando? pensò tra sé, mentre escogitava svariati piani per affrontare una emergenza che ancora non conosceva scorrendo mentalmente tutte le possibili opzioni dettategli dall’esperienza.

Qualunque cosa avesse pensato in quei pochi istanti che gli ci vollero per raggiungere il Centro Medico non lo avrebbe certamente preparato a ciò che lo aspettava. “Eccomi!” esclamò allarmato ed un po’ ansimante mentre entrava nel Centro Medico. “Posso sapere…”

Le parole gli morirono in gola quando vide il Comandante disteso sul lettino del reparto di terapia intensiva con una vistosissima fasciatura sul capo ed un insieme di tubicini e sonde che parevano alimentarlo.

Si avvicinò cautamente, quasi avesse paura di svegliarlo, il monitor sopra al letto diceva che era vivo a dispetto del colorito estremamente pallido ed emaciato, ma persino lui era in grado di interpretarne le letture.

Soltanto allora si accorse della dottoressa Russell seduta poco distante con una pila di fogli stampati in grembo e un aspetto ancora peggiore di quanto ricordasse di aver visto poco prima, pareva invecchiata di 10 anni.

“Co… come è successo?” le chiese prendendole la mano.

Lei sembrava non riuscire ad arrestare i singhiozzi e le lacrime le sgorgavano come fiumi in piena. Fu Mathias a rispondere con voce tremante: “Intorno alle 4 e 50 abbiamo ricevuto l’allarme dal computer medico, siamo accorsi e l’abbiamo trovato davanti alla porta del suo alloggio in un lago di sangue”, prese fiato ed un altro po’ di coraggio e proseguì: “dall’esame obiettivo risultano diverse lesioni in ogni parte del corpo, un forte trauma contusivo ed estesa ferita lacero-contusa nella regione occipitale, otorragia, marcata anisocoria, tre, forse quattro fratture costali e diverse contusioni ed escoriazioni sugli arti inferiori e superiori.”

Per Tony queste spiegazioni sembravano parole di una lingua incomprensibile, ma decise di restare ad ascoltare.

“Gli esami clinici” proseguì Mathias, “hanno evidenziato un grosso versamento ematico a livello intracranico, al momento non riusciamo a stabilire se ci sia la frattura o meno della base cranica ma l’otorragia non incoraggia ipotesi alternative”.

Vedendo l’espressione confusa di Tony si affrettò ad indicare il rivolo di sangue proveniente dall’orecchio destro. “Inoltre” aggiunse, “sembra che alcuni frammenti costali siano penetrati nel polmone sinistro provocando di fatto un pneumo-emo-torace con conseguente deficit respiratorio”.

Stanco di tutti quei paroloni ed esasperato dall’impossibilità di capirci qualcosa Tony sbottò: “Ti dispiacerebbe essere più chiaro? Non ho capito una sola parola, parla in termini comprensibili!” Nella sua voce non c’era cattiveria o animosità, ma soltanto frustrazione e Mathias lo capì. Stava per replicare quando la dottoressa Russell si intromise: “E’ grave, Tony,” sembrava aver recuperato il controllo di sé, “quello che Bob sta cercando di dirti è che le sue condizioni sono estremamente critiche, si trova in uno stato di coma, il sangue all’interno della scatola cranica non ha modo di uscire e raccogliendosi spinge sul suo cervello compromettendone il funzionamento”. Fece una piccola pausa per far sì che Tony assimilasse la realtà della situazione e proseguì: “Il problema al polmone si risolverà, ma prima di tutto dobbiamo fare in modo che la pressione sul cervello diminuisca e dobbiamo farlo in fretta, ma ci sono dei rischi!”

“Continua!” la incalzò Tony.

“Potrebbe non riprendersi mai più…” e la maschera di efficienza crollò di nuovo lasciando spazio alle lacrime.

Tony si accasciò sulla sedia cercando di riordinare i pensieri e di assorbire le notizie ricevute. John Koenig era il suo Comandante ed era in pericolo, ma lui non poteva far nulla! Si sentiva impotente ed una morsa d’acciaio gli stringeva il cuore per il dolore, ma era determinato a credere che John avrebbe vinto anche questa volta. Sapeva che Helen avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarlo,non era un segreto per nessuno sulla base che lei e John si amassero, le si avvicino e le prese la mano: “Tu lo salverai, ne sono certo” e le baciò la fronte.

Poi, come se ubbidisse ad un richiamo istintivo, si volto versò Mathias e chiese con rabbia: “Come è potuto accadere? Come si è procurato quelle lesioni?” Non sono un esperto, ma non può essersele fatte accidentalmente, l’avete trovato davanti al suo alloggio, giusto?”

Helen e Mathias si guardarono sbigottiti, non avevano avuto tempo di pensare al perché, si erano concentrati esclusivamente su John come era giusto fare ed ora erano incapaci di rispondere, tuttavia Tony non era disposto ad aspettare: “Bob, cosa può aver provocato quelle lesioni?”

Il medico giamaicano provò a pensare, ma gli sembrava tutto talmente assurdo da annebbiargli la mente. Alla fine disse titubante: “Percosse?” ma non era una affermazione, sembrava più una domanda, chi poteva aver usato violenza sul Comandante? E perché?

“Mio Dio,” sussurrò Helen, “non starai pensando…”

L’espressione di Tony passò dal dolore alla rabbia, l’italiano non era nuovo a questo sentimento ma questa volta non cercò di controllarsi, lasciò che questa lo pervadesse completamente allo scopo di relegare il dolore che provava in un angolo remoto del suo cuore per sgombrare la mente in vista del difficile compito che lo attendeva: scoprire chi aveva aggredito e ridotto in fin di vita John Koenig! “Helen, Bob” disse guardando intensamente i due medici: “Chi altro è al corrente di quanto accaduto?” La mente di Tony girava già al massimo regime analizzando i fatti.

“Soltanto io, Bob e l’infermiera Renè Green” rispose Helen.

“Dovrò certamente informare Alan, Maya e Sandra, ma nessun altro dovrà sapere nulla. Agli altri diremo che John è ricoverato al Centro Medico per un normale controllo di routine, non è poi così strano, giusto?” Helen e Bob annuirono. “Dov’è ora l’infermiera Green?”

“Ha terminato il turno alle 6, dovresti trovarla nel suo alloggio” disse Mathias.

“Richiamatela in servizio” ordinò Tony. “Avrete certamente bisogno di assistenza, quanti infermieri?” chiese ancora.

“Due basteranno” disse Helen che andava recuperando le energie. “Le sceglierò personalmente e ti riferirò, Tony, me ne occupo io!”

Le sorrise. “Conto su di voi, prima John tornerà al suo posto e meglio sarà per Alpha e per tutti noi!” Non voleva nemmeno prendere in considerazione la possibilità che il Comandante non ce la facesse.

Non era molto corretto nascondere la verità, ma certamente sarebbe stato più facile effettuare le ricerche dell’aggressore e contemporaneamente gestire la base se tutti avessero creduto che John Koenig ne era ancora saldamente al comando!

 

Capitolo 4 

Dormiva un sonno agitato, frequentemente popolato da incubi del passato che squassavano il suo corpo con brividi e spasmi di tale violenza da farla sobbalzare tra le lenzuola, quando un suono in lontananza parve calmarla. La sua fronte era madida di sudore, con un gesto automatico si asciugò il viso e cercò di scacciare dalla mente quel fastidioso cicalino sempre più intenso.

C’era qualcosa di strano in quel suono, si ripeteva ad intervalli troppo regolari per essere frutto della sua fantasia ed il suo perdurare la riportò alla realtà. Sollevandosi con uno sforzo dal letto all’interno del suo alloggio, Maya si diresse verso la colonnina di comunicazione posta al centro della stanza che sembrava essere la sorgente del segnale e rispose alla chiamata.

Maya era l’ultima discendente della razza che un tempo aveva abitato il pianeta Psycon e che ora si era estinta. Aveva incontrato gli alphani in circostanze tutt’altro che amichevoli ed era stata accolta presso la loro comunità quando il suo pianeta natale era stato distrutto dalla follia del padre. Col tempo aveva superato la diffidenza iniziale degli umani e si era perfettamente integrata nel tessuto sociale della base sino a raggiungere il grado di ufficiale scientifico.

Alta, con un fisico slanciato ed un portamento molto elegante, univa alla sua particolare grazia e bellezza una mente assai brillante ed intuitiva ed anche grazie a queste sue doti aveva subito conquistato il cuore di molti alphani, in particolare quello di Tony Verdeschi che aveva finito col nutrire per lei un sentimento molto più profondo di quanto fosse disposto ad ammettere. Anche Maya aveva un debole per lui nonostante si divertisse spesso a punzecchiarlo, ma era chiaro che ne fosse innamorata.

Era proprio il volto di Tony quello che le apparve sul monitor, ma prima che lei potesse dire qualcosa, lui ordinò perentorio: “Tra 15 minuti al Centro Medico!” interrompendo subito dopo la comunicazione.

Non era da lui un simile comportamento e certo non con lei.

Si imbronciò, ma soltanto per un momento, se Tony era stato così brusco ed evasivo c’era sicuramente un motivo e doveva essere davvero molto grave, non c’era altra spiegazione. Si affrettò quindi a sistemarsi, indossò la divisa beige con la manica rossa che le era stata assegnata e si diresse verso il Centro Medico.

Alan si trovava presso la sua consolle nella Centrale Comandi quando fu raggiunto dalla chiamata di Tony. Il capo della sicurezza lo invitava a raggiungerlo presso il Centro Medico immediatamente ed a nulla erano valsi i suoi tentativi di saperne qualcosa di più, la comunicazione era stata breve e perentoria.

Completamente assorta nella meditazione del mattino, la giovane Sandra Benes non udì nemmeno il segnale di chiamata che giungeva dal commpost del suo alloggio. Seduta dinanzi ad una immagine del Buddha praticava, come ogni giorno, il gongyo, la tecnica di meditazione buddista.

Giunta su Alpha ad appena 26 anni, nel marzo del 1999, per il suo primo turno di servizio, era riuscita a conquistare velocemente tutti i colleghi con la sua dolcezza e la sua timidezza. Di costituzione gracile, mora, con grandi ed espressivi occhi marroni, la minuta Sandra era cresciuta in giro per il mondo fino a raggiungere la Luna e la base Alpha in qualità di analista dati.

Si era convertita al buddismo assumendo il nome di Sahn alla ricerca della pace interiore dopo che il destino si era accanito, ancora una volta, sul suo giovane cuore: la morte di Paul Morrow, al quale era sentimentalmente molto legata, era stato davvero un colpo tremendo, ancora più forte di quanto non fosse stato perdere il caro amico Mike Ryan anni prima o dover rinunciare per sempre al promesso sposo Peter quando la Luna fu scaraventata negli spazi profondi. Soltanto la religione rappresentava ormai per lei un rifugio ed un valido sprone alla vita.

Quand’ebbe terminato la sua preghiera ripose il Gohonzon in un cofanetto di giada e si diresse verso il bagno. Solamente in quel momento prestò attenzione all’insistente segnale di chiamata e si affrettò a rispondere.  

Mortificataper il ritardo nella risposta, Sandra si presentò al Centro Medico in pochi istanti, il rossore sulle sue guance fece subito capire a tutti quanto fosse rammaricata per averli fatti attendere. “Perdonatemi” riuscì a bisbigliare, ma il sorriso di Maya la tranquillizzò.

“Si può sapere perché diavolo ci hai chiamati a quest’ora e perché tutto questo mistero?” chiese Carter accorgendosi tardivamente che il tono della sua voce risuonava vagamente minaccioso.

“Ora capirete” rispose Tony per nulla turbato dalla reazione veemente del Capitano.

I quattro entrarono nel reparto di ricovero e di isolamento, un locale con 3 letti separato dal resto del Centro Medico da una grande vetrata a specchio e chiuso da una doppia porta scorrevole con apertura comandata soltanto da personale autorizzato, come riportava la scritta rossa su fondo nero. I motivi per i quali la scelta era caduta su quel reparto e non sulla terapia intensiva sarebbero risultati ovvi una volta date le dovute spiegazioni.

L’attività all’interno della stanza era concentrata su un unico giaciglio mentre gli altri erano vuoti. Attorno al letto erano raccolti il dottor Russell, il dottor Mathias ed una infermiera intenti ad osservare l’impressionante insieme di strumenti che sembrava occupare l’intera parete adiacente. Fasci di tubi, cavi e sonde di ogni genere partivano dai vari apparecchi per confluire sulla figura che giaceva inerte: soluzioni per il nutrimento e l’idratazione, infusioni medicali, sonde di aspirazione nasale e gastrica, un tubo tracheale collegato ad un respiratore automatico ed elettrodi collegati ad un elettrocardiografo, ad un elaborato sistema per la rilevazione dell’attività cerebrale e a un ossimetro digitale componevano l’intricata rete di sostentamento vitale e di monitoraggio. Svariate spie luminose lampeggiavano a ritmo frenetico e i vari allarmi venivano prontamente silenziati dai 3 sanitari che non sembravano affatto essersi accorti della presenza dei nuovi arrivati.

Chi era il misterioso paziente? Come mai il Comandante Koenig non era con loro? si stavano chiedendo Maya e Sandra mentre Carter fissava Tony con espressione interrogativa condividendo la perplessità delle due donne.

“Questa mattina alle ore 4.50,” cominciò Tony, “il Comandante Koenig è stato barbaramente aggredito da uno sconosciuto di fronte al suo alloggio ed ora le sue condizioni sono molto gravi.” Aveva deciso di non perdersi in chiacchiere come era solito fare, ma di giungere immediatamente al punto per far sì che i colleghi potessero comprendere in pieno la gravità della situazione.

Sandra impallidì e scoppiò in un pianto dirotto subito sostenuta dall’abbraccio di Maya che incredula non riusciva a smettere di guardare Tony, quasi nel tentativo di cambiare il significato delle sue parole. Carter, dopo un attimo di comprensibile smarrimento, reagì avanzando verso il letto, si fece largo tra Helen e Bob e serrò i pugni sino a sbiancarsi le nocche nel realizzare che si trattava proprio di John Koenig.

Un’occhiata di Helen bastò a far capire a Tony che avevano bisogno di tranquillità per poter assistere John al meglio, quindi invitò gli altri a seguirlo nella sala accanto che al momento era deserta. Porse una sedia ad ognuno e rivolse un pallido sorriso di incoraggiamento a Sandra che tentava invano di arrestare le lacrime che le rigavano le guance. Il volto di Carter era una maschera assolutamente inespressiva, combattuto tra la rabbia unita ad un forte desiderio di vendetta nei confronti di colui che aveva osato tanto e lo sconforto provato nel vedere il Comandante in quello stato.

“John ce la farà,” iniziò Tony con piglio convinto. “Helen e Bob penseranno a lui, noi abbiamo altro di cui occuparci ed è estremamente importante che ognuno di noi sappia cosa fare!”

Già in altre occasioni Tony si era trovato a sostenere grosse responsabilità, pensò Maya ricordando l’avventura vissuta quando una misteriosa creatura governata da una nuvola nello spazio aveva invaso la base alla ricerca del loro sistema di mantenimento, ma mai come ora vedeva nei suoi occhi una profonda determinazione. Questa volta ci sarebbe stato anche Alan ad aiutarlo, oltre a lei e Sandra ed anche se non era propriamente il momento per simili pensieri, capì di amarlo anche per questo.

“Hey, sembra tu fossi già pronto a questa eventualità” disse Alan in tono sprezzante e con una forte punta di sarcasmo.

Con grande stupore di Maya, Tony non raccolse la provocazione. “Nessuno qui vuole fare il Comandante, ma converrai con me che finché John non starà meglio la vita su Alpha dovrà procedere il più tranquillamente possibile e questo ha la priorità assoluta!”

Carter non sembrava del tutto convinto e non smise di digrignare i denti all’indirizzo del compagno. “In questo modo se ne starà tranquillo anche quel bastardo che ha aggredito John!” urlò.

“Alan,Tony ha ragione” intervenne Sandra in tono conciliante. “Cosa succederebbe se la gente sapesse? Sarebbe il panico e poi il caos, tutti guarderebbero con sospetto al proprio vicino e la minima scintilla potrebbe incendiare gli animi e portare l’intera base fuori da ogni controllo”.

Questo parve convincere almeno un poco Carter e Maya aggiunse: “Credi che questo aiuterebbe John?”

Aveva colpito nel segno e Tony le fu grato per questo. Alan sorrise debolmente a Tony e disse: “scusami amico, cosa avevi in mente?”

Era una situazione che nessuno di loro si sarebbe mai augurato di dover affrontare, ma non c’era tempo per l’incertezza, era necessario agire e soprattutto agire in fretta. “La gente di Alpha saprà che John è ricoverato al Centro Medico per un normale check-up, la cosa dovrebbe risultare abbastanza plausibile”.

“Ma…” lo interruppe Maya, “se qualcuno si recasse presso il Centro Medico per un motivo qualsiasi e non vedesse il Comandante cosa penserebbe?”

“Inoltre”, aggiunse Sandra che ora sembrava più tranquilla, “lo stesso personale del Centro Medico potrebbe sollevare qualche perplessità non vedendolo”.

Avevano dannatamente ragione, pensò Tony, la sua copertura faceva acqua da tutte le parti, come poteva essere stato così sprovveduto? Bisognava escogitare qualcosa di più credibile. “Maya potrebbe trasformarsi nel Comandante, salire su un’aquila e simularne la partenza per una missione esplorativa” ipotizzò Alan. La psyconiana possedeva, infatti, il dono del metamorfismo, la stupefacente capacità di assumere le sembianze di qualunque forma di vita, animale o vegetale, della quale conoscesse la struttura molecolare. “L’aquila partirebbe con a bordo soltanto il pilota e Maya tornerebbe al suo posto, questo darebbe un po’ di tempo ad Helen e Bob per…” esitò per cercare negli occhi dei compagni un sostegno alle sue parole, “beh, ecco, questa è la mia idea”.

Sandra rimase colpita da quella titubanza del Capitano, sembrava sempre così sicuro di sé ma era chiaro che la preoccupazione per le condizioni di John aveva minato diverse certezze e non solo nell’animo del pilota.

“Potrebbe funzionare”, disse Maya. “I sensori a lungo raggio hanno individuato un planetoide, è abbastanza vicino perché sia giustificata una esplorazione” abbozzò.

“Soltanto noi ed i quattro sanitari del Centro Medico saremo a conoscenza della verità,” disse Sandra, “e non c’è motivo perché qualcuno possa dubitarne”.

Alan annuì.

“Dimentichi qualcuno,” disse Tony attirando così su di sé gli sguardi attoniti dei compagni. “L’aggressore!” Era chiaro che nessuno aveva pensato a lui, si dice che succeda di tralasciare l’ovvietà dandola per scontata.

Al solo pensiero Alan sentì il suo sangue ribollire: “Già, come pensi che reagirà?” chiese.

“Forse non sospetta di aver causato lesioni gravi al Comandante,” disse Sandra ingenuamente, “basterà che Maya…”

“No!” la interruppe brusco Tony. “Ho sentito quello che mi ha detto Mathias a proposito delle lesioni riportate da John, l’aggressore si è accanito selvaggiamente su di lui, credo proprio che l’intenzione fosse quella di ucciderlo!”

Sandra trasalì sbiancando in volto. “Ma chi, chi mai vorrebbe una cosa simile? A che scopo?” Ancora non riusciva a rendersi perfettamente conto della situazione.

Maya e Alan concordavano con l’ipotesi di Tony sebbene non trovassero alcun tipo di risposta. Ad un tratto Maya disse: “E se non ci fosse un vero e proprio movente?” La confusione traspariva chiaramente dai volti dei suoi compagni. “Ho letto nel diario della base di un certo Zoref. Anche lui uccise, ma non per sua libera volontà!”

Tutti ricordavano chiaramente quanto era accaduto anni prima: il tecnico della centrale generatori 3, Anton Zoref, era stato posseduto, se così si può dire, da una entità aliena che l’aveva trasformato in una specie di accumulatore di energia rendendolo capace di uccidere pur di procurarsela e di sopravvivere. Era stata una esperienza terrificante ed era costata la vita a Dominix e all’infermiera Preston oltre che la devastazione della centrale 3 prima che tutto si concludesse con la morte dello stesso Zoref e la partenza dell’alieno.

“In quel caso ci furono dei segnali,” ricordò Carter, “le luci, la perdita di energia dove Zoref passava, ma ora…”

“Lo spazio è pieno di misteri…” disse Tony facendo ironicamente il verso ad una vecchia canzone italiana degli anni ’70, “ma non dobbiamo escludere nulla, Maya si occuperà di analizzare lo spazio che ci circonda alla ricerca di qualsiasi cosa, mentre io ed Alan svolgeremo qualche indagine all’interno della base”. Si voltò verso Sandra e le disse gentilmente, ma con decisione: “a te spetta la parte più difficile, fare in modo che nessuno sospetti di niente, notare ogni atteggiamento che ti risulti quantomeno insolito ed aiutarci a risolvere la questione, te la senti?”

Lo sguardo di Sandra si spostò su ognuno di loro mentre si contorceva le mani tremanti. Per un istante sembrò fissare il vuoto rievocando l’immagine del Comandante disteso su quel letto al Centro Medico, quindi disse con voce decisa: “Contate su di me”.

“Allora siamo d’accordo,” sospirò Tony, “agiremo come stabilito. Alan, partenza di aquila 4 tra 50 minuti!”

 

Capitolo 5 

Mentre Alan organizzava il decollo dell’aquila 4, Tony decise di recarsi presso l’alloggio di John per esaminare il luogo dell’aggressione. Non aveva mai svolto una indagine vera e propria e non sapeva nemmeno cosa si aspettasse di trovare, ma riaffiorò un ricordo di ragazzino a proposito di serate fiorentine trascorse davanti ad un televisore ad appassionarsi ad una serie poliziesca che aveva per protagonista un detective molto abile, completamente calvo e con un immancabile lecca-lecca in bocca, che era solito ispezionare i luoghi dei delitti e così fece anche lui.

Non era necessario che entrasse nell’alloggio del Comandante, era chiaro che John non vi era entrato, altrimenti sarebbe stato al riparo da qualunque attacco dal momento che lui solo poteva accedervi; stava osservando due minuscoli schizzi di sangue sulla base della porta scorrevole, quando lo notò: un piccolo frammento di roccia dalle sfumature violacee era incastrato laddove la porta si univa alla parete. Si guardò intorno per accertarsi che nessuno lo stesse osservando e si chinò a raccogliere quanto aveva trovato. Lo osservò brevemente, poi se lo infilò furtivamente nella tasca della giacca. Poteva non significare assolutamente nulla e trovarsi lì da chissà quanto tempo, ma non poteva permettersi di tralasciare alcuna traccia.

Non c’era nient’altro che potesse essergli d’aiuto, quindi decise di dirigersi al Centro Medico per ricevere aggiornamenti sulle condizioni di John.

 

Nel hangar delle aquile, Alan Carter stava spiegando al pilota Bill Fraser quanto avrebbe dovuto sapere in merito all’imminente missione esplorativa su aquila 4. Aveva scelto il migliore dei suoi piloti anche perché conosceva la sua fama di grande giocherellone e sapeva che se gli avesse parlato di una colossale burla ai danni di qualcuno lui non avrebbe resistito ed avrebbe certamente voluto essere tra i protagonisti. Questa fu, infatti, la versione che Carter propinò al collega senza scendere troppo nei particolari; si scusò per l’uso non propriamente ortodosso che avrebbe dovuto fare di una delle astronavi, ma si inventò che si trattava del compleanno del dottor Russell e che per l’occasione il Comandante aveva acconsentito.

Come si era aspettato, Bill aveva aderito immediatamente al progetto felice di essere coinvolto in uno scherzo di tali proporzioni, ma soprattutto rassicurato dal fatto che il Capitano Carter non gli avrebbe mai fatto fare deliberatamente qualcosa di irregolare, senza dimenticare poi che il suo passeggero era il Comandante, quindi non aveva nulla da temere.

Quella parte del problema era risolta, pensò Carter mentre raggiungeva Tony al Centro Medico, avrebbe voluto essere stato in grado di escogitare una giustificazione migliore ma in così poco tempo non era riuscito a fare di meglio. Bill non era uno sprovveduto, ma sembrava tranquillo e in ogni caso, se qualcosa fosse andato storto e Fraser avesse subodorato qualcosa, ci avrebbe pensato al momento.

Trovò Tony che armeggiava con un fonendoscopio in un angolo del Centro Medico mentre attendeva di parlare con Helen. Pareva assorto nei suoi pensieri e non si accorse dell’arrivo di Alan. “Ci sono novità?” chiese il pilota sottovoce facendolo ugualmente trasalire.

“Non ho ancora parlato con Helen, ma ho trovato uno strano frammento sotto la porta dell’alloggio del Comandante. Cosa ti sembra?” disse mostrandogli quella che sembrava essere la scheggia di un qualche tipo di pietra.

“Non saprei, mi pare di aver già visto qualcosa di simile ma non riesco a ricordare dove” disse sforzandosi.

“Potrebbe anche non significare nulla,” proseguì Tony, “ma chiederò a Maya di analizzarlo quando sarà tornata dalla rampa di lancio”.

Carter rese all’italiano il frammento di roccia proprio mentre Helen usciva dal reparto d’isolamento.

Era visibilmente provata, soltanto poche ore prima era stata svegliata da quell’orribile notizia e da allora non aveva avuto nemmeno una pausa. Tony si avvicinò al distributore di caffè accanto all’ingresso e gliene porse una tazza, accennò un sorriso e chiese timidamente: “Come va?”

Helen sorseggiò il caffè lentamente per coglierne in pieno il forte aroma e ritemprarsi lo spirito prima di rispondere: “Le sue condizioni sono stazionarie, ma dovremo intervenire per ridurre l’ematoma”.

“Quante possibilità di successo…” Alan si interruppe voltandosi verso l’ingresso quasi per assicurarsi che non entrasse nessuno in quel momento.

Tony non si fece ingannare dal suo atteggiamento nemmeno per un istante e comprendendo lo stato d’animo dell’amico gli mise una mano sulla spalla e chiese alla dottoressa: “Tra quanto pensi di essere pronta all’operazione?”

“Un’ora, forse meno” fu la laconica risposta.

Seguì un lungo silenzio, poi Tony decise di informare la dottoressa di come avevano deciso di procedere.

“Non sarebbe il caso che tu ti riposassi un poco prima dell’operazione?” chiese Alan preoccupato.

Helen sorrise per rassicurarlo. “Ce la farò, vedrai,” ma in cuor suo non si sentiva così sicura. La dottoressa Russell era una donna forte e molto capace professionalmente, aveva dimostrato subito le proprie credenziali individuando il virus che aveva causato la morte di nove astronauti prima che la Luna abbandonasse l’orbita della Terra e da allora chiunque sulla base nutriva verso di lei grandissima fiducia ed ammirazione. Nonostante gli inizi fossero stati piuttosto freddi e distaccati, si era sviluppato tra lei ed il Comandante Koenig un rapporto di stima trasformatosi poi in una sorta di attrazione reciproca e successivamente di profondo affetto. Da tempo avevano smesso di nascondere le proprie emozioni l’uno per l’altra ed era divenuto chiaro a tutto il personale che tra loro c’era del tenero. Il ruolo di Comandante era tutt’altro che facile da sostenere e spesso lo portava a dover affrontare situazioni veramente pericolose, ma lei non era mai riuscita ad abituarsi e la costante preoccupazione per la sua vita la teneva perennemente in apprensione. Già vedova di un astronauta perito nella missione Astro 7, non avrebbe saputo reggere la perdita di un altro uomo che le stava così a cuore e sebbene in diverse occasioni aveva temuto di perderlo, mai come in questo momento era in ansia per la sua sopravvivenza.

 

Capitolo 6 

Tutto sembrava essere filato liscio. Maya, assumendo le sembianze del Comandante, aveva trasmesso attraverso gli altoparlanti della base il comunicato della sua imminente partenza per la missione esplorativa del pianeta che era ormai entrato nel loro raggio d’azione. Era salita a bordo dell’astronave per poi ridiscenderne proprio pochi secondi prima che la passerella telescopica si ritirasse per consentirne la partenza.

I razzi di decollo sprigionarono grosse volute di vapore sulla rampa di lancio facendo turbinare la grigia polvere lunare che la circondava, in un attimo aquila 4 si librò sulla verticale della base e puntò il muso verso il lontano pianeta. La manovra perfetta fu ripresa dalle telecamere esterne che la diffusero su ogni monitor della base così come sul grande schermo della Centrale Comandi. Soltanto quando fu a distanza di sicurezza Fraser azionò i potenti motori atomici eruttando variopinte fiammate dagli enormi ugelli posteriori: “Aquila 4 in volo verso il pianeta,” comunicò il pilota, “tutto procede regolarmente”.

“Ricevuto aquila 4”, rispose Sandra dalla sua console. “Buona fortuna”. Ruotò la sua poltroncina per osservare le reazioni del personale in servizio presso la Centrale e notò con sollievo che nessuno sembrava aver notato qualcosa di strano.

Tony occupava la scrivania all’ingresso ed ebbe anche lui la medesima impressione. Non poteva certamente rilassarsi, ma almeno questa parte del piano si era svolta agevolmente e senza intoppi. Come da accordi precedentemente presi, Tony incontrò Maya all’uscita della stazione del travel tube, la metropolitana della base, situata in prossimità dei laboratori di analisi. “Alla rampa Alan mi ha parlato di un frammento ritrovato vicino all’alloggio del Comandante, è per questo che hai voluto vedermi qui?”

Tony ammirava il suo intuito ed impazziva letteralmente per quella donna. La baciò appassionatamente sulle labbra: “Voi psyconiani siete troppo intelligenti, non vi si può nascondere nulla” disse prendendola in giro.

A pensarci bene era la prima volta quella mattina che Tony si concedeva una battuta. Era solito sostenere che la vita su Alpha, se presa troppo seriamente, avrebbe finito col farlo impazzire, quindi un pizzico di umorismo non avrebbe guastato, anche in una situazione così drammatica. Maya, dal canto suo, era troppo abituata a questi suoi atteggiamenti per risentirsene, ma decise di non giocare con lui come avrebbe fatto di solito. Avrebbe voluto rilassarsi e farsi abbracciare, ma rimase seria fingendo di non aver capito.

Entrati nel laboratorio ed accertatisi che nessuno fosse nei paraggi, si avvicinarono ad un microscopio, Tony vi introdusse lo strano frammento e Maya lo analizzò. “Si tratta di ossido di silicio, più precisamente SiO2, durezza 7, densità 2,65 g/cm3. Il Silicio è il secondo elemento più diffuso sulla Terra, la sua reazione con l’ossigeno dà luogo ad un processo di cristallizzazione ed il risultato è ciò che vedi: quarzo!”

“Quarzo?” chiese incredulo Tony.

“Più precisamente Ametista, date le sfumature di colore viola” puntualizzò Maya.

Tony era confuso. “Ma da dove accidenti salta fuori questa… come hai detto che si chiama?”

“Ametista” ripeté Maya con pazienza.

“Hai detto che il silicio è un elemento molto diffuso sulla Terra, ma qui non siamo sulla Terra, qualcuno si è portato un souvenir?”

Tony e Maya si guardarono. “Ma certo,” esclamò la ragazza, “i cristalli di quarzo venivano usati, anche sul mio pianeta, come oggetti ornamentali, quindi quel frammento potrebbe appartenere ad un soprammobile o a qualcosa di simile, che qualcuno si è portato dalla Terra!”

“Già” disse Tony con un accento che smorzò subito l’entusiasmo della bella aliena. “Come suggerisci di ispezionare tutti gli alloggi del personale alla ricerca di un soprammobile?”

Non sarebbe stato certamente uno scherzo e la cosa avrebbe certamente suscitato una ridda di polemiche senza contare, poi, che per fare una cosa del genere sarebbero stati costretti a dare spiegazioni più dettagliate e questo non era affatto possibile. Inoltre quel frammento, come già aveva pensato in precedenza, poteva anche essere finito lì per caso e in chissà quale occasione. Avevano bisogno di qualcosa di molto più concreto per poter fare delle ipotesi. Decise quindi di accantonare per il momento il frammento e di concentrarsi su chi avrebbe avuto motivo di scagliarsi sul Comandante. Chiamò Alan nell’area collaudi e si accordò di ritrovarsi presso il suo alloggio per spulciare insieme a Maya le schede del personale e i diari della base alla ricerca di un possibile sospetto o di un possibile movente.

Comandare la base Alpha per tutto quel tempo non era sempre stato rose e fiori ed in più di una occasione John aveva dovuto fronteggiare i suoi sottoposti anche in maniera piuttosto energica, facendosi a volte anche dei nemici. Irwin e Davis, insieme a Ken Johnson, avevano cercato di sparagli sul pianeta Piri perché si opponeva al volere del Grande Guardiano. Le loro menti erano sotto l’influsso di quest’ultimo, ma qualche livore poteva essere rimasto. Eva Zoref non si era mai rassegnata alla morte del marito ed aveva sempre incolpato John di non aver fatto tutto il possibile per salvarlo, così come era accaduto a Melita Kelly, fu il Comandante ad ordinare al dottor Russell di abbandonare il marito nel Centro Medico sommerso dalla schiuma emessa dal Cervello Spaziale. In entrambi i casi, però, si trattava di donne ed i colpi ricevuti da John durante l’aggressione suggerivano che gli erano stati inferti da un individuo robusto e dotato di una certa forza fisica oltre che guidato da una furia cieca. C’erano poi i colleghi di Sanderson, sollevati dall’incarico dopo il tentativo di resistenza al Comandante che era costato la vita al loro capo-sezione, Eva, Cernik e Stevens forse insieme avevano potuto…

Ma la realtà era che Tony non sapeva che pesci pigliare e brancolava tristemente nel buio.

Un altro flashback di gioventù gli riportò alla mente l’immagine televisiva di Robert Mitchum nei panni del detective Marlowe, sconsolato con la sua sigaretta penzolante da un lato della bocca ed il bicchiere di whisky in una mano. Magari avesse avuto qualcosa di così forte da bere, ne sentiva un disperato bisogno. Si accasciò sulla poltrona della scrivania del suo alloggio e chiuse gli occhi, quando il suo commlock emise il caratteristico segnale di chiamata.

“Tony, dall’analisi dello spazio circostante non risulta nulla di anormale,” lo informò Maya. “Nessuna attività di rilievo, niente che i nostri sensori riescano a captare!”

“E dal pianeta?” chiese Tony.

“Il computer di bordo di aquila 4 non riferisce alcun tipo di informazione utile, pare che il pianeta sia composto da un piccolo nucleo di materia solida circondata da uno spesso strato gassoso formato principalmente da acqua, idrocarburi, idrogeno e metano; non si registrano segni di nessuna forma di vita né sistemi di comunicazione”.

“Grazie Maya, almeno questo esclude un intervento esterno” concluse Tony. Ma non era certamente un sollievo sapere che la responsabilità per quanto accaduto ricadeva su qualcuno all’interno della base e perfettamente cosciente di quanto aveva fatto.

Alan fissò Tony per un attimo perso nelle sue riflessioni e disse: “A cosa stai pensando?”

L’italiano si riscosse e si passò una mano tra i folti capelli neri. “Sono trascorse ormai 3 ore da quando Bill è decollato con aquila 4, comincio a credere che Sandra avesse ragione a proposito dell’aggressore.”

“Pensi di farlo rientrare?” chiese Carter.

“A questo punto direi proprio di sì, dovremo adottare un’altra strategia. Si accettano suggerimenti” concluse sconsolato.

Tony non riusciva ad accettare il fatto di non essere ancora approdato a nulla. Chi era il misterioso aggressore? Perché l’artificio della missione esplorativa sul pianeta non aveva destato in lui qualche perplessità? Stava affrontando un avversario così astuto oltre che mortalmente pericoloso? Si trattava di una vendetta o di un elaborato piano per assumere il comando della base? Sentiva che sarebbe esploso se avesse continuato a rimuginare su tutte queste possibilità, quindi decise che gli ci voleva una pausa per riordinare le idee, si accordò con Sandra e con Maya di ritrovarsi a pranzo presso la mensa per fare il punto della situazione, ritemprarsi e studiare la prossima mossa.

 

Al Centro Medico tutto era pronto per l’intervento, non era possibile rimandare oltre.

Helen si sentiva stranamente calma, sapeva che sarebbe stata una operazione estremamente complessa e che avrebbe avuto bisogno di tutte le sue energie mentali per riuscire nell’impresa, quindi aveva messo da parte ogni timore e si era concentrata sull’obiettivo. Le nozioni apprese in molti anni di studio e di pratica all’università prima ed in diversi ospedali poi, avevano fatto di lei un ottimo medico al punto da permetterle di entrare nella equipe medica della Commissione Spaziale. Era necessario, per il bene di John, che lei fosse totalmente padrona di sé e delle sue capacità, non era possibile fallire.

Bob Mathias, nel frattempo, aveva preparato gli strumenti necessari e l’infermiera Green aveva ultimato la diagnostica delle apparecchiature elettroniche.

Aldilà della spessa vetrata a specchio del reparto di ricovero ed isolamento l’attività del Centro Medico si svolgeva regolarmente tra una visita di controllo ed una piccola medicazione. Il resto del personale sanitario non era a conoscenza di quanto si stesse svolgendo oltre le porte scorrevoli ad accesso limitato e nulla di particolare lo suggeriva.

Julia Matthew entrò nel locale con passo incerto, indossava una divisa con la manica gialla che ne denunciava l’appartenenza alla Sezione Scientifica. La ragazza dai lunghi capelli castani sembrava stesse cercando qualcuno quando un’infermiera la notò: “Ciao Julia, cosa ci fai al Centro Medico, qualcosa non va?”

La ragazza rimase quasi sorpresa, ma si ricompose immediatamente e sorrise all’amica: “Cercavo il dottor Russell, non è qui?”

“Al momento è impegnata nel testare alcuni strumenti medicali messi a punto dalla Sezione Tecnica, posso fare io qualcosa per te?”

“Perdonami,” si scusò, “ma ho un problema che vorrei discutere con lei” insistette Julia.

L’infermiera Hopkins sfilò il suo commlock dalla cintura e chiamò il dottor Russell ignara del fatto che si trovasse soltanto a pochi metri da lei.

“Qualcosa non va, Beth?” rispose la Russell attraverso il piccolo monitor.

“Julia Matthew vorrebbe parlare con lei, dottore, dice che si tratta di una questione urgente e personale”.

Helen non aveva certamente bisogno di un simile contrattempo, non ora che si accingeva ad iniziare un così delicato intervento. Stava per rispondere che se ne sarebbe occupata più tardi quando ricordò quanto le aveva detto Tony a proposito di mantenere una apparenza di normalità per non insospettire nessuno. Era noto a tutti, infatti, che il dottor Russell era sempre disponibile per qualunque richiesta di assistenza tanto nelle ore diurne quanto in quelle notturne e che si era sempre occupata personalmente di coloro che si erano rivolti a lei per un consiglio. Decise pertanto, anche se con riluttanza, di acconsentire.

Si sfilò il camice ed i guanti sterili che aveva appena indossato, ricompose l’uniforme perché sembrasse tutto normale, afferrò una cartelletta dalla vicina scrivania ed uscì simulando l’operazione di prendere alcuni appunti su una scheda.

L’incontro durò pochi minuti ed il problema si rivelò essere all’apparenza relativamente banale, semplici incomprensioni col marito, ma Helen sapeva che nella loro condizione bisognava prestare attenzione anche alle piccolezze: la permanenza forzata in ambiente chiuso come la base lunare Alpha e la tensione generata dalla continua lotta per sopravvivere creavano non pochi scompensi nella psicologia del comportamento umano e spesso bastavano un pizzico di attenzione e di comprensione perché questi venissero superati o ridimensionati. Tutto sommato non aveva perso troppo tempo, rientrò nel reparto di isolamento e riprese le procedure di vestizione e sterilizzazione.

 

Capitolo 7 

Ad un tavolo della mensa lontano dagli altri sedevano Tony, Maya ed Alan mentre Sandra li stava raggiungendo reggendo un vassoio con il cibo. Nessuno di loro aveva particolare appetito, ma una piccola pausa avrebbe dato loro modo di confrontare le proprie idee e rivedere insieme la strategia da seguire per gestire al meglio la situazione.

Carter addentò senza troppo entusiasmo la bistecca di carne sintetica prodotta dai laboratori della base. L’aspetto sembrava quello di una vera e propria fetta di carne, ma il sapore era tutta un’altra cosa. Dopo circa tre minuti fu Tony a rompere il silenzio: “così non verremo a capo di nulla, dobbiamo riuscire a scoprire qualcosa, non riusciremo a reggere il gioco ancora per molto”.

“Bill sta rientrando,” intervenne Carter, “quale sarà la nostra prossima mossa?”

Maya sembrava sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ripensò. Non aveva la più pallida idea su cosa fare e questo la rendeva piuttosto nervosa. La tensione sui loro volti era ben visibile e si rendevano perfettamente conto che prima o poi qualcosa sarebbe trapelato. A quel punto non ci sarebbero stati compromessi e forse sarebbe stata necessaria la forza per mantenere l’ordine. Tony scacciò quell’immagine. Doveva riuscire ad evitarlo, ma come?

 

Nella Sezione Armamenti, Ivan Petrov stava effettuando la sequenza dei controlli per l’efficienza dei sistemi difensivi prevista ad ogni inizio turno. Aveva preso il posto del collega smontante e si accingeva ad entrare in servizio per le successive 6 ore.

Era un lavoro noioso ma di vitale importanza per la base, qualora avessero subito un attacco di qualsiasi genere proveniente dallo spazio: dovevano essere sempre pronti ad armare i sistemi di difesa e a organizzare una reazione efficace. Avevano imparato a loro spese che nell’universo esistevano diverse forme di vita e che non sempre queste si erano mostrate amichevoli, quindi era indispensabile restare sempre all’erta.

La parte più impegnativa del suo turno di servizio era quasi terminata, le spie di colore verde sulla parete di fronte a lui indicavano che i sistemi erano operativi e perfettamente funzionanti, si rilassò ed assunse una posizione più confortevole sulla sua poltroncina di cuoio. Estrasse da una piccola borsa un libro che aveva ritirato dalla biblioteca della base ed iniziò a leggere. Non c’era molto altro che potesse fare, gli strumenti di rilevazione, analisi ed esplorazione dello spazio lo avrebbero certamente avvisato tempestivamente se un qualsiasi oggetto si fosse avvicinato alla Luna, tanto valeva trascorrere il tempo in maniera piacevole.

Riuscì a leggere soltanto le prime tre righe prima di stramazzare al suolo, colpito violentemente al capo.

 

In Centrale Comandi Annette Fraser sedeva presso la sua scrivania ed osservava sul monitor centrale l’aquila con a bordo il marito procedere su una rotta che lo avrebbe riportato alla base in meno di un’ora. Non si era mai abituata al fatto che come pilota dovesse effettuare missioni nello spazio, si trattava di una vera e propria tortura per lei rimanere talvolta per ore ad osservare l’astronave divenire sempre più piccola man mano che si allontanava dalla Luna, temeva sempre di non vederlo tornare, ma ora si sentiva sollevata. Il suo turno sarebbe terminato tra meno di due ore, quindi avrebbe potuto trascorrere un po’ di tempo insieme a lui. Stava già fantasticando su quanto l’attendeva che quasi non si accorse di quella piccola spia rossa che si era accesa sulla sua console: uno dei potenti cannoni laser situati nel sottosuolo lunare stava salendo in superficie per assumere la posizione di difesa.

Quasi rispondendo ad un impulso istintivo aprì la comunicazione con la Sezione Armamenti, stava per urlare qualcosa nel microfono quando vide con orrore una scarica di laser partire dal cannone e dirigersi verso l’astronave.

La salva di fuoco mancò aquila 4 di un paio di metri, del resto non era certamente facile manovrare i cannoni laser ed era necessaria una particolare perizia ed un apposito addestramento per poterlo fare efficacemente.

“Alpha,” urlò Fraser, “che diavolo succede? Mi state sparando addosso!”

Una seconda scarica partì dalla superficie lunare mentre in tutta la base risuonava il segnale di allarme. Annette, in preda allo shock che l’aveva paralizzata era riuscita almeno a premere il pulsante di emergenza.

L’abilità del pilota salvò l’astronave anche da questo secondo attacco, ma si trattava di una lotta impari. Le aquile erano state progettate principalmente come traghetti spaziali e sebbene fossero armate non erano certamente il prototipo della nave da guerra agile e maneggevole soprattutto in condizioni che richiedevano continue manovre evasive. Inoltre, il misterioso tiratore cominciava ad acquisire una certa padronanza del sistema di puntamento: un colpo andò parzialmente a segno mettendo i sistemi di comunicazione dell’astronave fuori uso ed i continui appelli di Fraser verso i compagni sulla base o il Comandante che il pilota credeva seduto nel modulo passeggeri restavano senza risposta.

I quattro seduti al tavolo della mensa scattarono in piedi appena l’allarme risuonò nel locale ed immediatamente Verdeschi impugnò il commlock per chiamare la Centrale Comandi.

“Annette, cosa succede? Perché suona l’allarme?”

“Aquila 4 è sotto attacco” riuscì a balbettare con voce rotta la ragazza.

“Astronavi dal pianeta?” chiese, ma non ricevette risposta e nonostante le sue continue chiamate il commlock rimase muto.

Entrarono in Centrale Comandi in tempo per vedere Aquila 4 che, colpita in coda, stava precipitando verso la rampa numero 2.

“Squadra di soccorso alla rampa 2” ordinò Carter nel sistema di comunicazioni. “Centro Medico, incidente di volo, prepararsi ad accogliere i feriti,” gli fece eco la voce di Maya.

Annette era svenuta e Sandra cercava di sostenerla affinché si riprendesse.

“Maya, ricerca per possibili bersagli” gridò Tony, poi aprendo la comunicazione chiamò: “Sezione Armamenti, armare batterie di superficie”.

Maya scosse la testa in segno di frustrazione: “Tony, non c’è nulla nello spazio!”

“Cosa?”

Si voltò per cercare sostegno in Alan, ma il Capitano era già corso verso la rampa 2 per sincerarsi delle condizioni del suo pilota.

Aquila 4 aveva sorvolato le strutture della base e della rampa di lancio numero 2 fortunatamente senza colpirle, per poi precipitare rovinosamente al suolo ed arrestarsi contro una fila di rocce lunari. La sezione di coda con i grandi ugelli argentati era completamente sparita ed il telaio esterno era visibilmente danneggiato; il muso a punta era semisepolto nella polvere lunare, ma sembrava intatto e ben ancorato al resto dell’astronave. Attraverso l’unico oblò visibile filtrava la luce blu d’emergenza.

“Non sarà facile raggiungere la cabina di pilotaggio” mormorò Carter mentre indossava la tuta spaziale e si accingeva a seguire la squadra di soccorso a bordo del moonbuggy. Tony aveva insistito che anche Maya andasse con lui, non bisognava dimenticare che sull’aquila avrebbe dovuto esserci anche John, quindi lei avrebbe dovuto salire a bordo dell’astronave ed assumerne le sembianze prima che qualcuno si accorgesse del trucco. Avrebbe volentieri preso lui il posto di Maya se avesse potuto, farle correre dei pericoli era l’ultima cosa che voleva, ma non c’era alternativa!

Nella Centrale Comandi, Sandra cercava inutilmente di ricevere risposta dal pilota di aquila 4, forse l’impatto aveva danneggiato i sistemi di comunicazione o forse Bill era svenuto, in ogni caso si augurava che fosse vivo. Due infermieri avevano soccorso Annette e la stavano portando presso il Centro Medico quando Tony tornò al suo posto: “come procedono le operazioni di recupero?”

Sandra premette una serie di pulsanti sulla sua console e sul grande schermo apparve la carcassa dell’aquila circondata dai tecnici che, chiusi nelle tute spaziali di colore arancione, stavano tentando di aprire le porte di accesso al modulo passeggeri. “La sicurezza ha riferito di aver trovato Petrov svenuto presso la Sezione Armamenti” disse Sandra spaventata. “Ho paura, Tony, cos’altro succederà?”

Stava tremando vistosamente e Tony non sapeva cosa dire per tranquillizzarla, non aveva la benché minima idea di chi ci fosse dietro a tutto questo, quella che doveva essere la preda si stava trasformando nel loro cacciatore. Sandra ha ragione, pensò, cosa potrà succedere ancora? Quale sarà il suo prossimo obiettivo?

Si riscosse da questi pensieri quando Alan apparve sul grande schermo mentre faceva il suo ingresso nella cabina di pilotaggio di aquila 4. Dovette usare tutta la sua forza per farsi largo tra i rottami dell’intelaiatura e dopo qualche tentativo riuscì ad aprire le porte quel tanto che bastava per permettergli l’ingresso. Tony emise un sospiro di sollievo nel vedere che Bill aveva indossato il casco. La procedura prevedeva che in fase di volo i piloti indossassero la tuta spaziale, ma il casco doveva essere utilizzato solo in casi di emergenza. Probabilmente il pilota, dopo aver reagito al primo attacco, l’aveva indossato mettendosi al riparo da possibili falle che avrebbero comportato la perdita dell’ossigeno all’interno dell’astronave e la relativa decompressione.

Maya prese immediatamente posto su un sedile del modulo passeggeri, assunse le sembianze del Comandante, si agganciò la cintura e si finse stordita.

Il pollice rivolto verso l’alto di Alan indicò a Sandra che Bill era vivo.

“L’aquila di soccorso si rechi sul luogo dell’impatto” ordinò Tony, si poteva procedere al recupero dei feriti.

 

Bill Fraser se la cavò con un gran bernoccolo in fronte e con la lussazione della spalla destra. Avrebbe dovuto restare al Centro Medico sotto osservazione per almeno 48 ore ed il dottor Spencer non aveva voluto sentire ragioni. Ad Annette non restò altro che rassegnarsi. 

Il Comandante invece, sempre impersonato da Maya, fece la sua apparizione nella Centrale Comandi dove si era raggruppato un gran numero di tecnici ed analisti. Come era prevedibile nessuno si accorse di niente e dopo un breve scambio di rapporti dalle varie sezioni, Tony lo accompagnò verso il suo alloggio, seguito da Carter e da Sandra. Lasciarono a Maya il tempo di tornare alla sua forma originale, poi Alan chiese: “Com’è potuto accadere? Un’aquila abbattuta da una nostra arma?”

“Petrov è stato aggredito mentre era in servizio alla Sezione Armamenti, qualcuno ha attivato il cannone laser ed ha fatto fuoco!” spiegò Sandra.

“Tony, che diavolo stanno facendo i tuoi uomini?” chiese violentemente Carter.

“Non dispongo di un esercito,” si difese il capo della sicurezza. “Facciamo ciò che possiamo, ho ordinato al computer di vietare l’accesso a chiunque alla Sezione Armamenti, alla Sezione Mantenimento e alla Centrale Comandi”.

“Hai mandato qualcuno al Centro Medico?” chiese Sandra.

“No, non c’è nulla lì che possa interessare al nostro aggressore, o almeno così deve continuare a credere!”

“Dannazione!” esclamò Alan battendo il pugno con violenza contro la parete, “ci sarà pure un modo per farlo uscire allo scoperto!”

“Sì, un modo ci sarebbe,” disse Maya che fino ad allora si era limitata ad ascoltare.

“Spiegati meglio,” chiese Alan incuriosito.

Per tutta risposta Maya si trasformò nuovamente nel Comandante Koenig. “Il nostro amico mi sta cercando? Beh, diamogli qualcosa da seguire”.

Carter restava sempre impressionato dalle trasformazioni della psyconiana, avrebbe giurato di trovarsi davanti a John Koenig e nemmeno la voce tradiva alcuna differenza.

“Vorresti fare da esca?” urlò Tony. “Non se parla neanche! E’ fuori questione”.

“Ma Tony,” disse Maya tornando al suo aspetto naturale, “pensaci bene, non sappiamo chi stiamo cercando e non abbiamo nessun elemento utile, nessuna traccia, per scoprirlo.” Fece una pausa, poi riprese: “L’hai detto tu stesso che non potremo reggere il gioco ancora molto a lungo”.

Non c’erano dubbi, aveva ragione, ma lui non si sentiva di metterla in pericolo ancora una volta. “Ci deve essere un altro modo!” concluse.

“Senti Tony,” disse Alan con voce calma, “tutti noi siamo affezionati a Maya e nessuno vuole metterla in pericolo, ma la questione è troppo importante per non intervenire. Maya è la nostra unica risorsa, ci penserò io a difenderla, sarò la sua ombra”.

Tony aveva la massima fiducia in Alan, ma se c’era da difendere la donna che amava avrebbe dovuto farlo lui e nessun’altro.

“Tu devi continuare a cercare, sei il più qualificato, mentre Alan e Maya attraverseranno la base come se il Comandante stesse ispezionando i vari settori,” spiegò Sandra. “E’ perfettamente plausibile, un’aquila è stata abbattuta dal fuoco proveniente da Alpha e questo la gente lo sa, non sarebbe certamente insolito se il Comandante ed il capo dei piloti conducessero un’indagine, non trovi?”

Tony dovette arrendersi, ma pretese la promessa di Alan che non sarebbe accaduto nulla a Maya anche se questo non riusciva affatto a tranquillizzarlo. Decise che Alan doveva essere armato, così come lo era lui ed anche Maya nei panni di John, nessuno sulla base avrebbe potuto procurarsi un’arma a meno di non sottrarla agli agenti di sicurezza.

Data la particolare situazione seguita all’abbattimento dell’aquila, non c’era più motivo di agire con circospezione, quindi Tony informò i suoi uomini di stare all’erta e di segnalare ogni movimento sospetto.

Continua a cercare, gli aveva detto Sandra, ma cercare cosa?

Stava tornando verso il suo alloggio per consultare ancora i fascicoli relativi al personale, quando notò uno scaffale con i ripiani di vetro proprio al centro del corridoio. Su di essi erano disposti in ordine di grandezza diversi campioni di roccia provenienti dalla terra ed utilizzati come oggetti ornamentali. Era passato per quel corridoio innumerevoli volte, ma non vi aveva mai badato, stava per oltrepassarlo anche questa volta quando la sua attenzione fu attratta da un campione in particolare, una grossa roccia scura costellata di cristalli di quarzo dalle sfumature viola. La esaminò con attenzione e notò che uno dei cristalli pareva mozzato e non mostrava la classica punta triangolare. 

Si rese subito conto di aver trovato, per puro caso, l’arma utilizzata per aggredire John Koenig.

 

Capitolo 8 

L’intervento era appena terminato e non restava altro da fare che aspettare il decorso post-operatorio per osservarne i risultati. Gli esami mostravano che la pressione intracranica era diminuita e che l’attività cerebrale sembrava stabilizzarsi su valori normali. Anche la lesione al polmone era stata trattata e tramite una sonda si stava drenando il sangue residuo.

La dottoressa Russell si sentiva stanchissima, non solo l’operazione era stata assai difficile e impegnativa, ma l’enorme tensione alla quale era stata sottoposta sino ad allora cominciava a farsi sentire. Il dottor Mathias si offrì di rimanere di guardia per permetterle di riposare qualche ora e sebbene non avesse voluto lasciare John si rendeva conto di non riuscire a reggersi in piedi dalla stanchezza.

Prima di recarsi nel suo alloggio chiamò Tony per informarlo sulle condizioni del Comandante. “Non è ancora fuori pericolo,” esordì la dottoressa per non illudere il giovane italiano, “soltanto tra qualche ora potremo verificare se ci sono stati danni permanenti e quale sia la loro entità”.

“Sono certo che John se la caverà,” rispose sicuro Tony. “Ora pensa a riposare”.

“Ho saputo di Bill Fraser,” disse Helen. “Ed mi ha detto che sta bene ma che ne avrà per qualche giorno. Cosa è successo?”

“Qualcuno dalla base ha cercato di abbattere l’aquila sulla quale viaggiava”.

Helen rimase senza parole per qualche istante, poi rispose. “Come stai procedendo?”

“A tentoni,” ammise il capo della sicurezza. “Ma vedrai che ne verrò a capo, tienimi informato sulle condizioni di John!”

Tony informò Sandra di quanto aveva appena appreso e condivise con lei la sua recente scoperta. La ragazza ebbe un’idea: “La bacheca delle rocce dove hai trovato il quarzo si trova al livello H, lo stesso dell’alloggio del Comandante. Nel medesimo settore sono ubicate la Sezione Botanica e quella di Sintesi del cibo, oltre ad alcuni laboratori scientifici”.

“Dove vuoi arrivare?” chiese Tony.

“Se noi analizzassimo la roccia che hai individuato potremmo trovare qualcosa che ci permetta di restringere ulteriormente il campo di ricerca, trovo improbabile che qualcuno possa averla prelevata preventivamente, essersela portata appresso sino al momento dell’aggressione e poi si fosse preoccupato di rimetterla al suo posto. L’aggressore doveva provenire proprio da quel settore”.

La ragazza aveva ragione, il suo ragionamento era molto semplice e logico e non faceva una piega, possibile che fosse così ovvio? “Informa di questo anche Alan e Maya, ci ritroviamo nel laboratorio analisi tra 10 minuti”.

Recatosi nel suo alloggio Tony si mise alla ricerca di tutte le schede del personale impiegato presso le sezioni che Sandra aveva elencato, le mise in una cartelletta di colore diverso, a seconda dell’area di competenza, e le portò con se. Forse il misterioso aggressore si nascondeva tra quelle persone e ciò che era sfuggito a lui poteva essere notato da uno dei suoi colleghi impegnati in questa estenuante ricerca. Si ritrovarono poco più tardi nel laboratorio analisi, Maya aveva recuperato le proprie sembianze ed attendeva davanti al microscopio mentre Alan tamburellava nervosamente con le dita sul bancone.

“Che novità ci sono?” chiese la psyconiana ansiosa di rendersi utile dopo ore di infruttuoso girovagare per la base fungendo da esca.

“Ti ho portato un regalo” scherzò Tony con un sorriso e le porse la roccia con i quarzi.

“Sembra essere la stessa varietà di quarzo del frammento trovato davanti all’alloggio del Comandante” disse Alan. Maya sorrise: “anche la mia analisi concorda, era questo che volevi sapere da me?” chiese con aria delusa.

“Non mi serviva certo il microscopio per capirlo,” disse Tony ironicamente, “quello che mi serve sapere è se c’è qualcos’altro su quel pezzo di roccia, qualcosa che non dovrebbe esserci”.

Alan non sembrava aver capito, ma Tony preferì tacere per il momento allo scopo di non influenzare in alcun modo la ricerca di Maya.

“In effetti qualcosa di strano c’è,” disse Maya alzando gli occhi dal microscopio e catturando istantaneamente l’attenzione dei tre compagni, “anzi, ce ne sono due, oltre a delle tracce di sangue e a dei residui di pelle che credo appartengano al Comandante”.

“Intendi farci rosolare ancora un poco sulla graticola o ti degnerai di informarci?” chiese Tony tra il serio e il faceto.

Maya assunse un’espressione da maestrina impertinente e cominciò: “prima di tutto dovrò isolare i campioni di materia che ho individuato e successivamente passarli al computer per una analisi completa, per il momento posso dirvi che si tratta di residui vegetali e di granelli di polvere bianca, potrò essere più precisa dopo ulteriori analisi”.

Tony e Sandra si guardarono mentre Alan, che ancora non sapeva dei loro sospetti chiese: “Questo dovrebbe suggerirci qualcosa? Perché a me non dice assolutamente niente di importante”.

“Sandra ha avuto una brillantissima intuizione” disse Tony mettendo un braccio sulle spalle della ragazza che era visibilmente arrossita. “Forse quella roba trovata sulla roccia potrà dirci da dove arriva l’aggressore”.

Maya era in piedi e stava armeggiando con il pannello di controllo di uno strumento che a Tony pareva non aver mai visto. “Sembra più semplice che distillare la birra” disse, ma la ragazza non lo degnò neppure di uno sguardo tanto era concentrata.

Dopo pochi minuti alzò la testa con un sorriso stampato sul viso e un paio di tabulati in una mano. “Ci siamo” disse trionfante avvicinandosi al gruppo. “Il primo campione, di origine vegetale, è Glicine max della famiglia delle papilionacee, meglio conosciuta col nome di soia, mentre il secondo, la polvere bianca, è di origine chimica, il computer l’ha identificata come bropina”.

“Bro... cosa?” chiese Alan.

“Bropina” spiegò Maya. “Ammetto di non saperne nulla e nel database del computer non c’è nessuna specifica in merito, credo che la dottoressa Russell potrebbe saperne qualcosa di più!”

Tony stava ancora ragionando su quanto Maya aveva scoperto quando Sandra disse: “La presenza di soia esclude il personale dei laboratori presenti in quella sezione e ci porta a concentrare la nostra attenzione su due soli reparti.” Scorse alcune pagine del raccoglitore che portava con sé e proseguì: “La Sezione Botanica, in cui viene coltivata, e la Sezione per la Sintesi del cibo dove viene raffinata”.

“Finalmente un passo avanti” esclamò Alan che sperava fosse tempo di passare all’azione.

Si divisero nuovamente i compiti, Sandra avrebbe riletto attentamente le schede del personale impiegato presso le due sezioni sulle quali si erano concentrati i loro maggiori sospetti, Carter e Maya avrebbero proseguito il loro giro di ispezione per le varie sezioni della base nella speranza che l’aggressore si tradisse alla vista del Comandante e Tony si recò al Centro Medico con un campione della polvere bianca isolata da Maya per avere maggiori informazioni.

 

“Ne ho sentito parlare,” disse il dottor Ben Vincent, “credo si tratti di un prodotto in fase di sperimentazione sulla Terra all’epoca del nostro, ehm, sfortunato distacco”. Tony aveva evitato di riferire al medico il fatto di esserne in possesso di una piccola quantità, almeno finché non fosse riuscito a saperne qualcosa di più. “Se la memoria non mi inganna, mi pare fosse il nome dato ad un farmaco ricavato, in parte, da un fungo allucinogeno dalle proprietà calmanti. Ma perché ti interessa tanto?” chiese Ben con divertita curiosità.

“Mi sono stancato della solita birra!” rispose Tony ironicamente. “Credo mi possa aiutare a sopportare i curiosi!”

Il dottor Vincent rise fragorosamente. “Sei impagabile, Tony, ad ogni buon conto,” proseguì, “qui c’è tutto quello che ti interessa sapere, la coltivazione dei funghi sarà certamente più divertente che cercare di far fermentare del luppolo sintetico” disse allontanandosi ridendo.

Il capo della sicurezza provò a leggere alcune righe del testo lasciatogli da Ben,ma per lui sarebbe stato come cercare di tradurre la misteriosa iscrizione rinvenuta su Arkadia o di interpretare i segni trovati sul pianeta Sunim. Maya era impegnata, quindi ci voleva Helen, chi meglio di lei poteva aiutarlo?

Si diresse verso il suo alloggio e pensò di avvisarla del suo arrivo.

 

“Conosco quel farmaco,” disse Helen, “in realtà è quasi completamente naturale e Bropina è soltanto un nome assegnato e non un principio attivo”.

Tony scuoteva il capo, visibilmente disorientato.

“Hai presente l’aspirina?” chiese Helen.

“Certo!” rispose Tony. “In genere me ne servono un paio la mattina dopo aver trascorso la serata a bere tre o quattro caraffe della mia birra,” aggiunse passandosi la lingua sulle labbra quasi potesse evocarne il sapore.

“Quello è soltanto un nome, in realtà si tratta di acido acetilsalicilico che ne è il principio attivo fondamentale. Per la Bropina è la stessa cosa,” spiegò Helen.

“Gli effetti, però, sono molto diversi,” azzardò Tony, “il librone qui parla di allucinogeni.”

“In effetti è così, il principio attivo, in questo caso, è la psilocibina, una sostanza contenuta in diversi funghi che possiede una struttura chimica molto simile all’acido lisergico e con effetti psicoattivi simili”.

“Vuoi dire che l’aggressore è fatto di LSD?” esclamò Tony sgranando gli occhi. “Come diavolo ci è finito su Alpha?”

“Non si tratta propriamente di LSD, ho detto che ha effetti piuttosto simili ai suoi, ma non completamente, l’acido lisergico porta spesso a comportamenti di tipo psicotico e delirante oltre che ad una degenerazione delle cellule cerebrali, mentre la Bropina produce sull’organismo effetti enteogenici, ossia sensazioni di profondo contatto con la realtà esterna e intima unite a una certa disposizione alla pace interiore, ovviamente,” spiegò la dottoressa. “Se dosato in maniera appropriata e diluito con altre sostanze nelle giuste proporzioni”.

Tony pareva già abbastanza allucinato da tutti quei paroloni senza bisogno di provare la strana polvere che aveva in mano. “Questo dove mi porta?”

“Personalmente utilizzai anni fa questo tipo di farmaco su un nostro compagno” disse Helen mentre la sua mente tornava al passato.

“Perfetto, abbiamo trovato l’aggressore!” scattò entusiasticamente Tony. “Ricordi il suo nome?”

“Certo che lo ricordo,” rispose Helen con una espressione molto triste sul viso, “ma non credo ti possa servire. Il suo nome era Dan Mateo”.

Non serviva altro a Tony per ricordare quei tragici avvenimenti, nella sua mente tutto era ancora molto vivo e presente. Il botanico Mateo inseguiva il sogno di poter instaurare una sorta di legame comunicativo con le piante allo scopo di aumentare la reciproca conoscenza ed attraverso di essa incrementare le risorse nutrizionali della base. I suoi insoliti esperimenti avevano generato in lui una specie di percezione nei confronti di una misteriosa creatura incorporea capace di nutrirsi dei suoi sentimenti più aggressivi ed arrivare ad uccidere coloro che gli si opponevano… in testa a tutti John Koenig!

Quella creatura aveva causato la morte del dottor Warren e della botanica Laura Adams, prima di poter essere identificata. Una volta compreso che solo attraverso Mateo si sarebbe potuto fermarla, Koenig aveva autorizzato Helen e Victor a procedere contro di essa. Ci erano riusciti, ma nel tentativo lo stesso Mateo era rimasto vittima della sua stessa creazione assumendone nella morte il medesimo terrificante aspetto.

“Come si collega la morte di Mateo alla Bropina?” chiese Tony emergendo dalla nebbia dei ricordi.

“Fu una mia scelta terapeutica,” rispose la dottoressa, “se fossi riuscita a calmare i suoi frequenti scatti d’ira senza sedare la sua mente forse sarei riuscita a liberare Mateo dal suo demone, purtroppo…” si interruppe per un attimo visibilmente turbata, “purtroppo non funzionò”.

“Questo ci riporta alla presenza della Bropina sulla roccia utilizzata per colpire John. Chi potrebbe averne?” incalzò Tony.

“Proprio perché si trattava di un farmaco sperimentale non ne avevo grandi quantità a disposizione. Dopo di allora cercai di riprodurne, credevo non ne esistesse più,” disse Helen con una espressione sorpresa. “Ne avevo dato alcune compresse a Mateo qualora di notte ne avesse avuto bisogno, ma dopo la sua morte non furono ritrovate, pensammo che le avesse terminate”.

La cosa non aveva senso, l’alloggio di Mateo era stato sigillato in attesa che si rivelasse utile per altri scopi e l’accesso era stato interdetto a chiunque senza l’autorizzazione del Comandante che sbloccasse il codice di sicurezza del computer. Ancora una volta si trovava in un vicolo cieco e Tony si sentiva sconfitto, perché ogni scoperta si rivelava inutile? Era disposto a qualunque cosa pur di risolvere questo rompicapo, ma la soluzione era sempre più lontana ogni volta che sembravano avvicinarcisi. La chiamata di Sandra lo riportò alla realtà. “Tony,” parlò eccitata la ragazza attraverso il commlock, “forse ho trovato qualcosa!”

“D’accordo” disse il giovane senza nutrire troppo entusiasmo. “Raggiungimi davanti all’alloggio di Mateo, ti aspetterò lì” e chiuse la comunicazione.

 

Ci vollero soltanto due minuti perché il travel tube conducesse Sandra al punto d’incontro stabilito con Tony. Lei non possedeva l’autorizzazione per sbloccare il codice di sicurezza che ne sigillava l’entrata, pertanto rimase in attesa poco distante.

“E’ meglio se entriamo,” le disse Tony cogliendola di sorpresa sopraggiungendo alle sue spalle.

Era da molto tempo che nessuno metteva piede in quell’alloggio, la temperatura era molto bassa e Tony si affrettò a regolare il termostato affinché risultasse più gradevole. “Come mai hai scelto di venire proprio qui?” chiese Sandra un po’ turbata. “Confesso che dopo quanto accadde a Dan provo una certa inquietudine”.

Tony la mise al corrente di quanto gli aveva riferito Helen, dovevano semplicemente dare una occhiata in giro per vedere se erano rimaste alcune pillole di bropina, magari sfuggite alle operazioni di sgombero. L’alloggio era stato spogliato di ogni effetto personale che fosse appartenuto al dottor Mateo, restavano solo una poltroncina di pelle bianca dallo schienale basso, un tavolino anch’esso bianco, una scrivania, un armadio a scomparti ed il letto dalla forma anatomica senza nessuna copertura. Il commpost al centro della stanza era disattivato e luci erano impostate sulla modalità notturna riconoscibile dalle tenui sfumature azzurrognole.

Ispezionarono brevemente il bagno ed un paio di piccoli mobili in quello che doveva essere stato utilizzato come salotto, ma senza trovare nulla. Tony si sedette pesantemente sul letto e ad un tratto si ricordò di Sandra. “Non mi avevi detto di aver scoperto qualcosa di interessante?” chiese.

“Beh, sei partito subito con l’idea di ispezionare l’alloggio, pensavo fosse più urgente,” rispose la ragazza visibilmente imbarazzata.

“Dal momento che l’alloggio non ha nulla da offrire, cosa ne diresti di provare a risollevare il morale di questo povero derelitto con qualche notiziola utile?” la invitò con un sorriso.

Sandra prese coraggio e cominciò. “Dalle schede del personale che mi hai consegnato, risulta che Bill Matthew è in servizio presso la Sezione Botanica dall’agosto 1999 ed ha partecipato agli stessi studi del dottor Mateo. Inoltre…” fu interrotta dal segnale di allarme generale che risuonava in tutti gli ambienti della base.

“Centrale Comandi!” urlò Tony nel suo commlock. “Cosa succede?”

“Allarme nel corridoio 3 livello J. Carter riferisce che il Comandante Koenig è stato ferito da un laser! Stavo per chiamarti, ma mi hai preceduto” si scusò Yasko.

“Tutti gli agenti della sicurezza convergano in zona, che nessuno esca da quella Sezione, blocca gli ascensori ed il travel tube, in qualunque posizione essi si trovino e non far scendere nessuno!” ordinò Tony senza esitare.

Maya era stata colpita, dannazione! pensò Tony mentre correva verso il corridoio 3.

Alan aveva visto Maya cadere sotto i colpi di una pistola laser, non era riuscito a stabilirne la provenienza ma una cosa era certa: la fluorescenza blu emessa dal raggio indicava che era impostato per uccidere. Si erano trascinati dietro un commpost ed il Capitano era riuscito faticosamente a raggiungere il pulsante di allarme mentre rispondeva al fuoco indirizzando il raggio dell’arma in tutte le direzioni. La ragazza aveva ripreso le proprie sembianze e si teneva strettamente un braccio, fortunatamente il laser l’aveva colpita soltanto di striscio e l’ustione non sembrava grave. Il misterioso aggressore non mollava la presa e continuava a sparare, deciso a portare a termine il suo intento omicida, non poteva certo sapere che non si trattava affatto del Comandante, il commpost aveva infatti coperto alla sua vista la trasformazione della psyconiana.

La pioggia di scintille che li investiva impediva a Carter di individuare la posizione del tiratore, ma non poteva rischiare di muoversi, sarebbe stato certamente abbattuto prima di trovare un nuovo riparo. E poi non avrebbe mai abbandonato Maya, già era stata ferita e questo non poteva certo perdonarselo. “Ma dove diavolo sono gli uomini della sicurezza!” gridò esasperato.

Per tutta risposta notò che il fuoco non si concentrava più su di loro, ma che l’aggressore aveva cambiato bersaglio. Irwin ed altri 3 uomini della sicurezza avevano ingaggiato una serratissima battaglia a margine del corridoio 3 per dar modo a N’dole e Rockford di soccorrerli provenendo dal corridoio parallelo, proprio alle loro spalle. L’aggressore stava ripiegando in cerca di una via di uscita, non aveva previsto che Carter riuscisse a dare l’allarme e che gli uomini della sicurezza potessero giungere così rapidamente in loro soccorso, fare fuoco contro bersagli inermi era una cosa, ma fronteggiare l’attacco di personale addestrato era ben diverso. Decise di puntare quindi verso il Centro Medico.

“Si sta spostando dalla Sezione Tecnica in direzione del Centro Medico, sono certo di averlo colpito, forse ad una mano,” comunicò Irwin attraverso il suo commlock e Tony deviò la sua corsa. “Yasko,” chiamò, “attivami ascensore per livello J, Sezione Mantenimento”. Sperava di riuscire ad intercettare l’aggressore prima che potesse arrivare al Centro Medico.

Tony impostò il selettore della sua arma perché risultasse mortale, non era il momento di farsi degli scrupoli, se l’aggressore era in preda a turbe psichiche lo stordimento avrebbe potuto non bastare, inoltre aveva tentato di uccidere Maya ed il Comandante e questo era più che sufficiente a giustificare una reazione definitiva. Ne strinse con forza l’impugnatura e la spianò davanti a sé proprio mentre si aprivano le porte dell’ascensore.

Fu un sollievo ritrovarsi nella Sezione Mantenimento senza essere colpito prima ancora di avere la possibilità di reagire, si portò cautamente alla porta di entrata cercando di captare qualsiasi suono proveniente dall’esterno ma l’eco dell’allarme impediva anche all’orecchio più sensibile di percepirne alcuno. Sempre con l’arma puntata e pronta a far fuoco premette il pulsante di apertura e si sporse in avanti per avere la visuale del corridoio.

Una scarica di laser sfiorò la punta dei suoi capelli strinandoli, istintivamente si ritrasse all’interno per poi abbassarsi. Sarebbero bastati soltanto due centimetri di più e di lui ora non sarebbe restato altro che un ammasso di carne bruciacchiata al centro del corridoio. Scacciò quel pensiero agghiacciante e si concentrò sul da farsi. Se fosse rimasto all’interno della Sezione Mantenimento l’aggressore avrebbe avuto via libera verso il Centro Medico e John sarebbe stato ancora in pericolo, non restava che una cosa da fare. Prese un lungo respiro, si abbassò come un giocatore di football americano quando si prepara a caricare l’avversario e premette il pulsante sulla parete.

Appena le porte si aprirono si lanciò in avanti mantenendosi basso e facendo una capriola, il tiratore rimase sorpreso e mirò troppo in alto e, prima che avesse il tempo di aprire nuovamente il fuoco, Tony lo colpì con una scarica che lo investì in pieno facendolo stramazzare. Il suo cuore batteva all’impazzata e pareva volergli schizzare fuori dal petto, sdraiato sul freddo pavimento del corridoio non riusciva a smettere di puntare la sua arma verso colui che aveva cercato di ucciderlo. Come avesse fatto ad uscirne illeso non lo sapeva bene nemmeno lui, ma era vivo!

Era finita. Presto tutte le domande avrebbero trovato delle risposte, pensava Tony avvicinandosi al corpo senza vita in fondo al corridoio. Anche Helen era uscita dal Centro Medico quando l’allarme aveva smesso di suonare e istintivamente era accorsa per prestare assistenza all’alphano a terra.

Carter sosteneva Maya che sopportava stoicamente il lancinante dolore provocato dalla ferita al braccio destro ciondolante lungo il fianco, era pallida e sudata, ma i suoi occhi brillavano di curiosità nell’attesa di scoprire l’identità di colui che li aveva tenuti in scacco così a lungo.

Tony si chinò accanto alla dottoressa Russell ed insieme ruotarono il corpo dell’aggressore. Non erano certamente preparati a ciò che apparve loro: il viso e il corpo dell’uomo risultava orrendamente ustionato su tutto il lato sinistro e quell’immagine raccapricciante si sarebbe stampata indelebilmente nella memoria di ognuno dei presenti.

 

Epilogo

Al Centro Medico Helen, Sandra, Tony e Alan erano raccolti intorno al letto di John Koenig. Il Comandante si era risvegliato e stava lentamente recuperando le forze.

“Cosa è accaduto?” chiese.

Alan sorrise e rispose: “Ricordami di raccontartelo, un giorno o l’altro,” rievocando la risposta che il Comandante gli diede tempo prima in occasione del loro incontro con i Dariani.

John si sforzò di sorridere, ma il dolore al costato glielo impedì.

“A giudicare dalle vostre facce assonnate ed esauste sembra che non abbiate perso l’occasione per far baldoria durante la mia assenza, non è così?” disse bonariamente il Comandante.

In effetti nessuno di loro era il ritratto della salute, gli uomini avevano la barba lunga e i capelli ispidi e le donne mostravano segni evidenti di stanchezza intorno agli occhi.

“Devi riposare, John,” disse dolcemente Helen tenendolo per mano, “sei ancora troppo debole”.

Abbassò le luci della stanza, diede un’ultima occhiata agli strumenti che ancora monitoravano le funzioni vitali del Comandante ed uscì seguita dagli altri.

Maya li attendeva nella Sezione degli archivi. Tony le andò incontro e la baciò con passione, lieto di sapere che la ferita al braccio riportata nello scontro a fuoco non le doleva più così tanto. Si sedettero attorno ad un tavolo e rimasero in silenzio per diversi minuti mentre Sandra recuperava del materiale dagli schedari computerizzati. Restava da risolvere ancora una questione, l’identità dell’aggressore e i motivi che l’avevano indotto a cercare di uccidere il Comandante.

Sandra cominciò a leggere la scheda che aveva estratto: “Bill Matthew, botanico, classe 1969, primo assistente del dottor Warren, partecipò ad un paio degli esperimenti del dottor Mateo, del quale era un acceso sostenitore, prima che questi morisse”.

“Può darsi quindi che volesse vendicarsi per la morte del suo mentore?” ipotizzò Helen.

“E’ l’unico legame sostenibile, a quanto pare” disse Tony ripensando a quanto aveva appena riportato Sandra.

“Ma allora cosa c’entra la Bropina?” chiese Carter che non era ancora intervenuto.

Tony allargò le braccia in segno di resa e fu Helen a rispondere. “Avendo fatto parte dei medesimi esperimenti potrebbe aver reagito allo stesso modo ed essersi confidato con Mateo, il quale, per aiutarlo, potrebbe avergli dato alcune di quelle pillole che io stessa gli avevo prescritto”.

Maya sembrava assorta nei suoi pensieri mentre rileggeva la scheda che riguardava Bill Matthew, quando a un tratto un brivido le corse lungo la schiena facendola impallidire. “Cosa ti succede?” chiese subito Tony preoccupato dall’insolita reazione della ragazza.

“C’è una nota aggiuntiva a fondo pagina, porta la firma del... Commissario Simmonds!”

Maya non aveva il coraggio di andare oltre, quindi Tony prese il foglio e lesse ad alta voce. “8 settembre 1999, al Comandante Anton Gorsky. Si rende noto che il botanico Bill Matthew dovrà essere sollevato dall’incarico presso la base lunare Alpha per violazione dell’articolo 578 del regolamento della Commissione Spazio. Il suo vero nome è William Mateo, fratello di Dan Mateo”.

Nessuno dei presenti riuscì ad elaborare un pensiero coerente per diversi minuti, faticavano ad assorbire una simile rivelazione, era molto probabile che nemmeno il Comandante Koenig ne fosse al corrente. L’articolo 578 vietava infatti che partecipassero alla stessa missione spaziale o allo stesso turno di servizio presso una qualsiasi installazione spaziale, individui accomunati da un legame di parentela, di qualunque grado. Le coppie che convivevano su Alpha si erano formate successivamente al distacco della Luna dall’orbita terrestre e John Koenig ne aveva avallato l’unione.

Bill Matthew aveva cambiato il suo nome per entrare a far parte del personale di Alpha e seguire le orme del fratello verso il quale nutriva da sempre un profondo affetto ed una smisurata ammirazione. Entrambi avevano mantenuto il segreto per tutto questo tempo e le vicissitudini della base avevano relegato le note informative come quella appena scoperta tra le cose di scarso interesse contribuendo a seppellire la vicenda. Per uno strano scherzo del destino o forse per quelle forze cosmiche tanto care al professor Bergman, lo stesso fenomeno aveva tormentato entrambi i fratelli uniti tanto nella vita e nella passione per la stessa scienza, quanto nella violenta e tragica morte.

Una lacrima scese lungo la guancia della dottoressa Helen Russell ripensando all’immagine di quei due visi brutalmente deturpati. Come una figura riflessa in uno specchio le due metà si erano definitivamente ricongiunte e forse soltanto ora erano veramente libere di riposare in pace.

 

Fine
Ra
cconto © 2005 di Marco Bertinelli