Non ti crederanno. Non ti crederanno mai. Hai fallito, questo solo
importerà loro. Hai fallito la tua missione. La missione più importante del
genere umano. Persa la nave, perso l'equipaggio... e ti porti indietro una
storia assurda. Io per primo, io per primo non potrei crederci, ascoltandola.
Chi può credere ad una cosa del genere? Le prove... nessuna prova. La prova era
nei miei occhi. E non mi hanno creduto. Tu sei vivo, sei stato un eroe poiché
sei sopravvissuto al ritorno, un fatto eccezionale ed incredibile già di per
sé. Ma hai raccontato quella storia. A tutto il mondo. Hai posto fine al
programma di esplorazione spaziale esterna. Fallimento. Disastro. La quarta e
più importante missione spaziale con equipaggio, dispersa come le altre tre.
Hai chiuso, e non solo tu. Sei solo. Dovevi mentire! Dovevi assumerti la colpa
della catastrofe! Ammettere che si era trattato di un tuo errore...
decompressione improvvisa durante l'attracco, equipaggio ucciso. Avresti pagato
solo tu e il programma spaziale non sarebbe stato cancellato. No. No, non potevo
farlo, perché lui è vero, esiste, non è un parto della mia mente
malata... ed è ancora là. Dietro al pianeta. Nella Sonda Ultra. È là e
aspetta... in qualche modo io tornerò e lo affronterò. Lo affronterò!
Cominciava sempre così.
Sempre, puntuale ogni notte. Come un film tridimensionale, di cui lui era
protagonista. Un film da cui era impossibile sfuggire, andava visto e vissuto
fino alla fine. Invidiava i primi astronauti degli anni Sessanta: specialisti di
volo, piloti eccezionali privi di fantasia, refrattari a tutto ciò che li
allontanasse dal mero dato tecnico. Ma lui era diverso: grande atleta
amatoriale, poeta, il migliore astronauta della sua generazione e degli anni
Novanta. Aveva fantasia ed ora questo costituiva un grave problema. Ma ormai
tutto era finito. Restava solo quell'incubo ripetitivo, onnipresente.
Quell'incubo che lo attanagliava violentemente una volta chiusi gli occhi ma che
per uno strano caso non lo debilitava o indeboliva o atterriva... Stranamente,
gli dava più forza, lo corazzava interiormente. Non era un incubo da cui
volersi allontanare in fuga: al contrario, voleva andargli incontro, affrontarlo
una volta per tutte e porvi fine. Per quanto irrazionale e folle potesse essere
un pensiero del genere (ma tutta la sua storia era irrazionale e folle), egli
credeva che presto, un giorno, gli sarebbe stata resa giustizia. Avrebbe
finalmente provato la verità delle sue parole, anche se ora l'intera faccenda
sembrava essere caduta nel dimenticatoio, avrebbe rivisto quell'orrore davanti a
sé, lo avrebbe combattuto per la seconda volta. Lo avrebbe vinto, distrutto...
o sarebbe morto nel tentativo.
Lo affronterò. Lo distruggerò. Hai annientato la mia vita. Hai ucciso i miei
compagni. Ed ora sei dentro di me, nella mia mente. Ti conoscevo, oh sì, ti conoscevo sin
da ragazzo, quando lessi quel racconto di Lovecraft che mi impressionò e quell'immagine
terrificante mi rimase scolpita nella mente: "Yog-Sothoth, l'occhio
ardente dai molti bulbi". Sei tu. E ti trovi laggiù, oltre Plutone,
proprio come disse lo scrittore di Providence...
L'occhio ardente dai molti bulbi.
L'occhio ardente...
La prima immagine era una sfera blu cobalto, con grandi macchie rosse. Il pianeta,
Ultra, perso nell'infinito vuoto oltre il Sistema Solare, quel pianeta impossibile
scoperto dal grande scienziato Victor Bergman nel 1994, quel pianeta che aveva fornito
dati inammissibili sulla sua natura. Un evento eccezionale, un mondo che sbucava
all'improvviso ai confini esterni dell'universo locale, come sputato fuori da un'altra
dimensione, da un altro continuum spaziotempo, strappato da chissà quale lontano
reame fantastico ed inconoscibile.
Poi all'improvviso la sfera cambiava colore e si rimpiccioliva, si duplicava in due occhi
dolci e scuri e lui vedeva il viso della donna, sorridente, sentiva il calore della sua
presenza, ricordava la profondità del sentimento nato in quegli otto mesi di viaggio
spaziale.
Monique,
cherie... eri bellissima, quella volta che ti vidi
assorta ed in silenzio guardare dall'oblò di sinistra della nave, presso la tua
cuccetta, illuminata di una morbida luce azzurra. Che strano effetto, le stelle
all'esterno che si riflettevano nei tuoi occhi castani. Per i primi tempi del
viaggio non avevo che un solo pensiero: portare la Sonda Ultra laggiù,
conquistare quel pianeta. Poi, gradualmente, ho sentito nascere qualcosa,
qualcos'altro. Ricordo anche il momento, quando sei venuta in cabina portandomi
per la prima volta il caffè... con la mezza zolletta di zucchero! Mi avevi
visto prepararlo qualche tempo prima... Ero riluttante a lasciare la cabina di
pilotaggio a Darwin, allo scoccare del suo turno, ma quando ho saputo che mi
aspettavi, in fondo al modulo, e che avevi piacere a parlare assieme, mi
scoprivo a guardare l'orologio incastrato tra gli strumenti con più impazienza,
in attesa del cambio. Monique... avevi promesso di portarmi in quel locale
francese che ti piaceva tanto, al nostro ritorno. Ma tu non sei tornata...
Ancor più repentinamente, lo sguardo intenso della dottoressa Monique
Bouchere mutava in un'altra sequenza di immagini. Il castano scuro dei suoi
occhi impallidiva, fondendosi in un'unica grande pupilla luminosa, accecante,
bianca. Sentiva allora quello spaventoso urlo elettronico, avvertiva la furiosa
raffica di vento maleodorante, il bruciore sulla pelle di sostanze catramose,
semiliquide... aveva l'orribile ma veloce visione del cadavere di Monique
Bouchere, ridotta ad una forma scarnificata ricoperta di melma nerastra che le
penetrava in bocca, nelle cavità in cui un tempo avevano brillato i suoi occhi
sereni, mentre scivolava accanto a due altre forme simili sul pavimento del
modulo lordo di sozzura fumante...e poi vedeva i tentacoli mulinare tutt'intorno
al ciclopico occhio luminoso e urlante.
L'occhio ardente dai molti bulbi!
Quando non si svegliava gridando (ma non di paura, piuttosto di rabbia, d'ira
impotente dovuta alla frustrazione di non potere affrontare quell'orrore),
coperto di sudore e tremante, le immagini del sogno che presto si sarebbe
tramutato in un incubo lo riportavano più indietro, prima di quel 6 giugno
1996, data della partenza della Sonda Ultra, al momento cruciale ed in un certo
modo anche infantile della scelta definitiva del comandante della missione. E
rivedeva il viso dell'unica persona che era stata disposta a credere, nei limiti
del possibile, alla sua terrificante avventura. Il suo più caro amico,
un'astronauta forse addirittura più preparato di egli stesso, il cui nome
gareggiava col suo nel mietere successi nella storia dell'astronautica: John
Koenig, destinato, per volere della Dea Fortuna, a perdere il posto di
comandante della Sonda Ultra e a restare a capo del Controllo Missione sulla
Base Lunare Alpha.
Ricordava bene quel giorno: lui e Koenig si trovavano
nell'alloggio del professor Victor Bergman, su Alpha, allora comandata
dall'austero Anton Gorski, ex vice-Commissario della World Space Commission
ed ex braccio destro della più alta autorità della medesima, l'Alto
Commissario Dixon. Era la prima volta che i due astronauti vedevano di persona
il celebre scienziato scopritore del pianeta Ultra (ma universalmente noto per
meriti non meno importanti, in più campi del sapere), rimanendo favorevolmente
colpiti dalla sua personalità affascinante, dall'intelligenza acuta e sempre
pronta a nuove sollecitazioni, da quell'aspetto bonario e in un certo senso
quasi paterno, molto distante dalla tipica figura di scienziato freddo e
razionale sopra ogni cosa. Discutere col professor Bergman era un'esperienza
unica, in cui accanto all'immediata risoluzione di questioni o domande poste
veniva solleticato e stimolato tutto un ulteriore meccanismo di interrogativi,
intrigante nel suo evolversi. Bergman parlò di come avesse scoperto Ultra,
apparso all'improvviso nello spazio oltre-plutoniano, mentre in realtà egli era
alla ricerca del vero decimo pianeta del Sistema Solare, da lui sempre
sospettato e indagato. Ultra era comparso all'improvviso, come attraverso un
gorgo, una deformazione spaziale, e probabilmente non sarebbe entrato nel gioco
di forze gravitazionali attorno al Sole, scivolando presto nel vuoto cosmico. I
primi dati rilevati erano pressoché pazzeschi: esistenza di una probabile
atmosfera, cosa impossibile data la lontananza dal sole (da qualsiasi sole!),
fattore che avrebbe causato il congelamento della medesima sulla superficie
stessa del mondo, rilievi di gravità pari all'82% di quella terrestre e
temperature straordinariamente miti (cosa che aveva subito posto in questione
l'esistenza di un'atmosfera), un indice albedico straordinariamente luminoso
nonostante la distanza dal Sole, quasi fosse dovuto a cause artificiali...
Ma il vero motivo della presenza sua e di John Koenig su Alpha era un altro.
Decidere finalmente chi avrebbe comandato la Sonda Ultra, poiché ancora non era
stato possibile (e forse non lo sarebbe stato mai) decretare chi fosse il
migliore astronauta dei due. Bergman rivelò che neppure Gorski e Dixon erano
stati in grado di valutare la cosa e che entrambi speravano che fossero proprio
loro due a mettersi d'accordo e compiere la scelta. In quell'attimo di imbarazzo
generale, John Koenig propose il classico lancio della monetina, sostituita in
quel caso da un piatto e quadrato circuito stampato a due colori abbandonato sul
tavolo da lavoro di Bergman.
"Va bene, Tony. Faremo così. Testa o croce, d'accordo? Il vincitore si
prende la nave, il perdente avverte Gorski. Nero o giallo?"
"Nero".
Koenig lanciò il circuito, lo afferrò e lo rovesciò sul palmo della mano.
Attese un istante: il braccio dalla manica arancione che su Alpha indicava
l'appartenenza al corpo astronauti tremò lievemente. Poi scoprì l'improvvisata
moneta: nero.
"Bene! Gli déi sanno chi tra noi è il migliore astronauta!", aveva
esclamato il vincitore, sorridendo.
"E infatti hanno deciso per me, visto che il cervello migliore deve stare
qui su Alpha. Ma avrei davvero voluto andare..." Koenig faceva palesemente
uno sforzo per nascondere il rammarico.
"Dunque, la prendete così com'è?", chiese Bergman, esitante.
"Sì", soffiò Koenig, gettando con una smorfia il circuito,
"Resto io".
Anthony "Tony" Cellini sarebbe stato il comandante della Missione
Ultra e di lì a tre giorni avrebbe preso posto sulla gigantesca astronave,
ancorata alla Stazione Orbitale Centauri.
Ultra, il pianeta più lontano, prenderne possesso e scoprire il suo
segreto...
Una nave straordinaria, un viaggio senza inconvenienti...
Monique...
Il contatto, il cimitero di navi stellari oltre il pianeta...
L'occhio ardente dai molti bulbi...
Il Drago.
Il Nemico.
L'equipaggio della Sonda Ultra era formato da quattro
elementi. Il comandante capitano Tony Cellini, l'astrofisico di bordo e secondo
pilota dottor Darwin King, l'esperta di radiazioni dottoressa Juliet Mackie, la
responsabile medica e psicologa dottoressa Monique Bouchere. Avevano salutato i
numerosi Alphani, radunatisi nel corridoio antecedente la rampa di lancio, prima
di imbarcarsi sull'Aquila che li avrebbe portati da Alpha a Centauri, dove erano
attesi dal Commissario Dixon per il saluto ufficiale. Koenig e Bergman erano
visibilmente commossi.
"John, senza rancore", aveva detto, commosso a sua volta, il capitano
della Sonda all'amico e collega che restava, stringendogli calorosamente la
mano.
"Non ti avrei lasciato andare, se non fossi stato più che sicuro che
saresti stata la persona giusta".
"Non sarei andato, se non avessi saputo di contare su di te qui, al
Controllo Missione".
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Alle ore 12.00 del 6 giugno 1996 la gigantesca Sonda
Ultra, precedentemente denominata Astro 9 secondo l'ufficiale nomenclatura delle
spedizioni verso i pianeti esterni, si staccò dall'ormeggio della Stazione
Centauri per il suo viaggio di otto mesi alla volta del pianeta Ultra. La fase
di accelerazione sarebbe durata tre ore circa, portando la nave a circa tre
milioni e mezzo di chilometri dalla Stazione e alla velocità massima di 325
chilometri al secondo, poi il motore Nerva sarebbe entrato in azione
scagliando la Sonda nello spazio profondo. Il rientro era previsto per il 20
novembre 1997.
Fu un appuntamento mancato.
Otto mesi di navigazione, senza incontrare nessuna
difficoltà, eccetto forse la noia. Ma l'equipaggio era stato scelto bene e non fu
difficile affiatarci sempre più. Darwin era un'inesauribile fonte di barzellette e le due
ragazze erano, ciascuna a modo suo, squisite. Juliet era più dinamica e meno facile agli
entusiasmi, Monique di contro era dolcissima e sognatrice. Era stata lei a diffondere
all'interno della Sonda Ultra le struggenti note dell'Adagio per archi e
organo in G Minore di Albinoni, quella che fu la colonna sonora del nostro
viaggio, musica davvero in grado di comunicare nel profondo del nostro animo. E
ne avevo bisogno, poiché una parte della mia mente, nonostante il mio
ottimismo, non riusciva a dimenticare gli insuccessi delle prime tre missioni
Astro, disperse nel nulla: la Missione Uranus del 1986 guidata dal colonnello
Jack Tanner, la scomparsa di Astro 7 comandata da Lee Russell, l'esperimento
Rapido di Joseph Michael...
Con una sapiente regia, il film che era l'evolversi di
un incubo tremendo offriva agli occhi della sua mente le sequenze più dolci e
piacevoli del viaggio prima del terrore, il lento nascere dell'amore tra lui e
Monique, i brevi momenti d'intimità al cambio dei turni, aventi come testimone
il lontano luccichio delle stelle immote... poi, di colpo, dopo gli istanti di
emozione dovuti alla prima osservazione a vista del pianeta Ultra, all'entrata
in orbita attorno al pianeta che li avrebbe portati in volo sull'altra faccia,
con relativa sospensione dei contatti con Alpha, quel segnale, captato dalle
telesonde di bordo. Altro dato impossibile nella lunga serie di incongruenze
legate ad Ultra: decine di corpuscoli metallici ammassati in orbita alta,
stazionari e completamente inerti.
"Darwin", aveva chiamato in sordina l'astrofisico, che lo raggiunse in
cabina di pilotaggio, "Vorrei un tuo parere su questo fenomeno..."
"Asteroidi?", azzardò King, dopo aver studiato i segnali della
telesonda sullo schermo.
"Asteroidi metallici? Non credo proprio, sono immobili... Ci stiamo andando
dritti incontro. Deceleriamo quanto basta per dare una esaustiva occhiata"
"D'accordo, Tony..." King esitò, fissando il capitano,
"Potrebbero essere... mezzi artificiali? Vita intelligente?"
"Lo scopriremo presto".
Astronavi! Erano astronavi! Di ogni foggia e dei più disparati livelli
tecnologici! Incrociatori dalla stazza impressionante, piccoli carghi, moduli
cilindrici, tronchi di cono assemblati in tutte le forme che sfidavano ogni
capacità di comprensione umana! Non potevano appartenere ad una sola razza
extraterrestre, le loro caratteristiche erano così eterogenee da far supporre
l'esistenza di più tipologie biologiche dall'intelligenza e tecnologia diversa.
Una fantastica flotta immobile nello spazio, quasi un colossale parcheggio
cosmico per chissà quale straordinario convegno di tutte le popolazioni della
galassia, come suggerì efficacemente Juliet. Ma l'idea che mi aveva subito
colpito era un'altra, più inquietante... un cimitero spaziale. Mosche
impigliate in una invisibile ragnatela... e un senso di pericolo serpeggiante.
Certo quelle navi non potevano provenire da Ultra, da cui non ci veniva inviato
alcun segnale indicante vita intelligente, ma da altrove e per qualche motivo
erano finite tutte in orbita al pianeta. Navi fantasma, mute e sorde ai nostri
tentativi di comunicazione. I sensori non registravano alcun segno di vita a
bordo, su nessuna astronave, quasi che fossero state abbandonate alla rinfusa in
orbita alta. Che ne era stato degli equipaggi? Non ero tranquillo... e ho preso
le decisioni sbagliate.
Dixon aveva ragione. L'errore è stato mio, ma non nel senso che intendeva lui.
Non dovevo permettere l'attracco a quel colossale ammasso di tubi e cilindri,
uno dei mezzi più giganteschi di quel cimitero di navi, non prima di aver
indagato ulteriormente, per quanto possibile. Ma una volta constatato coi
sensori che l'interno dell'astronave aliena, a differenza delle altre, sembrava
fornito di una miscela d'aria respirabile per l'essere umano, sebbene non nelle
giuste proporzioni, e che la temperatura si aggirava sui ventotto gradi, mi sono
lasciato prendere dalla foga della scoperta, spinto anche dall'entusiasmo del
mio equipaggio.
"Attracchiamola, Tony", esclamò Darwin King,
"Guarda, quella protuberanza sembra essere un portello d'accesso, un sistema di docking
tra mezzi spaziali. Tentiamo di collegarci ad essa!"
"Non conosciamo il sistema di penetrare all'interno di quella nave. Potremmo non
riuscire ad andare oltre la nostra camera di compensazione", obiettò il comandante.
"Proviamo ugualmente. A che servirebbe se no il meccanismo d'attracco universale
Borges-Neill che abbiamo in dotazione? Juliet ha controllato l'ecoambiente interno, i dati
sono confermati: pressione, atmosfera e temperatura tollerabili per il fisico umano. Non
c'è neanche bisogno di indossare gli scafandri. Sembra non esservi alcun pericolo".
"Va bene. Iniziamo manovra di approccio. Darwin, estendi il raccordo telescopico
della sonda. Creeremo perlomeno un passaggio che ci consenta di studiare i portelli di
quella nave a distanza ravvicinata".
Il mio errore è stato essere ligio ai regolamenti di bordo, quindi di
restare separato in cabina di pilotaggio dal modulo passeggeri, a portelli
chiusi, durante le fasi di attracco. Dopo aver compiuto tutti i controlli che
potevo eseguire, avrei dovuto raggiungere Darwin e le ragazze nel modulo, ed
essere io il primo ad affrontare l'ignoto oltre i portelli della camera di
compensazione. Ma il regolamento esigeva che il pilota restasse al suo posto,
pronto ad agire di fronte ad ogni evenienza per salvare almeno tutti i dati di
volo registrati nel computer della cabina di comando, che all'occorrenza poteva
diventare una capsula di salvataggio. Non avevo neppure una visuale video di
quanto stava per accadere nel modulo passeggeri. Potevo solo sentire le voci dei
miei compagni. Quando le due navi furono unite e la condotta pressurizzata aprii
i portelli della sonda, pronto a dirigermi nel modulo, e sentii la voce di King
che riferiva, stupita, di come i portelli dell'astronave aliena si fossero
spalancati automaticamente, poi vi furono strane interferenze e il grido delle
ragazze...
L'urlo teso di Darwin King rimbombò nella cabina di pilotaggio della Sonda
Ultra.
"Chiudi il portello, Tony!"
"Che succede?", Cellini eseguì prontamente l'ordine mentre rispondeva
all'astrofisico, sigillando nuovamente il modulo dalla camera di compensazione.
"Vento, rumori, luce. Fa una strana impressione..."
L'altoparlante portò al capitano dei nuovi rumori, inidentificabili,
terrificanti. Fece per accorrere nel modulo quando la voce strozzata di King lo
bloccò.
"Chiudi i portelli posteriori! Chiudili, presto!"
Cellini si sporse sul pannello, che all'improvviso esplose in un mare di
scintille. I circuiti elettrici e i servomeccanismi del modulo erano saltati con
un crepitio acre.
"Darwin, circuiti principali fuori uso. Tenta col manuale!"
Dalla sezione posteriore della Sonda gli giunsero orrendi rumori amplificati,
come un urlo elettronico, che si sovrappose alle grida di terrore di Juliet e
Monique.
"Sto arrivando!" Cellini si gettò sui comandi, tentando di bypassare
i circuiti saltati e di ovviare al guasto. Provò prima con la leva manuale, ma
era grippata, e poi a mani nude, afferrando la svasatura dei pannelli,
inutilmente. I portelli della cabina di pilotaggio restarono chiusi. Dall'altra
parte Darwin King sembrava lottare contro una forza sconosciuta, Monique stava
urlando all'impazzata, terrorizzata. La cacofonia crebbe, gettando nel panico e
nella frenesia Cellini, alle prese con i componenti bruciati del quadro comandi.
"No, no...!", udì l'ultimo grido soffocato di King, un forte rumore
in crescendo tra poderose raffiche sibilanti di vento e ancora le urla di Juliet
e Monique. Poi, perfettamente riconoscibile, il sibilo ripetuto di una pistola
laser in azione.
"Ho finito!" Il capitano reintrodusse con difficoltà i componenti del
quadro al loro posto, graffiandosi le mani a sangue per la foga. Il sistema
d'emergenza entrò in funzione, Cellini corse ai pannelli della cabina,
azionandone l'apertura sul modulo passeggeri.
Un fotogramma che rimarrà raggelato per sempre
nella mia mente. I pannelli scivolarono di lato ed io vidi quel che stava
accadendo. Restai di sasso solo per qualche secondo, quel tanto che bastava
affinché l'immagine davanti ai miei occhi si fissasse definitivamente nei miei
pensieri. L'avrei contemplata in tutta la sua pienezza ed il suo orrore nei
ricordi, solo molto tempo dopo. Sul fondo del modulo, tra i portelli posteriori
che davano alla sala macchine, c'era il mostro: una corona di centinaia di
tentacoli impazziti attorno ad un occhio luminescente, abbagliante, raffiche di
vento caldissimo e pestilenziale, rumori elettronici, getti di liquido catramoso
che sprizzavano ovunque. Sul pavimento imbrattato, due corpi la cui vita era
stata spremuta via, risucchiata da oscene ventose incandescenti, cosparsi di
pece nera, fumanti, atrofizzati. Alla mia sinistra Monique, aggrappata ad una
rossa colonnina portante del modulo, la sua bianca uniforme insozzata di melma
nerastra, ustionante, un tentacolo avvolto al collo... la creatura infernale si
spingeva in avanti, facendo perno sui tentacoli avvolti alle colonnine della
nave, avanzava verso di me... D'istinto afferrai il laser dalla rastrelliera e feci fuoco nella
massa di pseudopodi, lanciandomi verso Monique, tentando di liberarla dalla
presa. Potei solo afferrarla alle spalle, ma la forza dei tentacoli era tremenda...
mi fu letteralmente strappata via. La vidi piombare nel folto di quella corona
mostruosa di tentacoli vibranti, scivolare urlando davanti a quel satanico
occhio e finire risucchiata al di sotto della creatura, in una bocca invisibile.
Sparai nuovamente, ma il raggio si insaccò innocuo in quel mulinare di arti
limacciosi. L'orifizio putrescente del mostro si spalancò, sputando il corpo
scarnificato di Monique, che scivolo sul pavimento fin quasi ai miei piedi. Non
poteva essere una donna, quella cosa fagocitata, bruciata, annerita... non
poteva essere Monique... Il mostro si avvicinava, il suo urlo elettronico mi
feriva i timpani. Mi voltai e corsi verso la cabina di pilotaggio. Per un
istante provai una strana sensazione: l'impellente esigenza di voltarmi, fissare
quell'occhio pulsante e gettarmi tra quelle fauci nerastre. Come se ricevessi un
inderogabile ordine telepatico, ipnotico, insinuante... vinsi quella forza
diabolica. Oltre il condotto stagno tentai di chiudere manualmente il portello
della cabina. Due tentacoli s'intrufolarono nell'abitacolo, impedendo la chiusura
dei battenti e spruzzando liquido ovunque. A ridosso dell'armadietto degli
attrezzi che si era spalancato, afferrai un'accetta, solitamente usata per
tagliare i grossi cavi idraulici in caso d'emergenza, e colpii ripetutamente i
due grossi tentacoli mulinanti. Straordinariamente la lama d'acciaio sortì più
effetto del laser. La creatura sembrò gridare dal dolore e gli arti si
ritirarono nel modulo. Abbassai del tutto la leva manuale e il portello si
chiuse ermeticamente. Dovevo fare una sola cosa... potevo fare solo una cosa. Mi
legai saldamente alla poltroncina del pilota, sollevai il pannello di protezione
dal sistema di Separazione Emergenza Modulo e tirai la leva. Subito udii i
bulloni esplosivi che saltavano fare tremare la cabina e attraverso gli oblò
triangolari davanti a me scorsi il cimitero di astronavi cominciare a ruotare su
se stesso... ma in realtà era la capsula a ruotare, separata dal grande corpo
della Sonda Ultra. Dalla tomba di Darwin King, Monique Bouchere e Juliet Mackie.
Dall'antro del Mostro. Dal Dominio del Drago.
Tony Cellini escluse dalla sua mente tutto ciò di cui era stato testimone
nel modulo passeggeri della Sonda Ultra. Lo fece con quel peculiare
atteggiamento tipico degli astronauti, la cui lucidità mentale nello spazio
può essere determinante nelle questioni più gravi. Ora doveva affrontare un
problema che gli avrebbe richiesto ogni sua energia, mentale e fisica:
sopravvivere nello spazio a bordo della sua fragile scialuppa di salvataggio.
Febbrilmente, abbassando in sé il tasso di adrenalina e riconquistando
l'equilibrio interiore, rimise in assetto la capsula rotolante nel vuoto,
calcolò un'orbita più bassa attorno ad Ultra in modo da poter sfruttare
l'effetto fionda gravitazionale del pianeta per poter essere rilanciato verso il
Sole e la Terra, manovra che avrebbe ripetuto in prossimità di tutti i pianeti
giganti, da Nettuno a Saturno a Giove... se fosse sopravvissuto tanto da
raggiungerli. Se il potente motore Nerva
della Sonda Ultra aveva avuto bisogno di otto mesi per raggiungere il pianeta,
i piccoli razzi chimici della navetta di salvataggio avrebbero impiegato, salvo
imprevisti, qualche anno... solo per avvicinarsi alla Terra, probabilmente con
un cadavere a bordo. Un solo, infinitesimale errore di calcolo avrebbe portato
ciò che restava della Sonda Ultra a perdersi nell'infinito. Una probabilità su
un milione di farcela... per l'astronave. Molte meno per il suo solitario
occupante.
Ma Anthony Cellini ce la fece, perché doveva farlo. Doveva avvertire
la Terra del pericolo, doveva narrare la sua storia, la sua straordinaria storia
che provava l'esistenza di molte razze intelligenti nel cosmo, doveva convincere
l'opinione pubblica ad inviare un'altra astronave su Ultra per debellare la
minaccia, per impadronirsi dei segreti di quella tecnologia orbitale abbandonata
a se stessa. Doveva tornare per vendicarsi del mostro che aveva annientato il
suo equipaggio.
L'occhio ardente dai molti bulbi...
Monique...
Ho fatto quanto potevo...
Sono sopravvissuto... Ho riportato la Sonda Ultra sulla Terra...
Sono il migliore astronauta...
Ho vinto i calcoli probabilistici che mi vedevano sconfitto, perso, inghiottito
dall'universo...
Ma non riporto con me solo questa storia allucinante...
Lui, il mostro, è dentro di me, lo sento...
Quando ha fissato su di me il suo occhi ipnotico, inducendomi a voltarmi e a
gettarmi tra le sue spire...
Mi richiama ad affrontarlo.
Non mi abbandonerà.
È il mio Nemico.
Ed io tornerò.
Ti distruggerò.
O morirò nel tentativo...
Per oltre un anno e mezzo la navetta di Tony Cellini solcò le distese dello
spazio, con il suo pilota intento a calibrare gli strumenti, fare calcoli
astrusi, riparare i danni, monitorare gli strumenti, razionare severamente cibo
e acqua del Survival Pack, controllare costantemente il supporto vitale
principale, ripetere le stesse operazioni ogni ora, riposarsi quando distrutto
dalla fatica, riprendere tutto d'accapo per giorni e giorni che assomigliavano
sempre ad un unico giorno, un unico lunghissimo giorno buio. Infinite stanze di
tenebra ammiccanti di deboli baluginii... solo la musica di Albinoni lo aiutava
a non perdere del tutto la testa, quell'Adagio che gli riportava alla
mente il volto dolce di Monique Bouchere, un volto ora ridotto ad un informe
massa bruciata di tessuti prosciugati di vita. Ma la sua immagine lo sostenne,
assieme al desiderio di vendetta. Non poteva permettersi di pensare a quanto era
accaduto, poiché ogni neurone della sua mente era occupato a tenere
materialmente insieme la propria integrità e quella della navetta. Tony Cellini
sopravvisse, vinse la grande incognita tutto intorno a lui, quelle tenebre
silenziose che cercavano di aggredirlo e soffocarlo. Il suo corpo deperiva ma la
mente restava lucida e affilata. Mancò all'appuntamento del 1997 con i suoi
simili... ma riuscì a non mancare al successivo, un anno dopo.
Tony Cellini ebbe fortuna... poiché un solo uomo non si era scordato di lui,
non aveva accettato il fallimento della Missione Ultra anche mesi dopo che la
Commissione Mondiale Spazio aveva archiviato il suo caso. Quell'uomo era John
Koenig, che si lanciava nel profondo dello spazio con il nuovo modello di Aquila
a grande autonomia, seguendo la rotta della Sonda Ultra, alla ricerca vana di
qualche segnale. E fu grazie ad uno di questi ostinati voli che la capsula,
ormai priva di autonomia, fu avvistata alla deriva nel vuoto. Al suo interno,
una volta che Koenig riuscì ad attraccarla, fu trovato un corpo emaciato,
provato oltre ogni resistenza ma vivo...
"L'occhio ardente dai molti bulbi...", solo questo riusciva a
mormorare la parvenza d'uomo riverso sui comandi.
Ma Tony Cellini era tornato dalla morte.
Non ti crederanno. Racconti una favola che risulta banale anche alle
orecchie dei bambini. Il mostro tentacolato e putrescente che viene dallo spazio
e distrugge gli astronauti... più facile credere a Babbo Natale. L'eroe Tony
Cellini, novello Ulisse, che è riuscito in un'impresa impossibile, diventerà
l'accusato Tony Cellini, causa del disastro della Missione Ultra. Non ti
crederanno.
Ma devono credermi! La scatola nera confermerà il mio racconto con i suoi dati!
"John", disse il professor Victor Bergman, cercando di
tranquillizzare un irato Koenig, nella sezione tecnica della Base Alpha,
"La scatola nera non ha registrato altro che un contatto. Con
cosa? Nulla prova che sia stata un'astronave. I dati sono inintelleggibili. Per
quattro minuti c'è solo il vuoto... e qualcuno potrà pensare che siano stati
alterati, forse dallo stesso Cellini."
"Perché avrebbe dovuto farlo?" sbottò Koenig.
"Dixon e la Commissione penseranno alla cosa più ovvia: per nascondere una
grave mancanza da parte di Tony".
"Victor, è proprio questo che non posso credere! Mi rifiuto di
crederlo!", gridò l'astronauta, esasperato.
"Una testa deve rotolare, John. E Tony è evidentemente fuori di sé,
alterato psicologicamente. Abbiamo fallito. La Missione Ultra è stato un
insuccesso... il quarto grave insuccesso della storia dell'astronautica. Non ne
avremo più altre".
Nessuna evidenza fisica. Nessuna traccia che provi l'esistenza del
mostro. Il liquido fuoriuscito dai suoi tentacoli è evaporato nel nulla, anche
quello che credevo rappreso sulla mia uniforme. Nessun segno della sua presenza.
Solo qualche danno al sistema elettrico della navetta... nient'altro. E la
scatola nera non ha offerto alcuna prova. Non mi credono. Non appoggeranno
un'altra missione. Bergman e Koenig si sono esposti fin troppo nel perorare la
mia causa... inutilmente. Il rapporto medico finale della dottoressa Helena
Russell, vedova di Lee Russell, è un'aperta condanna contro di me. Il profilo
psicologico mi bolla come psicotico. Dixon chiuderà l'inchiesta nell'unica
maniera possibile... dimenticare l'accaduto.
"La realtà delle avventure nello spazio è che sono terribilmente
dispendiose", disse gravemente l'Alto Commissario Dixon, "Le possibilità a
favore e i fondi ci sono di rado e noi dobbiamo sfruttare al meglio queste condizioni
quando si verificano. Sono spiacente, ma devo rilevarvi tutti dalle vostre mansioni. Lei,
Cellini, per sottoporsi ad ulteriori esami medici approfonditi, e voi due, Koenig e
Bergman, affinché vi ricordiate entrambi per il futuro di tenere i piedi ben saldi a
terra. È tutto".
"Capitano Cellini", esclamò rudemente la dottoressa
Helena Russell, nella stanzetta d'ospedale dove era ricoverato il comandante della Sonda
Ultra, "Cosa pretende che dobbiamo credere?"
Voglio che voi tutti, Koenig, Bergman, Dixon, tutti voi vi sbarazziate dei vostri
criteri di giudizio su quanto è reale e quanto non lo è! Abbandonate la ragione! Non
serve più! Dovete credere che io, Tony Cellini, sono stato faccia a faccia con quel
drago. L'ho combattuto con le mie mani e sono sopravvissuto! Questo è quel che dovete
credere!
"Il caso è chiuso. Ora abbiamo altri problemi da affrontare:
l'inquinamento da scorie atomiche..."
Vi prego. Credetemi.
Il sogno proseguiva, le immagini si affastellavano. Coerente fino a questo
punto, l'incubo tornava a sequenze non lineari e Cellini si ritrovava sulla
Sonda Ultra, in prossimità del pianeta, lottava col mostro tentando di salvare
Monique, cercava di affrontarlo nel lunghi sogni ad occhi aperti avvenuti sulla
capsula di salvataggio. Ma neppure l'apocalittica esplosione, dovuta alla
combustione delle scorie atomiche sepolte nel sottosuolo lunare, che aveva
scagliato la Luna fuori dalla sua orbita il 13 settembre 1999, il più colossale
disastro della storia umana, aveva potuto cancellare quell'incubo, sostituirsi
ad esso. Sulla Base Lunare Alpha, ora comandata da John Koenig, richiamato in
servizio per affrontare due grandi problematiche confluite drammaticamente in
una sola (l'esplorazione del pianeta Meta, il decimo mondo del Sistema Solare
finalmente identificato da Victor Bergman, e la misteriosa malattia che decimava
gli astronauti degli equipaggi in addestramento sul satellite), i superstiti
dovettero affrontare una strenua lotta per la sopravvivenza di fronte alle
incognite del cosmo. Per uno strano caso molti dei protagonisti dell'inchiesta
Ultra si trovavano sulla Base al momento del cataclisma: Koenig, Bergman, la
dottoressa Russell e lo stesso Cellini, addetto al corpo astronautico sotto la
guida del capitano Alan Carter. Un nuovo Alto Commissario, Gerald Simmonds,
aveva sostituito Dixon, travolto dallo scandalo Ultra, e anch'egli,
sfortunatamente, si trovava su Alpha al momento del distacco. L'odissea degli
Alphani nello spazio, alla ricerca di un mondo su cui tornare a vivere, aveva
cancellato da ogni mente il disastro della Missione Ultra... tranne che da una.
L'occhio ardente dai molti bulbi...
Il Mostro annidato nel cimitero di astronavi...
Monique...
Darwin, Juliet... io vi vendicherò!
Vento infernale, cacofonia in crescendo, tentacoli e ventose...
Vedo quella spirale di luce, sento il suo grido spaventoso...
Davanti a me il suo occhio ipnotico, che spinge a farsi avanti come vittime
sacrificali...
Non funzionerà con me. Ti troverò. Sarò al tuo cospetto, nel tuo regno, nel
tuo dominio. Avrò con me solo la mia accetta, acciaio temprato, e ti aspetterò...
Anthony Cellini si svegliò con un urlo, più simile ad un ruggito.
Col fiato mozzo si guardò intorno, sudato, tremante. Era nel suo alloggio su
Alpha, ottocentonovanta giorno dopo l'abbandono dell'orbita terrestre. Le luci
erano spente e l'ambiente era soffusamente illuminato solo dalle fioche spie
della colonnina dell'intervideo. Cellini si alzò, circospetto, guardandosi
attorno. Sentiva ancora un'eco proveniente dal sogno, un'eco simile ad un rumore
elettronico, che si allontanava. Riprese fiato, tranquillizzandosi. Ad ogni
risveglio solitamente si sentiva male, quasi fosse stato defraudato nel sogno
dell'opportunità di colpire il suo nemico. Alle pareti dell'alloggio v'erano
dei quadri d'ambientazione africana e diverse panoplie di lance, coltelli, asce,
picche, antichi fucili ad avancarica. Aveva sempre avuto una curiosa passione
per la caccia grossa nel Continente Nero. Afferrò una scure africana, serrando
la mano sul manico di legno coperto di cuoio. Si sentì stranamente appagato da
quel contatto e avvertì un senso di rilassatezza nascergli nel profondo. Cosa
c'era di diverso, in quel risveglio? Di così... soddisfacente? Solo una cosa
poteva arrecargli soddisfazione... e accadeva solo nei sogni. Accese il
registratore, e in sottofondo s'udirono le note dell'Adagio di Abinoni.
Si avvicinò agli oblò rettangolari che si affacciavano sul cosmo infinito.
Fuori, un mare di stelle, un lontano anemone lattiginoso, una nebulosa fatta di
una trama sottile e trasparente. Cellini rimase in contemplazione dell'asterismo
cosmico. Stelle ovunque, come quelle che si riflettevano negli occhi castani di
Monique...
E poi, all'improvviso, seppe.
Restò in silenzio e registrò in sé quel che le tenebre gli stavano
comunicando. Era un messaggio personale, a lui solo diretto.
Sì, ora lo so, ne ho la certezza.
Sei lì fuori.
Mi stai aspettando.
Per qualche motivo che non ha alcuna importanza conoscere, tu sei
laggiù, nel tuo regno, e aspetti colui che è riuscito a sfuggirti. Lontani
anni-luce da Ultra... ma tu sei lì!
Al centro del tuo reame di morte, tra le astronavi abbandonate, il luogo del nostro
appuntamento.
Monique, cherie, sto tornando da te, amore mio...
Anthony Cellini fissò il cosmo insondabile, sollevò la scure e appoggiò la fredda
lama alla sua fronte. Sorrise, senza distogliere lo sguardo dal profondo della notte.
Ti affronterò nel tuo dominio.
Ti annienterò o morirò nel tentativo.
Aspettami.
Sto arrivando.
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