Adagio
un racconto di: Michele Tetro Nota:
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Non ti crederanno. Non ti crederanno mai. Hai fallito, questo solo importerà loro. Hai fallito la tua missione. La missione più importante del genere umano. Persa la nave, perso l'equipaggio... e ti porti indietro una storia assurda. Io per primo, io per primo non potrei crederci, ascoltandola. Chi può credere ad una cosa del genere? Le prove... nessuna prova. La prova era nei miei occhi. E non mi hanno creduto. Tu sei vivo, sei stato un eroe poiché sei sopravvissuto al ritorno, un fatto eccezionale ed incredibile già di per sé. Ma hai raccontato quella storia. A tutto il mondo. Hai posto fine al programma di esplorazione spaziale esterna. Fallimento. Disastro. La quarta e più importante missione spaziale con equipaggio, dispersa come le altre tre. Hai chiuso, e non solo tu. Sei solo. Dovevi mentire! Dovevi assumerti la colpa della catastrofe! Ammettere che si era trattato di un tuo errore... decompressione improvvisa durante l'attracco, equipaggio ucciso. Avresti pagato solo tu e il programma spaziale non sarebbe stato cancellato. No. No, non potevo farlo, perché lui è vero, esiste, non è un parto della mia mente malata... ed è ancora là. Dietro al pianeta. Nella Sonda Ultra. È là e aspetta... in qualche modo io tornerò e lo affronterò. Lo affronterò!
Cominciava sempre così. Lo affronterò. Lo distruggerò. Hai annientato la mia vita. Hai ucciso i miei
compagni. Ed ora sei dentro di me, nella mia mente. Ti conoscevo, oh sì, ti conoscevo sin
da ragazzo, quando lessi quel racconto di Lovecraft che mi impressionò e quell'immagine
terrificante mi rimase scolpita nella mente: "Yog-Sothoth, l'occhio
ardente dai molti bulbi". Sei tu. E ti trovi laggiù, oltre Plutone,
proprio come disse lo scrittore di Providence...
La prima immagine era una sfera blu cobalto, con grandi macchie rosse. Il pianeta,
Ultra, perso nell'infinito vuoto oltre il Sistema Solare, quel pianeta impossibile
scoperto dal grande scienziato Victor Bergman nel 1994, quel pianeta che aveva fornito
dati inammissibili sulla sua natura. Un evento eccezionale, un mondo che sbucava
all'improvviso ai confini esterni dell'universo locale, come sputato fuori da un'altra
dimensione, da un altro continuum spaziotempo, strappato da chissà quale lontano
reame fantastico ed inconoscibile. Monique, cherie... eri bellissima, quella volta che ti vidi assorta ed in silenzio guardare dall'oblò di sinistra della nave, presso la tua cuccetta, illuminata di una morbida luce azzurra. Che strano effetto, le stelle all'esterno che si riflettevano nei tuoi occhi castani. Per i primi tempi del viaggio non avevo che un solo pensiero: portare la Sonda Ultra laggiù, conquistare quel pianeta. Poi, gradualmente, ho sentito nascere qualcosa, qualcos'altro. Ricordo anche il momento, quando sei venuta in cabina portandomi per la prima volta il caffè... con la mezza zolletta di zucchero! Mi avevi visto prepararlo qualche tempo prima... Ero riluttante a lasciare la cabina di pilotaggio a Darwin, allo scoccare del suo turno, ma quando ho saputo che mi aspettavi, in fondo al modulo, e che avevi piacere a parlare assieme, mi scoprivo a guardare l'orologio incastrato tra gli strumenti con più impazienza, in attesa del cambio. Monique... avevi promesso di portarmi in quel locale francese che ti piaceva tanto, al nostro ritorno. Ma tu non sei tornata... Ancor più repentinamente, lo sguardo intenso della dottoressa Monique Bouchere mutava in un'altra sequenza di immagini. Il castano scuro dei suoi occhi impallidiva, fondendosi in un'unica grande pupilla luminosa, accecante, bianca. Sentiva allora quello spaventoso urlo elettronico, avvertiva la furiosa raffica di vento maleodorante, il bruciore sulla pelle di sostanze catramose, semiliquide... aveva l'orribile ma veloce visione del cadavere di Monique Bouchere, ridotta ad una forma scarnificata ricoperta di melma nerastra che le penetrava in bocca, nelle cavità in cui un tempo avevano brillato i suoi occhi sereni, mentre scivolava accanto a due altre forme simili sul pavimento del modulo lordo di sozzura fumante...e poi vedeva i tentacoli mulinare tutt'intorno al ciclopico occhio luminoso e urlante. L'occhio ardente dai molti bulbi!
Quando non si svegliava gridando (ma non di paura, piuttosto di rabbia, d'ira
impotente dovuta alla frustrazione di non potere affrontare quell'orrore),
coperto di sudore e tremante, le immagini del sogno che presto si sarebbe
tramutato in un incubo lo riportavano più indietro, prima di quel 6 giugno
1996, data della partenza della Sonda Ultra, al momento cruciale ed in un certo
modo anche infantile della scelta definitiva del comandante della missione. E
rivedeva il viso dell'unica persona che era stata disposta a credere, nei limiti
del possibile, alla sua terrificante avventura. Il suo più caro amico,
un'astronauta forse addirittura più preparato di egli stesso, il cui nome
gareggiava col suo nel mietere successi nella storia dell'astronautica: John
Koenig, destinato, per volere della Dea Fortuna, a perdere il posto di
comandante della Sonda Ultra e a restare a capo del Controllo Missione sulla
Base Lunare Alpha.
Ultra, il pianeta più lontano, prenderne possesso e scoprire il suo
segreto... L'equipaggio della Sonda Ultra era formato da quattro
elementi. Il comandante capitano Tony Cellini, l'astrofisico di bordo e secondo
pilota dottor Darwin King, l'esperta di radiazioni dottoressa Juliet Mackie, la
responsabile medica e psicologa dottoressa Monique Bouchere. Avevano salutato i
numerosi Alphani, radunatisi nel corridoio antecedente la rampa di lancio, prima
di imbarcarsi sull'Aquila che li avrebbe portati da Alpha a Centauri, dove erano
attesi dal Commissario Dixon per il saluto ufficiale. Koenig e Bergman erano
visibilmente commossi.
Alle ore 12.00 del 6 giugno 1996 la gigantesca Sonda
Ultra, precedentemente denominata Astro 9 secondo l'ufficiale nomenclatura delle
spedizioni verso i pianeti esterni, si staccò dall'ormeggio della Stazione
Centauri per il suo viaggio di otto mesi alla volta del pianeta Ultra. La fase
di accelerazione sarebbe durata tre ore circa, portando la nave a circa tre
milioni e mezzo di chilometri dalla Stazione e alla velocità massima di 325
chilometri al secondo, poi il motore Nerva sarebbe entrato in azione
scagliando la Sonda nello spazio profondo. Il rientro era previsto per il 20
novembre 1997. Otto mesi di navigazione, senza incontrare nessuna difficoltà, eccetto forse la noia. Ma l'equipaggio era stato scelto bene e non fu difficile affiatarci sempre più. Darwin era un'inesauribile fonte di barzellette e le due ragazze erano, ciascuna a modo suo, squisite. Juliet era più dinamica e meno facile agli entusiasmi, Monique di contro era dolcissima e sognatrice. Era stata lei a diffondere all'interno della Sonda Ultra le struggenti note dell'Adagio per archi e organo in G Minore di Albinoni, quella che fu la colonna sonora del nostro viaggio, musica davvero in grado di comunicare nel profondo del nostro animo. E ne avevo bisogno, poiché una parte della mia mente, nonostante il mio ottimismo, non riusciva a dimenticare gli insuccessi delle prime tre missioni Astro, disperse nel nulla: la Missione Uranus del 1986 guidata dal colonnello Jack Tanner, la scomparsa di Astro 7 comandata da Lee Russell, l'esperimento Rapido di Joseph Michael... Con una sapiente regia, il film che era l'evolversi di
un incubo tremendo offriva agli occhi della sua mente le sequenze più dolci e
piacevoli del viaggio prima del terrore, il lento nascere dell'amore tra lui e
Monique, i brevi momenti d'intimità al cambio dei turni, aventi come testimone
il lontano luccichio delle stelle immote... poi, di colpo, dopo gli istanti di
emozione dovuti alla prima osservazione a vista del pianeta Ultra, all'entrata
in orbita attorno al pianeta che li avrebbe portati in volo sull'altra faccia,
con relativa sospensione dei contatti con Alpha, quel segnale, captato dalle
telesonde di bordo. Altro dato impossibile nella lunga serie di incongruenze
legate ad Ultra: decine di corpuscoli metallici ammassati in orbita alta,
stazionari e completamente inerti.
Astronavi! Erano astronavi! Di ogni foggia e dei più disparati livelli
tecnologici! Incrociatori dalla stazza impressionante, piccoli carghi, moduli
cilindrici, tronchi di cono assemblati in tutte le forme che sfidavano ogni
capacità di comprensione umana! Non potevano appartenere ad una sola razza
extraterrestre, le loro caratteristiche erano così eterogenee da far supporre
l'esistenza di più tipologie biologiche dall'intelligenza e tecnologia diversa.
Una fantastica flotta immobile nello spazio, quasi un colossale parcheggio
cosmico per chissà quale straordinario convegno di tutte le popolazioni della
galassia, come suggerì efficacemente Juliet. Ma l'idea che mi aveva subito
colpito era un'altra, più inquietante... un cimitero spaziale. Mosche
impigliate in una invisibile ragnatela... e un senso di pericolo serpeggiante.
Certo quelle navi non potevano provenire da Ultra, da cui non ci veniva inviato
alcun segnale indicante vita intelligente, ma da altrove e per qualche motivo
erano finite tutte in orbita al pianeta. Navi fantasma, mute e sorde ai nostri
tentativi di comunicazione. I sensori non registravano alcun segno di vita a
bordo, su nessuna astronave, quasi che fossero state abbandonate alla rinfusa in
orbita alta. Che ne era stato degli equipaggi? Non ero tranquillo... e ho preso
le decisioni sbagliate.
"Attracchiamola, Tony", esclamò Darwin King,
"Guarda, quella protuberanza sembra essere un portello d'accesso, un sistema di docking
tra mezzi spaziali. Tentiamo di collegarci ad essa!" Il mio errore è stato essere ligio ai regolamenti di bordo, quindi di restare separato in cabina di pilotaggio dal modulo passeggeri, a portelli chiusi, durante le fasi di attracco. Dopo aver compiuto tutti i controlli che potevo eseguire, avrei dovuto raggiungere Darwin e le ragazze nel modulo, ed essere io il primo ad affrontare l'ignoto oltre i portelli della camera di compensazione. Ma il regolamento esigeva che il pilota restasse al suo posto, pronto ad agire di fronte ad ogni evenienza per salvare almeno tutti i dati di volo registrati nel computer della cabina di comando, che all'occorrenza poteva diventare una capsula di salvataggio. Non avevo neppure una visuale video di quanto stava per accadere nel modulo passeggeri. Potevo solo sentire le voci dei miei compagni. Quando le due navi furono unite e la condotta pressurizzata aprii i portelli della sonda, pronto a dirigermi nel modulo, e sentii la voce di King che riferiva, stupita, di come i portelli dell'astronave aliena si fossero spalancati automaticamente, poi vi furono strane interferenze e il grido delle ragazze...
L'urlo teso di Darwin King rimbombò nella cabina di pilotaggio della Sonda
Ultra. Un fotogramma che rimarrà raggelato per sempre nella mia mente. I pannelli scivolarono di lato ed io vidi quel che stava accadendo. Restai di sasso solo per qualche secondo, quel tanto che bastava affinché l'immagine davanti ai miei occhi si fissasse definitivamente nei miei pensieri. L'avrei contemplata in tutta la sua pienezza ed il suo orrore nei ricordi, solo molto tempo dopo. Sul fondo del modulo, tra i portelli posteriori che davano alla sala macchine, c'era il mostro: una corona di centinaia di tentacoli impazziti attorno ad un occhio luminescente, abbagliante, raffiche di vento caldissimo e pestilenziale, rumori elettronici, getti di liquido catramoso che sprizzavano ovunque. Sul pavimento imbrattato, due corpi la cui vita era stata spremuta via, risucchiata da oscene ventose incandescenti, cosparsi di pece nera, fumanti, atrofizzati. Alla mia sinistra Monique, aggrappata ad una rossa colonnina portante del modulo, la sua bianca uniforme insozzata di melma nerastra, ustionante, un tentacolo avvolto al collo... la creatura infernale si spingeva in avanti, facendo perno sui tentacoli avvolti alle colonnine della nave, avanzava verso di me... D'istinto afferrai il laser dalla rastrelliera e feci fuoco nella massa di pseudopodi, lanciandomi verso Monique, tentando di liberarla dalla presa. Potei solo afferrarla alle spalle, ma la forza dei tentacoli era tremenda... mi fu letteralmente strappata via. La vidi piombare nel folto di quella corona mostruosa di tentacoli vibranti, scivolare urlando davanti a quel satanico occhio e finire risucchiata al di sotto della creatura, in una bocca invisibile. Sparai nuovamente, ma il raggio si insaccò innocuo in quel mulinare di arti limacciosi. L'orifizio putrescente del mostro si spalancò, sputando il corpo scarnificato di Monique, che scivolo sul pavimento fin quasi ai miei piedi. Non poteva essere una donna, quella cosa fagocitata, bruciata, annerita... non poteva essere Monique... Il mostro si avvicinava, il suo urlo elettronico mi feriva i timpani. Mi voltai e corsi verso la cabina di pilotaggio. Per un istante provai una strana sensazione: l'impellente esigenza di voltarmi, fissare quell'occhio pulsante e gettarmi tra quelle fauci nerastre. Come se ricevessi un inderogabile ordine telepatico, ipnotico, insinuante... vinsi quella forza diabolica. Oltre il condotto stagno tentai di chiudere manualmente il portello della cabina. Due tentacoli s'intrufolarono nell'abitacolo, impedendo la chiusura dei battenti e spruzzando liquido ovunque. A ridosso dell'armadietto degli attrezzi che si era spalancato, afferrai un'accetta, solitamente usata per tagliare i grossi cavi idraulici in caso d'emergenza, e colpii ripetutamente i due grossi tentacoli mulinanti. Straordinariamente la lama d'acciaio sortì più effetto del laser. La creatura sembrò gridare dal dolore e gli arti si ritirarono nel modulo. Abbassai del tutto la leva manuale e il portello si chiuse ermeticamente. Dovevo fare una sola cosa... potevo fare solo una cosa. Mi legai saldamente alla poltroncina del pilota, sollevai il pannello di protezione dal sistema di Separazione Emergenza Modulo e tirai la leva. Subito udii i bulloni esplosivi che saltavano fare tremare la cabina e attraverso gli oblò triangolari davanti a me scorsi il cimitero di astronavi cominciare a ruotare su se stesso... ma in realtà era la capsula a ruotare, separata dal grande corpo della Sonda Ultra. Dalla tomba di Darwin King, Monique Bouchere e Juliet Mackie. Dall'antro del Mostro. Dal Dominio del Drago.
Tony Cellini escluse dalla sua mente tutto ciò di cui era stato testimone
nel modulo passeggeri della Sonda Ultra. Lo fece con quel peculiare
atteggiamento tipico degli astronauti, la cui lucidità mentale nello spazio
può essere determinante nelle questioni più gravi. Ora doveva affrontare un
problema che gli avrebbe richiesto ogni sua energia, mentale e fisica:
sopravvivere nello spazio a bordo della sua fragile scialuppa di salvataggio.
Febbrilmente, abbassando in sé il tasso di adrenalina e riconquistando
l'equilibrio interiore, rimise in assetto la capsula rotolante nel vuoto,
calcolò un'orbita più bassa attorno ad Ultra in modo da poter sfruttare
l'effetto fionda gravitazionale del pianeta per poter essere rilanciato verso il
Sole e la Terra, manovra che avrebbe ripetuto in prossimità di tutti i pianeti
giganti, da Nettuno a Saturno a Giove... se fosse sopravvissuto tanto da
raggiungerli. Se il potente motore Nerva
della Sonda Ultra aveva avuto bisogno di otto mesi per raggiungere il pianeta,
i piccoli razzi chimici della navetta di salvataggio avrebbero impiegato, salvo
imprevisti, qualche anno... solo per avvicinarsi alla Terra, probabilmente con
un cadavere a bordo. Un solo, infinitesimale errore di calcolo avrebbe portato
ciò che restava della Sonda Ultra a perdersi nell'infinito. Una probabilità su
un milione di farcela... per l'astronave. Molte meno per il suo solitario
occupante. L'occhio ardente dai molti bulbi...
Per oltre un anno e mezzo la navetta di Tony Cellini solcò le distese dello
spazio, con il suo pilota intento a calibrare gli strumenti, fare calcoli
astrusi, riparare i danni, monitorare gli strumenti, razionare severamente cibo
e acqua del Survival Pack, controllare costantemente il supporto vitale
principale, ripetere le stesse operazioni ogni ora, riposarsi quando distrutto
dalla fatica, riprendere tutto d'accapo per giorni e giorni che assomigliavano
sempre ad un unico giorno, un unico lunghissimo giorno buio. Infinite stanze di
tenebra ammiccanti di deboli baluginii... solo la musica di Albinoni lo aiutava
a non perdere del tutto la testa, quell'Adagio che gli riportava alla
mente il volto dolce di Monique Bouchere, un volto ora ridotto ad un informe
massa bruciata di tessuti prosciugati di vita. Ma la sua immagine lo sostenne,
assieme al desiderio di vendetta. Non poteva permettersi di pensare a quanto era
accaduto, poiché ogni neurone della sua mente era occupato a tenere
materialmente insieme la propria integrità e quella della navetta. Tony Cellini
sopravvisse, vinse la grande incognita tutto intorno a lui, quelle tenebre
silenziose che cercavano di aggredirlo e soffocarlo. Il suo corpo deperiva ma la
mente restava lucida e affilata. Mancò all'appuntamento del 1997 con i suoi
simili... ma riuscì a non mancare al successivo, un anno dopo.
Non ti crederanno. Racconti una favola che risulta banale anche alle
orecchie dei bambini. Il mostro tentacolato e putrescente che viene dallo spazio
e distrugge gli astronauti... più facile credere a Babbo Natale. L'eroe Tony
Cellini, novello Ulisse, che è riuscito in un'impresa impossibile, diventerà
l'accusato Tony Cellini, causa del disastro della Missione Ultra. Non ti
crederanno.
"John", disse il professor Victor Bergman, cercando di
tranquillizzare un irato Koenig, nella sezione tecnica della Base Alpha,
"La scatola nera non ha registrato altro che un contatto. Con
cosa? Nulla prova che sia stata un'astronave. I dati sono inintelleggibili. Per
quattro minuti c'è solo il vuoto... e qualcuno potrà pensare che siano stati
alterati, forse dallo stesso Cellini." Nessuna evidenza fisica. Nessuna traccia che provi l'esistenza del mostro. Il liquido fuoriuscito dai suoi tentacoli è evaporato nel nulla, anche quello che credevo rappreso sulla mia uniforme. Nessun segno della sua presenza. Solo qualche danno al sistema elettrico della navetta... nient'altro. E la scatola nera non ha offerto alcuna prova. Non mi credono. Non appoggeranno un'altra missione. Bergman e Koenig si sono esposti fin troppo nel perorare la mia causa... inutilmente. Il rapporto medico finale della dottoressa Helena Russell, vedova di Lee Russell, è un'aperta condanna contro di me. Il profilo psicologico mi bolla come psicotico. Dixon chiuderà l'inchiesta nell'unica maniera possibile... dimenticare l'accaduto. "La realtà delle avventure nello spazio è che sono terribilmente dispendiose", disse gravemente l'Alto Commissario Dixon, "Le possibilità a favore e i fondi ci sono di rado e noi dobbiamo sfruttare al meglio queste condizioni quando si verificano. Sono spiacente, ma devo rilevarvi tutti dalle vostre mansioni. Lei, Cellini, per sottoporsi ad ulteriori esami medici approfonditi, e voi due, Koenig e Bergman, affinché vi ricordiate entrambi per il futuro di tenere i piedi ben saldi a terra. È tutto". "Capitano Cellini", esclamò rudemente la dottoressa Helena Russell, nella stanzetta d'ospedale dove era ricoverato il comandante della Sonda Ultra, "Cosa pretende che dobbiamo credere?" Voglio che voi tutti, Koenig, Bergman, Dixon, tutti voi vi sbarazziate dei vostri criteri di giudizio su quanto è reale e quanto non lo è! Abbandonate la ragione! Non serve più! Dovete credere che io, Tony Cellini, sono stato faccia a faccia con quel drago. L'ho combattuto con le mie mani e sono sopravvissuto! Questo è quel che dovete credere! "Il caso è chiuso. Ora abbiamo altri problemi da affrontare: l'inquinamento da scorie atomiche..." Vi prego. Credetemi. Il sogno proseguiva, le immagini si affastellavano. Coerente fino a questo punto, l'incubo tornava a sequenze non lineari e Cellini si ritrovava sulla Sonda Ultra, in prossimità del pianeta, lottava col mostro tentando di salvare Monique, cercava di affrontarlo nel lunghi sogni ad occhi aperti avvenuti sulla capsula di salvataggio. Ma neppure l'apocalittica esplosione, dovuta alla combustione delle scorie atomiche sepolte nel sottosuolo lunare, che aveva scagliato la Luna fuori dalla sua orbita il 13 settembre 1999, il più colossale disastro della storia umana, aveva potuto cancellare quell'incubo, sostituirsi ad esso. Sulla Base Lunare Alpha, ora comandata da John Koenig, richiamato in servizio per affrontare due grandi problematiche confluite drammaticamente in una sola (l'esplorazione del pianeta Meta, il decimo mondo del Sistema Solare finalmente identificato da Victor Bergman, e la misteriosa malattia che decimava gli astronauti degli equipaggi in addestramento sul satellite), i superstiti dovettero affrontare una strenua lotta per la sopravvivenza di fronte alle incognite del cosmo. Per uno strano caso molti dei protagonisti dell'inchiesta Ultra si trovavano sulla Base al momento del cataclisma: Koenig, Bergman, la dottoressa Russell e lo stesso Cellini, addetto al corpo astronautico sotto la guida del capitano Alan Carter. Un nuovo Alto Commissario, Gerald Simmonds, aveva sostituito Dixon, travolto dallo scandalo Ultra, e anch'egli, sfortunatamente, si trovava su Alpha al momento del distacco. L'odissea degli Alphani nello spazio, alla ricerca di un mondo su cui tornare a vivere, aveva cancellato da ogni mente il disastro della Missione Ultra... tranne che da una.
L'occhio ardente dai molti bulbi...
Anthony Cellini si svegliò con un urlo, più simile ad un ruggito. Sì, ora lo so, ne ho la certezza. Anthony Cellini fissò il cosmo insondabile, sollevò la scure e appoggiò la fredda lama alla sua fronte. Sorrise, senza distogliere lo sguardo dal profondo della notte.
Ti affronterò nel tuo dominio. |
Fine
Racconto © 2001 di Michele
Tetro. Pubblicato con il consenso dell'autore.
Primo premio al concorso letterario indetto dal club
"MoonBase '99"
nel corso della convention "MoonBound Three",
Modena, Ottobre 2002.