Nei tuoi sogni
più incontrollati

un racconto di: Ellen Lindow
tradotto da: Salvatore Carta
impaginazione e grafica: Marco Vittorini

   

 

 

 

 

La distorsione spaziale era stata una mezza benedizione. Victor Bergman aveva predetto con successo l’avvenimento con 24 ore di anticipo utilizzando lo strumento che il Comandante Koenig aveva trovato nella nave abbandonata dall’altro lato della prima distorsione spaziale. Bergman aveva formulato una teoria secondo la quale la luna stava viaggiando ad una velocità ideale per incontrare questi pericoli dello spazio, e finché la velocità della luna non fosse cambiata, avrebbero incontrato un certo numero di queste distorsioni o tunnel spaziali. Poiché alterare la velocità di un oggetto grande quanto la luna richiedeva una grossa quantità di energia, gli Alfani si erano rassegnati al fatto di dover subire danni. Il preavviso di un giorno aveva comunque permesso loro di mettere al sicuro beni e personale, ed i danni erano stati minimi.

Tuttavia, il sistema stellare in cui erano emersi aveva i suoi propri pericoli. Non c’erano pianeti di nessun tipo, mentre abbondavano asteroidi e comete. Gli Alfani avevano avuto appena il tempo di stimare i danni causati dalla distorsione spaziale, quando fu scoperta una cometa in rotta di collisione con la loro luna. L’impatto era avvenuto a diverse centinaia di miglia di distanza dalla base e le onde d’urto li avevano colpiti rapidamente. I danni erano stati di nuovo minimi, molto inferiori al previsto. Sandra Benes fu la prima a scoprire perché.

Comparve al fianco di Koenig con un disco di dati ed un sorriso sui suoi lineamenti da elfo.

“Lei ha l’aspetto di un gatto che ha mangiato un canarino,” Koenig restituì il sorriso e le prese il disco dei dati.

“Dia solo un’occhiata. Non ho molto spesso la possibilità di darle buone notizie.”

Lo scambio aveva attirato l’attenzione di tutti nella Centrale Comando. Tutti osservavano con un senso di attesa mentre Koenig leggeva il rapporto. Egli fece un largo sorriso e si appoggiò indietro sulla sua sedia. Notando gli sguardi curiosi degli altri, toccò il gomito a Sandra. “Bene, avanti, lei l’ha scoperto e lei glielo dice.”

Sandra arrossì leggermente, ma sorrise al suo comandante. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione, ma era eccitata per le notizie che aveva scoperto. “La cometa aveva una gravità specifica molto bassa, e questo ha contenuto l’energia sprigionatasi dall’impatto.”

Fece una pausa e Koenig si divertì ad osservare il pubblico. Maya afferrò il significato per prima, come previsto. Gli occhi di Annette Fraser si spalancarono e lei giunse le sue mani, quasi in preghiera, non appena afferrò chiaramente il significato.

“E…” Tony Verdeschi incitò con impazienza.

“La cometa era composta soprattutto di cristalli di ghiaccio… ghiaccio d’acqua.”

Ci fu un sospiro collettivo tra il pubblico di Sandra, poi ognuno incominciò a parlare. Koenig fece di nuovo un largo sorriso a Sandra, poi incominciò a fare i preparativi per inviare la sua migliore squadra di rilevazione ad estrarre ghiaccio.

 

L’improvviso ed imprevisto distacco della Base Lunare Alfa dalla Terra aveva avuto come conseguenza un certo numero di carenze per i 300 sopravvissuti che si aggrappavano alla vita sopra e poco sotto la superficie della luna. Avevano bisogno di metalli pesanti e di leghe particolari per mantenere in funzione le loro apparecchiature. Ma un’altra carenza cronica era l’acqua.

Tutto veniva riciclato, nulla andava perso, ma la mancanza di una grossa scorta d’acqua era l’ostacolo più grande per espandere la loro comunità. Non potevano far crescere cibo in maggior quantità o incrementare la loro popolazione per paura di danneggiare il delicato equilibrio che avevano raggiunto all’interno del loro ambiente artificiale. Si era sperato che l’acqua si potesse trovare in qualche luogo sulla luna sotto forma di filoni di ghiaccio, ma le squadre di rilevazione avevano trovato poco ghiaccio oltre a quello che era stato estratto inizialmente durante la costruzione della Base Lunare Alfa.

Koenig era contento che la squadra di Greg Sanderson si trovasse sulla base (tranne che per un attacco di malattia verde alcuni mesi prima). La squadra era il miglior gruppo di geologi disponibile, per i quali il lavoro era un mestiere ed allo stesso tempo una vocazione. Tutte le squadre di superficie dovevano ora passare un minimo di due settimane alla base tra due spedizioni successive, soprattutto per riposo e svago, con mansioni leggere nella sezione idroponica. La squadra di Sanderson si trovava alla base da otto giorni, ma Koenig sapeva di poter far sì che il suo Ufficiale Medico Capo derogasse alle regole, date le circostanze. Fece comunicare a Sanderson di incontrarlo al Centro Medico, poi prese con sé il disco di dati con le informazioni, lasciando a Sandra l’ordine di redigere un rapporto più particolareggiato a beneficio dei geologi.

Koenig aveva avuto a malapena la possibilità di spiegare la situazione alla Dottoressa Helena Russell quando Sanderson mise piede nel suo ufficio.

“Spero che tu mi abbia chiamato qui per dirmi che sono fuori dalla squadretta di lavoro nella sezione idroponica. Non puoi immaginare quanto odio innaffiare le piante.” Sanderson si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto. La sua uniforme era bagnata fradicia a causa del lavoro nell’elevata umidità dell’area serre di Alfa. “Se non ti conoscessi così bene, penserei che mi porti rancore per aver giocato quella briscola l’altra notte ed aver così fatto vincere Helena ed Eva.”

Koenig sorrise e si appoggiò all’armadio dietro la scrivania di Helena. “Non ti ho ancora perdonato per quello, ma sei veramente in debito con me ora. Ho convinto Helena a farti tornare al lavoro prima.”

“Tu scherzi!” Sanderson guardò con sospetto le due facce sorridenti. “Che cosa c’è sotto?”

Helena fece ruotare il monitor sulla scrivania in modo che Greg potesse vedere lo schermo.

“Tu stai scherzando!” ripeté Greg mentre scorreva in fretta i dati.

“Va’ là fuori e torna al lavoro, d’accordo? C’è un’Aquila alla rampa due che aspetta la tua squadra. Ho richiamato le altre due squadre e ho detto loro di presentarsi da te. Tu sei il capo.” Koenig fu contento nell’osservare lo sguardo sul volto dell’amico.

“A dopo,” disse Greg, mentre stava già uscendo. “Spero che non ti dispiaccia se prima faccio una doccia.”

“Eva e gli altri probabilmente lo apprezzeranno. Solo riporta qui l’acqua per ripianarla.”

“Ti riporterò un’intera maledetta piscina!” fu la risposta mentre Sanderson lasciava il Centro Medico.

Koenig posò la mano sulla spalla di Helena Russell e lei la coprì con la sua. “Avremo bisogno di cominciare a pensare a dove mettere tutta quell’acqua” disse lei sorridendo.

“Lascerò decidere a te, in qualità di capo dei Servizi di Sostentamento Vitale, ed all’Ingegnere Capo. Cena stasera?” domandò.

Lei rimase immobile e gli cinse la vita con le braccia. “Dopo la sessione di aerobica, intorno alle 7 e 30. OK?”

Lui fece cenno di sì col capo e le diede un rapido bacio, poi uscì per recarsi alla Centrale Comando. Helena stava già chiamando Pat Osgood quando Koenig lasciò il suo ufficio.

 

Alle sette e un quarto quella sera, dopo essersi fatte la doccia, essersi cambiate e comodamente rilassate dopo il loro allenamento, Sandra Benes ed Helena Russell entrarono nell’Area Ricreazione. Altro personale del primo turno era occupato in varie aree della stanza. Paul Morrow salutò con un cenno Sandra e lei sorrise e rispose al saluto.

“Sei pronta per la cena, Helena?” chiese Sandra all’amica.

“Dovrei incontrare John qui tra poco. Va’ avanti.”

Sandra annuì col capo ed attraversò la stanza. Helena si lasciò cadere su un divano e appoggiò la schiena, felice per la possibilità di rilassarsi un momento. Qualcuno aveva programmato lo schermo di fronte a lei con video musicali, mentre gli altoparlanti ai lati del divano suonavano a basso volume un motivo di Jimmy Buffet. Chiuse gli occhi, mentre le percussioni metalliche ed il ritmo di calypso le richiamavano alla memoria l’unica vera vacanza che lei e Lee avessero mai fatto insieme. Era stato proprio prima che Lee partisse per la sua ultima missione. Avevano preso in affitto una capanna in Giamaica. Era meravigliosamente isolata e tranquilla. Ripensò all’amaca sul portico di fronte, dove ogni pomeriggio si sdraiavano insieme abbracciati ad ascoltare la pioggia sul tetto di latta. Si ricordò anche del modo in cui Lee aveva riso quando era rientrata un pomeriggio da un giro per fare acquisti con i capelli acconciati a grani come filari di mais. Poi l’aveva aiutata pazientemente a togliere col pettine l’intricato groviglio che erano diventati il giorno successivo.

La canzone finì e ne incominciò un’altra più commovente dei Moody Blues. Rispecchiava il suo umore, mentre pensava a com’era bello poter ricordare i bei tempi con Lee senza il dolore della perdita. Sapeva che molto era dovuto all’occasione che aveva finalmente avuto di dire addio a Lee come pure alla relazione che aveva ora con John Koenig.

Un lieve tocco sulla sua mano interruppe le sue fantasticherie. Koenig era inginocchiato accanto a lei, sorridente. “Ti eri addormentata?” domandò.

“No, stavo solo pensando. Pronto per la cena?” Si alzò.

Koenig prese il suo gomito e la guidò verso la porta. “Cerchiamo di essere veloci.” Il suo tono di voce era tranquillo. “Greg mi ha appena chiamato. Ha trovato qualcosa che pensa che io dovrei vedere. Non ne ha voluto parlare molto, ma era abbastanza importante per lui da decollare e riprendere contatto con Alfa per farmelo sapere. Vuoi venire?”

“Quando partiamo?” domandò, adeguandosi rapidamente al cambiamento di programma.

“L’Aquila è quasi pronta. Possiamo mangiare un morso ed andare non appena abbiamo finito.”

 

Utilizzando le coordinate che Sanderson aveva dato loro, Koenig e Russell arrivarono al nuovo cratere sulla superficie della luna poche ore dopo. Delle rocce erano saltate fuori dal cratere, rendendo quello che prima era “mare” calmo un luogo pericoloso per atterrare. La squadra di Sanderson aveva collegato dei transponder portatili per guidarli ad un posto d’atterraggio sicuro. Koenig atterrò dolcemente e insieme alla Russell indossò la tuta per la breve camminata verso l’Aquila da rilevazione di Sanderson.

Sanderson li incontrò fuori. Sintonizzarono i comunicatori delle tute alla frequenza locale che Greg indicò loro ed ascoltarono i suoi commenti mentre lo seguivano verso un vicino gruppo di rocce che affioravano. Avanzavano su uno strato di “neve” caduta da poco e camminare era scivoloso.

“All’inizio abbiamo pensato che si trattasse solo di detriti provenienti dall’area della collisione”, stava dicendo. “Un microcratere che era stato bombardato di nuovo recentemente. Poi abbiamo notato che aveva delle strane linee. Nessun angolo di frattura naturale. È stato fatto certamente in modo che sembrasse un piccolo cratere – meno di cento metri di diametro. Ma dei frammenti causati dall’impatto della cometa hanno fatto saltare via tratti non fissati della copertura, lasciando allo scoperto un’altra struttura.”

“Aliena?” domandò Koenig.

“Così abbiamo pensato all’inizio, ma presto abbiamo cambiato idea. Vedrai.”

Come si avvicinarono a quella che somigliava ad una zona d’impatto di un piccolo cratere, videro che cosa intendeva dire Sanderson. La roccia era stata tenuta sollevata con pali per somigliare ad un cratere, ma l’impatto più recente aveva rivelato una superficie più regolare e sostanziale al di sotto. Il cemento armato era stato colpito, ma aveva resistito all’impatto. Aggirarono un cumulo di rocce trovandosi di fronte un muro scoperto con una camera di decompressione di tipo apparentemente standard. Sanderson utilizzò i controlli manuali per aprire la porta esterna ed entrò. Koenig e Russell lo seguirono notando le forme basiche terrestri, ma senza scritte d’identificazione o alternative elettroniche.

“Una volta entrati, abbiamo trovato un impianto di potenza in stand-by” rispose Sanderson alle loro inespresse domande. “Tutto era perfettamente sigillato, come se qualcuno avesse fatto pulizia e se ne fosse andato con l’intenzione di tornare.”

La porta interna si aprì non appena la pressione si compensò. Eva stava in piedi appena dentro l’ingresso, con la tuta ma senza casco né guanti. L’aria aveva un odore viziato, come se non avesse circolato per tanto tempo. Lei teneva in mano una cartellina a molla e la consegnò al Comandante Koenig non appena entrò e si tolse il casco.

“Abbiamo trovato una lista di magazzino”, spiegò Eva. “È scritta in inglese e firmata da qualcuno, ma non riconosco i moduli né il logo che è stampato sopra.”

Koenig si liberò del casco e prese la cartellina. La diede ad Helena dopo che lei si tolse casco e guanti. Gettò uno sguardo su quello che sembrava essere un piccolo, ben fornito deposito mentre Helena esaminava la lista. Era una sorprendente lista dei desideri di materiali di cui la Base Lunare Alfa aveva bisogno: attrezzi, equipaggiamenti, combustibile, lubrificanti. C’erano anche articoli personali come sapone, abbigliamento, cibo d’emergenza e scorte mediche.

Helena scosse la testa mentre guardava sopra l’elenco. Il logo in cima ad ogni pagina era sconosciuto anche a lei. Una sigla era scritta sul lato della sagoma di un uomo in piedi, all’interno di un cerchio, che gettava un’ombra verso le lettere, ma non c’era alcuna spiegazione della sigla.

“S.H.A.D.O., John hai mai sentito parlare di quell’organizzazione?”

“No. Greg, sei stato nel programma spaziale a lungo quanto me. Vuol dire qualche cosa per te?”

“Ed io sono stato sulla luna più a lungo”, scosse la testa Greg. Era stato con uno dei primi equipaggi di rilevamento quando era stato scelto un luogo per la Base Lunare Alfa. “Non l’ho mai sentita, anche se le autorità giù sulla Terra avevano creato un sacco di strani dipartimenti – ciascuno col proprio maledetto nomignolo.”

“Potrebbe essere stata una qualche organizzazione di prima della guerra? Militare forse?” suggerì Eva.

“Certamente era ben organizzata, qualunque cosa fosse,” commentò Helena. “John, dovrei essere in grado di fornirti una data sulla base di qualcuna di queste scorte di medicinali. Dovrebbero avere una data di scadenza per l’immagazzinamento che dovrebbe permetterci di dedurre quando sono stati fabbricati.”

Koenig approvò con un cenno del capo e si girò verso Greg. “Nessun alloggio?”

“L’atmosfera sembra essere idonea esclusivamente per scopi di immagazzinamento. Questo era semplicemente un deposito di scorte. Quella scrivania è il solo mobile qui, e non ha neppure una sedia.”

La scrivania indicata si trovava dove Eva aveva trovato la lista di magazzino. Era appena sopra l’altezza della vita, evidentemente destinata ad essere utilizzata per registrare provviste in arrivo. “Non c’è nemmeno un computer,” aggiunse Eva. “Solo la lista di carta.”

I tre esplorarono gli scaffali vicino alla camera di decompressione mentre aspettavano che Helena tornasse dall’area medica. Non le ci volle molto. Tornò con una piccola scatola contenente fiale di medicamenti. “Vorrei confermare con il computer, ma conosco l’etichetta su alcuni di questi. Direi che questi sono stati fabbricati circa quindici anni fa.”

“Intorno al periodo in cui Alfa è stata costruita?” Helena annuì col capo. “Questo potrebbe essere stato una specie di deposito di scorte di cui ci si è dimenticati?”

“Ho difficoltà a credere che qualcosa di così grande sia stato semplicemente dimenticato. Ma possiamo certamente fare uso di questa roba. Faremo una ricerca completa al computer su ‘S.H.A.D.O.’, ma nel frattempo riporteremo le provviste su Alfa. Greg, so che vuoi continuare le attività di estrazione. Manderò una squadra della Sezione Rifornimenti per occuparsene.”

Sanderson sorrise, ansioso di continuare con il suo lavoro. “Volevo che tu vedessi di persona.”

Koenig annuì col capo e tutti incominciarono a sigillare nuovamente le tute. “Sono contento che tu mi abbia chiamato. Helena, ci sono scorte mediche di cui abbiamo bisogno immediatamente?”

“Che vorrei prendere ora?” domandò, controllando i sigilli di Koenig mentre lui controllava due volte i suoi. Lei scosse la testa. “Ho qui alcuni campioni solo per fare dei controlli, ma il resto può attendere.”

Eva e Greg si erano controllati due volte a vicenda le tute e tutti erano pronti per andarsene. Helena sigillò i suoi campioni in una borsa medica ermetica ed i quattro Alfani in tuta si accalcarono nella camera di decompressione e lasciarono il deposito ben approvvigionato della sconosciuta organizzazione S.H.A.D.O.

 

Sia Koenig che Russell rimasero silenziosi durante il viaggio di ritorno verso Alfa. Helena aveva analizzato la lista e l’aveva riesaminata mentre Koenig pilotava. Rientrarono su Alfa molte ore dopo la mezzanotte. Koenig aveva chiamato in anticipo e dato disposizioni per incontrarsi con il Capo della Sezione Rifornimenti all’atterraggio. Helena si diresse verso il suo alloggio per dormire un po’. Chiamò il Centro Medico e lasciò una comunicazione per il Dottor Mathias, dicendo che la mattina successiva avrebbe ritardato. La porta del suo alloggio si aprì ed entrò Koenig. Si alzò dalla sua scrivania e attraversò la stanza per abbracciarlo. Lui si chinò a baciarla.

“Stanca?” domandò.

“Mmhm,” confermò, restituendo il bacio.

“Dormiamo un po’ prima che capiti qualcos’altro.” Presto entrambi, sdraiati abbracciati nel letto di Helena, dormirono serenamente.

Alcune ore più tardi lei si voltò. John si spostò ed ebbe la sensazione che lei fosse sveglia e volesse parlare. Senza aprire gli occhi sorrise e le carezzò la guancia. “Che c’è?” domandò a bassa voce, conoscendo bene l’umore di Helena.

“Con l’acqua di questa cometa e le altre provviste, pensi che potremmo prendere in esame la possibilità di… espanderci?”

Lui ridacchiò leggermente, le mordicchiò l’orecchio e fece scorrere la sua mano dalla guancia di Helena giù lungo il suo corpo verso i fianchi e la coscia. “Vuoi dire, avere piccoli Alfani?”

Lei espirò con una specie di sospiro. “Qualcosa del genere.”

“Sarebbe bello, no?” le sussurrò leggermente nell’orecchio.

Lei annuì col capo, non confidando nella propria voce per esprimere il suo desiderio. Lui si spostò di nuovo, rotolando su di lei. Le braccia di Helena gli cinsero il collo, mentre lei accoglieva il suo abbraccio. Sorrise e tirò via una ciocca di capelli biondi dai suoi occhi. Senza che lei dicesse una parola, era in grado di leggere la speranza nei suoi occhi. “Utilizza la lista di magazzino e le stime che Greg invierà, mettiti in contatto con Pat Osgood e dimostrami che abbiamo le risorse per sostenere dei bambini, e sarò più che felice di cooperare.”

“Veramente?”

“Veramente.” Lui poggiò le sue labbra su quelle di lei, rimandando ogni ulteriore discussione.

 

Due settimane più tardi, armata di dischi di dati pieni di proiezioni ed elenchi, e con l’aspetto molto più professionale di quando aveva fatto originariamente la richiesta, la Dottoressa Russell avvicinò nuovamente il Comandante. Gli predispose una riunione con Pat Osgood come Capo della Sezione Ingegneria, lei stessa come Capo dei Servizi di Sostentamento Vitale ed il Dottor Bob Mathias come esperto in Psicologia della Base. Presentò prove che gli Alfani erano pronti sia fisicamente che emotivamente per incominciare un nuovo capitolo della loro vita nello spazio profondo. Non tutte le 140 donne erano ansiose di avere bambini, ma circa un terzo delle donne erano interessate ad avere un bambino nell’immediato futuro. Koenig pose delle domande caute, ottenne delle risposte accettabili e prese un paio di giorni per riflettere sulla sua decisione. Vivere con Helena durante quel periodo fu una vera sfida, ma ci riuscì. Comunicò la sua decisione a lei ed al gruppo che aveva formato nella Centrale Comando, e gioì immensamente dello sguardo di sorpresa e felicità che si formò sul suo volto quando l’autorizzò ad iniziare a permettere che nascessero bambini.

 

Prima che passasse un mese dalla scoperta del deposito di scorte, Helena era distesa su un tavolo operatorio, col braccio sinistro disteso, allungando il collo e guardando Ben Vincent mentre rimuoveva il suo innesto di controllo delle nascite. Egli stava utilizzando un anestetico locale e se ne stava pentendo.

“Stai ferma”, avvisò.

“Non riesco a vedere”, si lamentò lei.

“Sono io che devo vedere. Questa volta sei tu il paziente.”

Lei sospirò e tornò a distendersi, guardandolo di traverso, ma non veramente irritata. Sapeva di essere un cattivo paziente. D’altronde, era troppo felice della prospettiva di avere un bambino. L’innesto era stato progettato come misura provvisoria e lei ed il marito avevano progettato di iniziare una famiglia quando lui fosse tornato dalla missione Astro 7 su Giove. Lui non era mai rientrato.

Ben aggrottò le ciglia come incominciò a rimuovere i piccoli cilindri. “C’era qualcosa di diverso in quest’impianto, Helena?”

“No”, rispose lei, confusa. “Qual è il problema?”

“Secondo la tua documentazione medica, è un innesto standard da cinque anni. Dovrebbe contenere cinque cilindri.”

“E?”

“Ce ne sono sei.”

“Strano”. Cercò di ricordarsi quando l’aveva ricevuto. Era stata una sostituzione, ed era stato inserito a Londra. Poco prima che lei e Lee andassero in vacanza in Giamaica. Non ricordò nulla di insolito nella procedura, impensierita per il proprio lavoro ed impegnata nei piani per l’attesa vacanza.

Ben poggiò i cilindri su un vassoio ed ultimò rapidamente l’operazione. “Ti spiace se li esamino?” le chiese Ben.

“No, procedi. Fammi sapere se c’è qualcosa di strano al riguardo”, proseguì distrattamente. Si stava già concentrando su altre cose. L’analisi che Ed Spencer aveva fatto sulle nuove scorte di medicinali aveva rivelato che alcuni erano scaduti, ma altri erano in buone condizioni. Anche se Alfa era in grado di sintetizzare la maggior parte delle medicine di cui avevano bisogno, un approvvigionamento addizionale era il benvenuto. Era anche impegnata nella decisione su dove immagazzinare la loro eccedenza d’acqua. Allo stato liquido occupava meno volume, ma era più facile da trasportare allo stato solido e non era necessario utilizzare energia per mantenere calda l’acqua. Non pensò più al misterioso cilindro in più.

 

Quella notte si svegliò a causa di un incubo particolarmente vivo. Stava effettuando un’autopsia. Il corpo aveva la pelle di un insolito colore verde e gli organi interni sembravano essere trapiantati. Una profonda voce impaziente le stava ponendo delle domande. Mentre rispondeva, percepiva un odore di fumo di sigaro. Si girò verso la voce. La faccia le sembrava familiare, come il musicista nel video dei Moody Blues, ma sentiva che doveva conoscerlo. Si sentiva anche frustrata per non essere in grado di rispondere alle sue domande.

Al risveglio, il sogno sembrava più un ricordo che un sogno. Si sentiva confusa e disorientata. Si tirò su a sedere, guardò tutto intorno il suo alloggio e per un momento si chiese perché non si trovava nel suo appartamento a Londra. John si mosse di fianco a lei, ma il suo primo pensiero fu per Lee, non per John. Si sdraiò vicino a lui e lui le mise un braccio intorno senza svegliarsi. Rimase sdraiata lì per un po’, pensando a quell’autopsia ed all’uomo biondo col sigaro.

Durante le successive notti i sogni ritornarono. Era sempre a Londra. Qualche volta nel suo ufficio, altre volte in un laboratorio che sembrava familiare, ma non riusciva a collocarlo del tutto. Era sicura che non fosse parte dell’ospedale dove aveva fatto pratica. Di quando in quando era con Lee. Erano quei sogni a turbarla di più. Non poteva sentire completamente quello che lui diceva, ma loro due discutevano. Era decisa a convincerlo a non fare… qualcosa, ma che cosa? Non riusciva a ricordare.

Non era che non riuscisse a ricordare il sogno quando lei si svegliava. Tutti i sogni le rimanevano ben vivi, nei minimi dettagli, compreso quello che stava indossando, o mangiando, dove si trovava, se nel suo ufficio o in qualche altro luogo; ma non sempre era in grado di identificare il luogo. In un sogno era seduta in un ufficio lussuoso che sapeva appartenere all’uomo biondo. Egli sedeva dietro una grande scrivania in una comoda sedia, col sigaro in mano. Gli stava comunicando informazioni e Lee sedeva in un’altra sedia vicino a lei. Un altro uomo, coi capelli scuri e le basette larghe, camminava nervosamente su e giù per la stanza. Lo conosceva, ma non riusciva a dargli un nome. Non poteva sentire la conversazione, e questo era un problema comune in molti dei sogni. Non poteva neppure sentire la propria parte della discussione, ma sapeva che era l’inizio di qualsiasi disaccordo lei avesse con Lee negli altri sogni.

Benché non intendesse infastidire nessuno con le sue notti agitate, una settimana di questa situazione fu notata sia da Bob Mathias che da John. Quando suonò la sveglia, lei si lamentò e si voltò, non riposata dopo una notte di sogni ininterrotti. Koenig era già sotto la doccia, non aveva mai bisogno di una sveglia, e rimase sdraiata in silenzio, sperando che la mattina non fosse ancora realmente iniziata. Quando lui entrò nella camera da letto, si sedette vicino a lei sul letto. “Per quanto tempo hai intenzione di continuare così?”

Gli occhi ancora chiusi, lei chiese “Continuare così che cosa?”

“Qualunque cosa ti agiti. La prima notte ho pensato che ti facesse semplicemente male il braccio, ma ora è migliorato. Non hai avuto una notte di sonno decente da quando ti è stato rimosso l’innesto.”

Lei si tirò su a sedere e si appoggiò contro la sua spalla. “Ho sognato tanto. Sogni molto vividi, ma non realmente incubi. Non dovrebbe avere nulla a che fare con l’innesto.”

“Forse no. Guarda, ho giocato a pallamano con Bob la notte scorsa. Ha chiesto di te, ha detto che ultimamente hai avuto i nervi a fior di pelle sul lavoro, e ha domandato se qualche cosa non andava.”

“Tu che cosa gli hai detto?”

“Gli ho detto che non ne sapevo nulla. Bob è un acuto osservatore, ed entrambi sappiamo che a te piace la tua privacy, ma se c’è qualcosa che ti agita, ti vorremmo aiutare tutti e due.”

Lei trovò conforto nel suo abbraccio e nella sua premura, rilassandosi più completamente di quanto fosse stata capace di fare da quando erano iniziati i sogni. “Sono soltanto sogni, soprattutto del tempo che ho passato a Londra – o almeno, nei sogni mi trovo a Londra. Non ricordo che nessuna di queste cose sia davvero avvenuta. Lee è presente in alcuni di essi, e sembra che se stessimo litigando su qualcosa, ma non sono in grado di definirlo esattamente.”

Osservò John, sapendo che lui non si sarebbe potuto trovare a suo agio a discutere del suo ultimo marito, ma la sua faccia esprimeva solo preoccupazione. “Non litigavamo quasi mai. Di solito eravamo troppo felici per il solo fatto di trovarci sullo stesso continente. Sembrava che lui fosse sempre via.”

Koenig annuì col capo. Aveva sperimentato la stessa situazione nel proprio matrimonio, ma gli era sempre sembrato che, quando si trovava a casa, lui e Jeanne litigassero sempre. Essere sposata ad un astronauta aggiungeva stress ad un matrimonio. Un aspetto positivo della loro situazione su Alfa era che erano insieme quasi tutti i giorni. Benché lavorassero di quando in quando in turni diversi, di solito potevano trovare alcuni minuti per mangiare insieme, o solo un’opportunità per parlare tutti i giorni. Le baciò i capelli dorati di seta, chiedendosi come avrebbe influito sulla loro relazione una vita normale sulla Terra con due carriere molto lanciate. Lei sospirò, la sua testa contro la spalla di John e con gli occhi che le si stavano di nuovo chiudendo.

“I sogni sono così reali, e li ricordo così bene.”

“Perché non ne parli con Bob questa mattina?” le accarezzò dolcemente il capo.

Lei fece cenno di sì.

 

La sua discussione con Bob Mathias non fu molto illuminante. Poiché i sogni erano iniziati quando il suo innesto di controllo delle nascite le era stato rimosso, egli ebbe la sensazione che i due fatti fossero collegati. Era dell’opinione che forse lei potesse essere riluttante ad avere bambini, o forse che si sentisse in colpa per non avere il bambino di Lee. Quella poteva essere la ragione per cui i sogni erano incentrati sulla sua relazione con Lee.

Helena non era d’accordo. Sapeva che avevano preso insieme la decisione di rimandare ad avere una famiglia. Lei aveva sostenuto Lee nella sua carriera, capito e condiviso la sua dedizione al programma spaziale. Il suo desiderio ora di avere bambini non era in alcun modo collegato alla sua relazione con Lee o alle decisioni che avevano preso. Bob le offrì delle pillole di sonnifero che lei non volle prendere e suggerì di tentare con l’ipnoterapia, se i sogni proseguivano. Ad Helena non piaceva l’ipnoterapia. Conosceva Bob Mathias da anni e si fidava di lui, ma si sentiva a disagio nel permettere che chiunque avesse accesso al suo subconscio. Lasciò l’ufficio di Mathias senza soluzioni per il suo problema.

Quella sera entrò in sala ricreazione dopo l’allenamento fisico scoprendo che qualcuno stava facendo di nuovo girare un video musicale di Jimmy Buffett. Il suono delle percussioni metalliche la fecero tornare con la memoria in Giamaica, e fu assalita da un sogno/memoria così forte che si fermò improvvisamente, non più consapevole di dove si trovasse.

 

Era sdraiata sull’amaca sotto il portico. La pioggia pomeridiana batteva un ritmo di rumore di fondo sul tetto di latta. La mano di Lee le accarezzava la coscia mentre le dava un lungo, lento bacio. Era convinta che fare l’amore fosse la cosa migliore da fare durante un temporale. Lee si chinò indietro e le sorrise.

“Questa è sicuramente una delle tue idee migliori, amore mio, e non mi dispiace cooperare, ma sei sicura di non voler aspettare finché ritorno?”

“Stai dimenticando che può darsi che io non resti affatto incinta questa volta”, rispose sorridendo. “Potremmo doverlo rifare al tuo rientro.”

“Non ci saranno discussioni da parte mia. Sono contento che tu stia iniziando ad accettare il fatto che devo partire.”

Helena aggrottò le ciglia e Lee capì troppo tardi di aver detto la cosa sbagliata.

“Mi sono rassegnata al fatto che stai partendo, ma non vuol dire mi piaccia o che io lo approvi.” Si tirò su a sedere e afferrò il suo costume da bagno, che aveva messo da parte. “Vorrei non aver mai sentito parlare della S.H.A.D.O..”

“Non lo dici seriamente.”

“Sì, invece. Sono state le mie scoperte a provare che ci doveva essere una base in questo sistema solare, perchè gli organi che gli alieni stavano utilizzando non avrebbero potuto resistere per più di una certa distanza alle accelerazioni che utilizzavano.” Lee si alzò, indossando i suoi calzoncini da bagno. “Non pensi che ne valga la pena? Hai reso possibile per noi porre termine a questo conflitto una volta per tutte. Proteggere la nostra gente, incluso quel bambino che stiamo cercando di avere.”

“Ma perché devi essere tu a farlo?”

Si mise in piedi accanto a lei e la circondò con le sue braccia. “Sono il solo operatore di S.H.A.D.O. nel programma spaziale con l’esperienza necessaria per comandare la missione. Straker non avrebbe potuto trovare abbastanza rapidamente nessun altro nel programma spaziale. Sono io a doverlo fare.”

“È pericoloso.” Lei posò la testa sul suo petto.

“Solo stare là fuori è pericoloso! Uno scontro alla base aliena può essere più pericoloso, ma è necessario.”

Lei annuì col capo, sapendo che lui aveva ragione, sapendo che non avevano scelta, ed era completamente triste.

Helena ritornò lentamente in sé. Sapeva di essere nel Centro Medico, e sapeva che qualcuno le teneva la mano. “Lee?” chiese, poi se ne pentì immediatamente, rendendosi conto che non poteva essere Lee. Sapendo che doveva essere John, sperò di non aver ferito i suoi sentimenti.

“Sono solo io, Helena.”

“Oh, John.” Gli occhi le si riempirono di lacrime. Ora capì. Si ricordava che cos’era S.H.A.D.O., sapeva perché non se ne era ricordata prima. Ora capiva i sogni, e comprese che alcune memorie che aveva erano completamente artificiali.

“Sei svenuta in sala ricreativa. Quando ti abbiamo portata nel Centro Medico, la tua attività cerebrale registrava qualcosa di simile alla fase REM del sonno. Sei rimasta in questo stato per un paio d’ore.”

Ora poteva guardare nella sua mente ed avere accesso a mesi di memorie che le erano state negate prima d’ora. La sorprese il fatto che fossero passate solo alcune ore. Ben Vincent e Bob Mathias entrarono nella stanza. Lei guardò Ben. “Hai avuto modo di analizzare quel sesto cilindro?”

“Sì. È una specie di droga psicogena. Sembra che interagisca con l’area del cervello associata alla memoria. Non sono sicuro di che cosa faccia, e non c’è nulla di simile nel computer.”

Helena annuì. “Sopprime le memorie. Combinato con l’ipnoterapia, le memorie possono essere eliminate o alterate.”

“Perché ti è stata somministrata, Helena?” domandò John.

Lei sospirò, ancora tenendo la mano di John come se fosse la sua unica ancora. “S.H.A.D.O. era un’agenzia governativa segreta il cui scopo era difendere la Terra contro attacchi alieni.” Gli altri la guardarono dubbiosi, ma lei continuò prima che potessero interromperla. “La minaccia era molto reale. La nostra forza di difesa fu operativa dal 1980 fino ai tardi anni ‘90. L’attacco alieno era responsabile di morti e sparizioni misteriose per trenta anni prima di allora. Mentre lavoravo a Londra, sono stata arruolata per fare ricerche su molti corpi alieni recuperati. Anche Lee lavorava per S.H.A.D.O. in una sezione di raccolta informazioni, mentre si trovava in missioni spaziali ordinarie. S.H.A.D.O. aveva già scoperto che gli alieni utilizzavano i loro prigionieri per ricavarne organi di ricambio. La mia ricerca indicava che gli alieni dovevano avere una base in qualche luogo vicino all’orbita di Giove. Nonostante l’ambiente liquido utilizzato per ammortizzare gli effetti dell’accelerazione, gli organi umani subivano danni se sottoposti ad accelerazioni elevate costanti. Non sarebbero sopravvissuti ad un viaggio più lungo di quello.”

“E Lee è andato su Giove.” interloquì Koenig.

“Lee è andato su Giove”, confermò Helena. “Doveva scoprire e distruggere la base, se possibile. Non volevo che andasse. Abbiamo litigato.” Lei era calma. Con la droga fuori del suo corpo, ora poteva ricordare le discussioni prima della sua partenza.“

“Ha avuto successo?” domandò Koenig.

“Non lo so.” Scosse la testa a malincuore. “Ho dato le dimissioni da S.H.A.D.O. Utilizzavano varie droghe psicogene per tenere l’organizzazione segreta. Io mi sono sottoposta volontariamente alla terapia con la droga, ma non sapevo quanto le mie memorie fossero state alterate. La droga utilizzata più comunemente mi causò una reazione allergica. La droga ad azione lenta del cilindro fu inserita sotto le sembianze di essere parte di un comune innesto di controllo delle nascite. L’innesto mi fu inserito molti mesi dopo la partenza della sonda Astro 7. Ora che la droga è fuori dal mio corpo, le memorie soppresse ed alterate mi sono accessibili.” Tremò, ricordando il suo desiderio di avere un bambino, sia allora che ora. Tutte le sue memorie erano accessibili ora, senza schiacciarla, erano semplicemente disponibili.

“Che cosa sarebbe accaduto quando l’innesto ti sarebbe stato rimosso?” domandò John.

“Sulla Terra, suppongo che avrei fatto rimuovere o sostituire l’innesto dal mio solito medico. Sarebbe stata una cosa semplice accertarsi che il sesto cilindro fosse stato lasciato in posizione. Il fatto che la luna lasciasse l’orbita non era un’eventualità su cui loro pianificassero,” sorrise con tristezza.

“Suppongo che sia vero,” concordò Mathias. “Ti senti a posto ora, Helena? Fisicamente stai bene e con la droga completamente fuori dal tuo corpo sembra che tu stia integrando le tue memorie senza problemi.”

Helena fu contenta che questo fosse il suo aspetto esterno. Sapeva che ci sarebbe voluto un po’ per adattarsi agli eventi che ora poteva ricordare. Ansiosa di evitare il bisogno di condividere le sue esperienze o che Bob raccomandasse di nuovo l’ipnoterapia, fece cenno di sì col capo.

Bob sorrise, “Mangia qualcosa e riposati un poco. Ti conosco abbastanza bene per sapere che non ti prenderai il giorno libero, ma non ti voglio qui dentro prima di mezzogiorno.”

Lei si alzò, tenendo ancora la mano di Koenig, accennando col capo che accettava le condizioni di Bob. Lasciarono il Centro Medico e si diressero verso il loro alloggio. Nessuno dei due parlò, ma Koenig la conosceva bene, ed era certo che la sua calma mascherava una grande agitazione emotiva. Scegliendo un argomento più neutrale, le chiese “E quanto alla base di approvvigionamenti?”

“S.H.A.D.O. aveva la propria base militare, separata da Alfa. Un magazzino di scorte separato sarebbe stata una precauzione assennata.”

“Ma dov’era la base?”

Lei scosse la testa. “Non lo so. Dovrebbe essere stata ben nascosta.” Fece una pausa, poi continuò. “Se Lee avesse avuto successo, la base sarebbe stata abbandonata.”

Lui sospirò, “Se non lo fosse stata, potrebbero essere sopravvissuti dalla separazione? Avrebbero cercato di contattarci?”

Entrarono nel loro alloggio. Helena rispose: “Non lo so. Se ci fosse stato qualcuno alla loro base, penso che avrebbero cercato almeno di utilizzare le loro provviste nascoste.”

Koenig annuì col capo e l’abbracciò. “Vado a procurarci dei panini?”

Lei si appoggiò a lui, non volendo veramente lasciarlo andare, e non particolarmente affamata; ma avendo bisogno di un po’ di tempo da passare sola ed apprezzando la sua offerta disse: “Sembra una buona idea.”

Si liberò dal suo abbraccio e la baciò sulla guancia, poi se ne andò rapidamente. Lei si sedette sul divano, raggomitolandosi con le braccia attorno alle gambe e con il capo poggiato sulle ginocchia. Pensava che si sarebbe messa a piangere, ma scoprì di non avere lacrime. Le memorie l’avevano assalita così vividamente, era come perdere Lee di nuovo, con in più la colpa che la sua ricerca l’aveva mandato alla morte. Chiuse gli occhi e sospirò. No, la morte di Lee non era stata colpa sua. Lui aveva scelto la propria strada, come lei aveva scelto la sua. Almeno ora lei conosceva le scelte che aveva fatto. E sapeva che l’amore di John per lei avrebbe fornito un ulteriore sostegno che all’epoca non aveva avuto. Il giorno dopo, si sarebbe assicurata che Ben distruggesse la sua analisi di quella droga. Non voleva alcuna parte nell’avere la capacità di alterare le memorie della gente. Quel pensiero la rilassò e si alzò, dirigendosi verso la doccia.

Koenig ritornò trovandola distesa sul divano, profondamente addormentata, mentre la musica dei Moody Blues suonava sommessamente.

 

"...when the music plays,
And when the words are
Touched with sorrow
And when the music plays,
I hear the sound
I had to follow
Once upon a time.

Once upon a time
Once when you were mine
I remember skies
Mirrored in your eyes
I wonder where you are
I wonder if you
Think about me
Once upon a time

In your wildest dreams."

"…quando la musica suona,
E quando le parole sono
Intrise di dolore
E quando la musica suona,
Sento il suono
Che dovetti seguire
Una volta.

Una volta
Una volta quando tu eri mia
Ricordo cieli
Rispecchiati nei tuoi occhi
Mi chiedo dove sei
Mi chiedo se tu
Pensi a me
Una volta
Nei tuoi sogni più incontrollati."


"In Your Wildest Dreams", di Justin Hayward, copyright 1986,
dall’album “The Other Side of Life” dei Moody Blues

Fine
Racconto © 1998 di Ellen Lindow. Tradotto e pubblicato con il consenso dell'autrice.

Collegamenti
Space: 1999 Fiction Archive (lingua inglese):
http://www.space1999.net/f-archive/
In Your Wildest Dreams (versione originale inglese):
http://www.space1999.net/~fanfiction/dream.html
Pagina fanfiction del sito di Ellen Lindow (lingua inglese):
http://www.space1999.net/~fanfiction/ffauthor.html
File midi tratto dalla collezione in "The Grafix Gallery"

Spiacente, il tuo browser non è dotato del plug-in necessario per ascoltare la sigla di Spazio 1999 in sottofondo mentre navighi questa sezione!